Catania, nel quartiere San Berillo fame e violenze, la denuncia - QdS

Catania, nel quartiere San Berillo fame e violenze, la denuncia

Ivana Zimbone

Catania, nel quartiere San Berillo fame e violenze, la denuncia

sabato 01 Maggio 2021

Disperazione, fame, abitazioni a rischio crollo senza servizi igienici, spaccio, violenze, Covid. Di questo è fatto il quotidiano di chi vive a San Berillo e che oggi chiede aiuto alle istituzioni.

A Catania, nel quartiere di San Berillo, c’è grande disperazione. Abitanti e lavoratori del sesso abitano ancora in case diroccate a rischio crollo, non hanno l’opportunità di percepire alcun sussidio da parte dello Stato e non hanno idea di quale possa essere la loro prospettiva futura. Francesco Grasso, socio fondatore dell’associazione Trame di Quartiere, racconta l’impegno dei volontari nell’offrire qualche busta della spesa a chi ha più bisogno. Ma l’associazionismo non può più sostituire l’intervento delle istituzioni, che oggi devono intestarsi il compito di migliorare la qualità della vita degli ultimi. Anche per rispettare le linee guida dettate dall’Ue.

PROSTITUZIONE A SAN BERILLO, O SI MUORE DI FAME O SI MUORE DI COVID

“Ketti ormai sessantenne è preoccupata per il suo futuro. Lo era già prima della pandemia, adesso la preoccupazione ha lasciato posto alla paura – racconta Francesco Grasso -. Quest’anno 2020 le ricorda altri anni passati, quando l’AIDS decimava prostitute e trans. Dentro il suo animo ha le stesse sensazioni di paura e angoscia. Pensa: ‘Se sono sopravvissuta all’HIV perché non dovrei affrontare il Covid? Metto la mascherina per coprire naso e bocca, il preservativo per l’organo sessuale e mi proteggo dai virus. Vivere da prostituta a San Berillo è diventato impossibile! Forse dovrei esercitare la mia professione chiusa in una bolla di vetro e limitare a farmi guardare? Solo così potrei proteggermi dalle infezioni’.

Ketti deve attendere ore per un cliente e sfoderare tutte le armi che gli sono rimaste per accontentarlo, limitando i pericoli del contagio. Quale alternativa ha Ketti? O prostituirsi e combattere, oppure rimanere nella bolla di vetro e vivere protetta. Bisogna necessariamente scegliere se salvaguardare la propria salute, oppure rischiare di infettarsi pur di avere qualche euro in tasca”.

LA PANDEMIA? “COME UNO TSUNAMI”

Il Covid è stato un infausto e inaspettato incidente di percorso. A farne le spese sono stati soprattutto i più deboli. “Nessuno poteva immaginare che un anno fa un virus originario dalla Cina potesse arrivare rapidamente a San Berillo e appesantire maggiormente la nostra precaria situazione. È stato un vero tsunami, tutte le città si sono svuotate nel giro di qualche settimana. Ci siamo autorecluse in casa per proteggerci dal virus”, continua Grasso.

A chi paragona la pandemia alla guerra, il socio fondatore di Trame di Quartiere offre un’altra interpretazione: “In guerra il nostro nemico parla un’altra lingua, è di un altro Paese, professa un’altra religione. Il coronavirus lo trasmette nostro nipote, nostro padre, un amico, il nostro vicino – dice -. È spaventoso. Durante i primi mesi lo slogan ‘andrà tutto bene’ ci dava speranza. Eravamo sicuri che la pandemia sarebbe durata qualche mese, incoraggiavamo con canti dal balcone i medici e gli infermieri in prima fila nella lotta contro il virus, li chiamavamo angeli custodi. Per qualche mese, anche se eravamo chiusi in casa, attraverso il web e il telefono ci scambiavamo notizie, affetto, vicinanza e solidarietà”. Ma oggi, purtroppo, non è più così.

SEXWORKERS, LAVORATORI SENZA DIRITTI, MA CON GLI STESSI BISOGNI DI TUTTI GLI ALTRI

Avevamo già parlato nelle scorse settimane delle contraddizioni della giurisprudenza italiana in merito alla prostituzione (CLICCA QUI PER MAGGIORI INFO). Ma mai come adesso queste incongruenze d’intenti gravano sui lavoratori del sesso.

