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Sanità, il bubbone della corruzione è ancora infetto: la storia dell’agenzia di faccendieri che agiva dal 2016

Sanità, il bubbone della corruzione è ancora infetto: la storia dell’agenzia di faccendieri che agiva dal 2016
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L’indagine sulle gare d’appalto che sarebbero state pilotate in diverse aziende sanitarie delle province di Palermo, Trapani e Caltanissetta è la prova di come il bubbone sia ancora infetto

Chi si trova ad avere a che fare con la sanità in Sicilia non ha bisogno di carte giudiziarie per capire come l’intero sistema poggi sulle sabbie mobili. Accedendo, però, ai documenti attorno a cui si sviluppano le inchieste della magistratura si comprende come tale precarietà sia il frutto indiretto di immarcescibili e solidi rapporti di potere, che, come da prassi, coinvolgono funzionari pubblici, faccendieri, privati e sullo sfondo, immancabilmente, la politica. L’indagine sulle gare d’appalto che sarebbero state pilotate in diverse aziende sanitarie delle province di Palermo, Trapani e Caltanissetta è la prova di come il bubbone sia ancora infetto e la prognosi impossibile da delineare. “Una vera e propria agenzia avente come scopo quello di facilitare illecitamente per i loro clienti l’aggiudicazione dei remunerativi appalti di servizi o forniture”, l’ha definita la gip del tribunale di Palermo Carmen Salustro, siglando l’ordinanza che ha portato ai domiciliari Ninni Sciacchitano, l’uomo che sarebbe stato al vertice di un’associazione a delinquere che avrebbe operato nell’ultimo decennio. Già prima dello scoppio, nel 2020, dello scandalo Sorella Sanità.

Uomo di fiducia

La figura di Antonino Sciacchitano, Ninni per i più intimi, è quella dell’uomo di relazioni. Nato a Corleone a novembre del 1959, Sciacchitano ha una carriera ricca di incarichi di prestigio. Nel corso dell’interrogatorio di garanzia, che ha preceduto l’emissione dalla misura cautelare e in cui ha rigettato ogni accusa, i suoi difensori hanno ricordato come Sciacchitano sia attualmente presidente dell’Organismo indipendente di valutazione dell’Asp di Trapani, dell’Azienda sanitaria Villa Sofia-Cervello, della Città Metropolitana di Catania, della Regione Siciliana, ma anche consulente della Corte dei Conti e componente della commissione di studio per la revisione legale nel Consiglio nazionale dei dottori commercialisti.

Di lui gli inquirenti pensano però anche che abbia coltivato rapporti tali da assumere i panni del faccendiere, di colui che è capace di far dialogare mondi diversi, trovando la quadra tra pubblico e privato. Un potere che avrebbe consentito a Sciacchitano di fare pressioni sui pubblici funzionari, riuscendo a ottenere informazioni secretate per poi farle arrivare agli imprenditori interessati a mettere le mani sulle remunerative commesse che girano attorno alla sanità.

L’associazione a delinquere

A collaborare con Sciacchitano, che nel corso delle intercettazioni ha tirato in ballo l’ex presidente della commissione Bilancio all’Ars nel governo Musumeci, il defunto Riccardo Savona, ma anche tentato di avvicinare Silvio Cuffaro (non indagato), dirigente dell’assessorato all’Economia e fratello dell’ex governatore Totò Cuffaro, sarebbero stati anche il 70enne messinese Vito Cino e il 61enne napoletano Lello Cacace.

Nei confronti dei tre, la gip ha riconosciuto fondata l’accusa di associazione a delinquere, perlomeno a partire dal 2016. Un’attività che si sarebbe manifestata anche con il contributo dato alla nomina al vertice della Centrale unica di committenza della Regione di Fabio Damiani, l’ex manager travolto dall’indagine Sorella Sanità sulla corruzione negli appalti della sanità.

“È possibile formulare l’ipotesi secondo cui a partire quantomeno dall’anno 2016 i tre indagati fossero attivi nell’opera di intermediazione fra le velleità dei pubblici ufficiali infedeli, interessati a progressioni di carriera o a maggiori gratificazioni economiche, e i gruppi imprenditoriali inclini a oliare le ruote dell’ingranaggio amministrativo per conseguire l’aggiudicazione di appalti, da cui avrebbero potuto trarre profitti milionari – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – Gli interlocutori appartenenti a questo mondo si sono mostrati ben disposti a interpellare il comitato d’affari facente capo a Schiacchitano affinché lo stesso si interessasse in nome e per conto loro della manipolazione delle suddette procedure, facendo leva sull’influenza del faccendiere e sulla solidità del modus operandi da lui prediletto, che rende i pubblici ufficiali collocati (anche grazie a lui) nei plessi più strategici della sanità regionale facilmente avvicinabili e più malleabili”.

I favori agli imprenditori

Nell’ordinanza vengono ripercorsi diversi episodi che sarebbero serviti a condizionare l’esito di appalti milionari. Tra questi le gare per il servizio di gestione, assistenza e manutenzione del parco apparecchiature biomediche all’Asp di Trapani; il servizio di sterilizzazione dello strumentario chirurgico all’Arnas Civico Di Cristina Benfratelli di Palermo e dell’Asp di Caltanissetta, oppure il servizio di fornitura di pasti all’Asp di Caltanissetta.
Il più delle volte, si sarebbe cercato di entrare in contatto con le figure che a livello amministrativo gestivano le procedure di gara o direttamente con i componenti della commissione.
La guardia di finanza ha sequestrato somme di denaro ritenute mazzette e monitorato il passaggio di documenti – come nel caso dei capitolati d’appalto – in una fase precedente all’indizione delle gare. L’accusa è che, così facendo, le imprese potevano adattare al meglio le proprie offerte e garantirsi la vittoria.

Sirimed

Tra gli imprenditori coinvolti nell’indagine c’è anche Giuseppe Maurizio Rifici, numero uno dell’impresa Sirimed. Rifici, che è accusato di turbata libertà degli incanti e nei confronti del quale è stata emessa la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e il divieto di esercitare attività d’impresa, ha raccontato di avere conosciuto Sciacchitano come revisore contabile nelle aziende ospedaliere.
Rifici non ha ammesso i fatti contestatigli e, quando gli è stato chiesto del rapporto del contratto di collaborazione firmato con il parente di uno degli indagati, ha detto di avere agito come forma di supporto nei confronti del lavoratore e non per un tornaconto personale. E di aver capito solo dopo “che l’assunzione avrebbe potuto essere funzionale al buon andamento della gara”. Sirimed l’anno scorso è stata citata in un’inchiesta giornalistica pubblicata dalla testata IrpiMedia e riguardante lo scandalo legato alla privatizzazione di una serie di ospedali a Malta, voluta dall’allora governo Muscat. La vicenda ha avuto come protagonisti imprenditori e faccendieri stranieri giunti a Malta promettendo grandi investimenti ma finendo per drenare la quasi totalità dei fondi pubblici messi a disposizione dal governo. Su quei fatti è stata aperta un’inchiesta giudiziaria che ha portato all’annullamento della convenzione trentennale tra Stato e privati. Sirimed, rimasta fuori dall’indagine delle autorità maltesi, era stata incaricata della realizzazione di una delle opere previste dal contratto. L’inchiesta giornalistica fece luce su una serie di trasferimenti di denaro – uno dei quali eseguito dall’impresa di Rifici – sul conto di una società svizzera accusata di essere funzionale alla distrazione delle risorse pubbliche.

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