Lo scorso 1 settembre è stata ufficializzata la nota numero 1515 del Ministero dell’istruzione, a firma del capo Dipartimento Marco Bruschi. Confusione e perplessità tra i docenti per integrare i due metodi, per eliminare del tutto i voti serve una modifica legislativa
ROMA – Giudizi e non più numeri: è questo il nuovo scenario per la valutazione finale degli studenti della scuola primaria, reso ufficiale con la nota del Ministero dell’Istruzione numero 1515 dello scorso 1 settembre. Una prospettiva rivoluzionaria, già resa effettiva durante il lockdown con il decreto Scuola, che spinge i docenti a valutare i propri studenti non i base a numeri ma secondo una visione più globale del lavoro degli alunni, esprimendo un giudizio sul lavoro svolto durante l’intero anno.
Emergono, però, sin da subito le prime perplessità e contraddizioni. Stando alla nota a firma di Marco Bruschi, il capo Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione, si chiarisce che “in deroga all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62, dall’anno scolastico 2020/2021, la valutazione finale degli apprendimenti degli alunni delle classi della scuola primaria, per ciascuna delle discipline di studio previste dalle indicazioni nazionali per il curricolo è espressa attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione e riferito a differenti livelli di apprendimento, secondo termini e modalità definiti con ordinanza del Ministro dell’istruzione”.
Di contro, però, Bruschi aggiunge che “la norma, attualmente, nulla dispone per quanto concerne la valutazione intermedia, che resta dunque disciplinata ai sensi dell’articolo 2, comma 1 del Dlgs 62/2017 e dunque con votazione in decimi”. Si tratta, dunque, di una difficoltà non indifferente per i docenti che dovranno riuscire a convertire un numero di marzo in un giudizio finale a giugno e c’è da chiedersi, infatti, come verrà valutato, ad esempio, un 7.
Il quadro finale che ne risulta sembra essere una commistione poco riuscita e confusionaria tra la riforma del 1977, quando vennero ufficialmente eliminate le pagelle numeriche per lasciare spazio alle schede di valutazione e quella del 2008, quando la Gelmini reintrodusse la valutazione numerica. Un mix che, però, appare piuttosto anacronistico, a fronte di una nuova versione della didattica, quella digitale, in cui si ormai può correggere un compito in diretta, collegandosi online e, dunque, non ha più senso parlare di voti quanto piuttosto valutare l’impegno e l’interesse, tenendo conto della specificità e dell’individualità del singolo bambino, aspetti che difficilmente possono essere espressi attraverso un numero.
A denunciare il pasticcio della valutazione nella scuola primaria e a chiedere chiarezza non sono, di fatto, solo gli insegnanti ma anche diversi esponenti politici del Pd i quali, appunto, hanno presentato un emendamento al Senato con il quale richiedono che “al fine di dare omogeneità e coerenza ai processi di valutazione degli alunni della scuola primaria, il comma 2-bis, dell’articolo 1, del decreto-legge 8 aprile 2020” venga sostituito dal seguente: “2-bis. In deroga all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62, dall’anno scolastico 2020/2021, la valutazione periodica e finale degli apprendimenti degli alunni delle classi della scuola primaria (…) è espressa attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione e riferito a differenti livelli di apprendimento, secondo termini e modalità definiti con ordinanza del Ministro dell’istruzione”.
Non mancano le voci interne al mondo scuola, come il Movimento di cooperazione educativa che invita gli insegnanti a giocare di resistenza: ‘’Chiediamo che i collegi dei docenti decidano – ha dichiarato responsabile nazionale Anna D’Auria – in alternativa, con una forzatura, di compilare solo la pagella finale dove sono previsti i giudizi. Nella complessità della riapertura della scuola in emergenza non possiamo dimenticarci dell’aspetto pedagogico: la valutazione non è estranea alla progettazione didattica’’. Spetta adesso alla ministra Azzolina, dunque, dirimere la questione, offrendo risposte chiare e definitive, in quello che è già un momento storico e precario per la scuola.