“Il nostro servizio, non essendo riconosciuto come un lavoro o un servizio sociale, non consente ai sexworkers di avanzare nessuna richiesta di indennizzo – chiosa Francesco Grasso -. Esistiamo e si parla di noi solo se siamo coinvolte in fatti negativi di cronaca, o di tratta o di sfruttamento della prostituzione. Non fa notizia se una donna abbia scelto consapevolmente e liberamente, come me e tutte le prostitute di San Berillo, di prostituirsi. Per sopravvivere, tante di noi in questo periodo devono rivolgersi alle associazioni umanitarie per avere una semplice busta di spesa“.

Se la prostituzione venisse regolamentata, lo Stato italiano potrebbe pure ricavarne nuovi introiti. “Non abbiamo nessun titolo per scioperare o per lamentarci, perché non siamo neppure considerate dal governo di turno. Siamo stanche di questa subordinazione, di non essere riconosciute. Il fenomeno della prostituzione esiste da secoli e non andrà mai via. Sarebbe intelligente accettarlo e integrarlo nella società – aggiunge -. Vogliamo pagare le tasse e avere gli stessi diritti e doveri di qualsiasi lavoratore. Siamo persone e non dobbiamo vergognarci della professione che esercitiamo. Noi siamo utili alla società, soprattutto a tutti quei maschi che hanno bisogno di un sostegno sessuale. I nostri rapporti sessuali sono sì a pagamento, ma consenzienti. Ho la sensazione che la donna sia più umiliata e violentata in famiglia, più delle prostitute”.

SAN BERILLO, UNA LEZIONE DI SOLIDARIETÀ DA CUI PRENDERE ESEMPIO

Nonostante le grandi difficoltà, dal quartiere di San Berillo giunge una lezione di vita, proprio durante la pandemia. “Il quartiere a luci rosse di Catania, nel mese di marzo aprile e maggio 2020, è stato espressione vivente di solidarietà – spiega il sexworker -. Tutti gli abitanti hanno avuto cibo a sufficienza grazie alla generosità delle donazioni”.

Una gioia che però si è dovuta scontrare con la compresenza infelice dell’arroganza di alcuni ospiti. “Finito il lockdown, le lavoratrici del sesso sono ritornate a lavorare nel quartiere, ritrovando molte case con le porte forzate – continua -. Responsabili i ragazzi di colore, che sono rimasti lì durante la prima chiusura, prendendo possesso di quanto hanno trovato. Si sentivano i padroni dell’intera zona, ci ‘invitavano’ a smettere di prostituirci per non intralciare la loro piazza di spaccio. Ci siamo ribellate a questa loro prepotenza, ricevendo violenze, minacce, estorsioni di denaro. Erano pure soliti ubriacarsi, minacciando i passanti. I mesi di maggio e giugno sono stati veramente un inferno”.

Non sempre dunque chi si trova in condizioni di disagio riesce a fare rete, come tenta invece Trame di Quartiere. La mancanza di empatia e di tatto sfocia in una vera e propria “guerra tra poveri”, come la definisce il socio dell’associazione. “Eravamo esasperate, finché, dopo un confronto con i ragazzi gambiani più aperti al dialogo, abbiamo deciso di scrivere una lettera-denuncia – aggiunge -. L’abbiamo firmata tutte e protocollata al sindaco, all’assessore alle Politiche sociali, al prefetto, ai carabinieri e al questore. Abbiamo descritto la situazione venutasi a creare nel quartiere, chiedendo alle istituzioni di intervenire”.

ABITANTI DI CASE A RISCHIO CROLLO, SENZA NEMMENO SERVIZI IGIENICI

Alle richieste degli abitanti di San Berillo, però, sono seguite delle azioni che hanno dimostrato l’assenza di qualsiasi piano organico d’intervento da parte dell’amministrazione atto a migliorare il tenore di vita degli abitanti. “I militari hanno risposto con il manganello, cioè hanno fatto dei blitz perseguendo lo spaccio con gli arresti dei suoi autori – precisa Grasso -. La maggioranza della comunità è rimasta ad alloggiare in case diroccate a rischio crollo, prive di servizi igienici e in condizioni disumane. Dove sono i servizi sociali? Dove sono le associazioni di sostegno per immigrati? Niente e nessuno si occupa di loro, non hanno altro che la strada per casa e l’unica possibilità di mantenersi attraverso attività illecite”.

PAURA E SUPERSTIZIONE DISTRUGGONO I RAPPORTI UMANI

San Berillo, dunque, non riflette soltanto la crisi che, in tutta Italia, investe l’economia, il commercio e la politica. Ma anche la reticenza delle istituzioni nell’affrontare una situazione di fatto che è sempre esistita e che oggi merita un intervento normativo tale da impedire ingiustamente la sofferenza fisica, psicologica ed economica di alcuni cittadini.
Il maggiore stress, causato direttamente e indirettamente dalla pandemia, ha poi minato persino i rapporti umani che – proprio nei luoghi di maggiore disagio – rappresentano un’ancora di salvezza.

“La mancanza di clienti ha influito negativamente sulle relazioni umane tra gli abitanti del quartiere, che è stato ed è una grande famiglia allargata – spiega il sexworker -. Da quando il virus è comparso, la paura e la superstizione hanno fatto capolino. Come quella mattina in cui in via Pistone, ad angolo con via Maraffino, Carmela ha buttato davanti alla sua porta del sale grosso per attirare a sé un po’ di fortuna, colpendo la faccia di Veronica che si trovava a passare di lì. Non sapremo mai se sia stato soltanto un incidente. Ma conosciamo con certezza le sue conseguenze: con una spinta Veronica ha fatto cadere Carmela, rompendole un braccio, immobilizzato per un mese“. Oltre all’arto, a rompersi è stata pure l’amicizia che le legava.

LE PROPOSTE DI FRANCESCO GRASSO

Alcune prostitute avrebbero deciso in questo difficile periodo di trasferisi altrove, per sfidare la sorte, tentare la fortuna. Ma anche per “cambiare aria”, per conoscere nuove persone e allontanarsi da una condizione fin troppo angusta. Ma Francesco Grasso non si arrende, innamorato del “suo” quartiere, e torna a proporre delle soluzioni.

“Bisogna tutti insieme trovare una soluzione – dice -. Ormai sono qui da diversi anni. Qualche settimana fa, tante associazioni che operano a Catania si sono riunite nella sede di Trame di Quartiere per capire cosa stia succedendo a San Berillo. Si è parlato tanto, ma nessuno è riuscito a formulare delle proposte concrete”. Anche perché le associazioni, pur regalando ottime idee, vengono spesso bloccate dalla molta burocrazia.

Per Grasso sarebbe utile a tutti destinare una piccola parte del Recovery Plan ai più bisognosi e ai quartieri degradati. Per lo stesso principio per cui, tra l’altro, l’Unione europea indica come obiettivo principale il superamento delle disuguaglianze sociali all’interno dei Paesi membri.

GLI SCONTRI CON LA POLIZIA E L’ESIGENZA DI UN NUOVO APPROCCIO.

Sarebbe bello poter finalmente leggere sulle pagine dei giornali buone notizie riguardanti il quartiere. Ma troppo spesso viene menzionato per fatti di cronaca che vedono protagoniste le operazioni di carabinieri e polizia.

“San Berillo è stato sempre sotto l’occhio vigile delle forze dell’ordine. Dagli anni ’60 al 2000 noi prostitute abbiamo subito centinaia di interventi più o meno repressivi da parte delle forze dell’ordine – fa sapere Francesco Grasso -. Ci hanno arrestate per adescamento, per favoreggiamento, sfruttamento della prostituzione. Hanno sequestrato le nostre Case di tolleranza, ci hanno diffidate dal fare ingresso nel quartiere. In effetti, spesso non ci siamo limitate a prostituirci. Abbiamo esercitato violenza tra di noi, per cui la polizia è stata costretta a usare le maniere forti. Dal 2000 in avanti, non ho mai più assistito a simili episodi. Anzi, ogni qualvolta siamo state bersaglio dei delinquenti abbiamo potuto contare sul sostegno delle forze dell’ordine che abbiamo prontamente interpellato. Soltanto nel mese scorso è avvenuto un evento sgradevole tra dei poliziotti e due sexworkers di San Berillo”.

La violenza, secondo il socio di Trame di Quartiere, non può certamente essere una valida soluzione: “Gli interventi della polizia nel quartiere non risolvono i problemi veri di chi ci lavora e di chi vive in strada. Sono interventi minacciosi, violenti e repressivi che comportano intolleranza – conclude -. Serve un approccio diverso, di integrazione, di dialogo. Certo è più faticoso, necessita tempi d’impiego più lunghi, ma è sicuramente più efficace e costruttivo. Perché affinché possa ‘andare tutto bene’ – parafrasando lo slogan – occorre buona volontà”.

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