Sicilia, agricoltura in ginocchio per incendi e cambiamento climatico - QdS

Sicilia da “isola verde” a deserto, clima tropicale e incendi devastano anche l’agricoltura

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Sicilia da “isola verde” a deserto, clima tropicale e incendi devastano anche l’agricoltura

Salvatore Rocca  |
mercoledì 02 Novembre 2022

Il clima della Sicilia non è più quello di un tempo e gli effetti devastanti stanno danneggiando anche il settore dell'agricoltura.

Nella sua Odissea il poeta greco Omero descriveva la Sicilia come “la verde isola Trinacria, dove pasce il gregge del sole”. Oggi, a causa dei cambiamenti climatici, l’Isola si appresta ad assomigliare sempre più a un deserto.

Il caldo anomalo al quale stiamo assistendo nel corso di queste settimane autunnali è soltanto la “coda lunga” di una bella stagione che ha provocato non pochi disagi al territorio siciliano.

Gli effetti sono stati ben visibili. Siccità prolungata, incendi sempre più numerosi e fenomeni meteorologici estremi sono i segni tangibili di un cambiamento del clima dell’Isola da mediterraneo a tropicale.

Una mutazione devastante che – unita al problema del caro energia – adesso sta causando difficoltà al settore agricolo della Sicilia, uno dei capisaldi dell’economia del territorio.

Per meglio comprendere questo quadro drammatico abbiamo interpellato il presidente di Confagricoltura Sicilia, avv. Rosario Marchese Ragona.

Clima “impazzito”, in Sicilia agricoltura in ginocchio

La Sicilia è tra le regioni italiane maggiormente esposte ai cambiamenti climatici: siccità, violenti nubifragi e allagamenti sono alcuni degli effetti più evidenti. Quanto è stato impattante il problema sulla produzione agricola nel corso di questi mesi nell’Isola?

“Mai come negli ultimi due anni – afferma Ragona – abbiamo toccato con mano ciò che significano, per il settore agricolo, i mutamenti climatici e gli effetti devastanti che questi possono provocare su un territorio fragile e in progressivo abbandono come si è dimostrato quello siciliano. A stagioni estive caratterizzate da eccessi termici che sono stati causa di incendi che hanno interessato vasti territori (oltre 250 Comuni nel 2021) hanno fatto seguito autunni caratterizzati da piogge torrenziali e, per la prima volta per queste latitudini, da cicloni e trombe d’aria“.

“A fare i danni i maggiori è l’intensità delle precipitazioni laddove nell’arco di poche ore si sono riversati millimetri di acqua molto superiori di quanto mediamente registrati nell’arco di un’intera stagione invernale. Oltre ai danni immediati come frane, smottamenti e allagamenti, perdita di bestiame e di produzioni in pieno campo per finire con la cascola di frutti pendenti, in particolare di olive ed agrumi, il ristagno di acqua provoca danni irreparabili all’apparato radicale delle coltivazioni arboree esponendole anche ad attacchi fungini e marciume”.

“Secondo le prime stime ufficiali per le principali coltivazioni isolane (viticole, olivicole, orticole ed agrumicole) le perdite di produzione si attestano mediamente tra il 10-30%, media che tiene conto della ripartizione del danno a macchia di leopardo”.

Incendi in Sicilia, mancano mezzi e uomini per i controlli

Anche quest’anno il territorio siciliano è stato colpito da vasti incendi: Pantelleria, Lipari, Palermo e Agrigentino. Le risorse in campo sono sufficienti per fronteggiare una calamità sempre più pesante?

“Per la stragrande maggioranza degli incendi l’origine è dolosa. Se non si interverrà sulle cause che spingono la mano dell’uomo ad effettuare questi scempi che colpiscono le tasche dell’intera collettività non ci saranno mai mezzi e uomini sufficienti a fronteggiare tali calamità che, è bene ricordarlo, costano all’intera collettività diversi milioni di euro”.

“Se per il presente siamo abbastanza pessimisti una speranza la deponiamo sulle nuove generazioni e in questa direzione potrebbero essere utili dei corsi scolastici di educazione ambientale oltre a dei campus nelle aree verdi per garantire anche una forma di presenza e controllo del territorio, controllo che al momento sembra essere l’unica forma di difesa funzionale”.

Forte rischio desertificazione

Cosa rischia la Sicilia nell’immediato futuro, tra desertificazione incombente ed eventi estremi sempre più violenti? Siamo preparati per convivere con un clima tropicale?

“Secondo la Commissione UE – osserva il presidente di Confagricoltura Sicilia – sono 3,8 milioni gli ettari di suolo desertificati, fenomeno che compromette la fertilità dei terreni, riduce le rese colturali e la qualità dei prodotti alimentari. In Sicilia purtroppo questo fenomeno è già comparso nella fascia sud orientale e ben presto si potrebbero aggiungere altre porzioni di territorio che a causa dell’abbandono hanno perso la fertilità che è una componente importante contro la desertificazione”.

Degrado forestale e disboscamento, erosione, impermeabilizzazione e dissesto idrogeologico si traducono in un impoverimento dei terreni ed un avanzamento del fenomeno a cui fin da subito occorre porre rimedio. Un segnale poco incoraggiante arriva dall’UE che continua a tagliare fondi per i programmi di Politica Agricola ovvero di quello strumento in grado di coniugare le esigenze alimentari con quelle della tutela del territorio”.

“Per cercare di affrontare questo cambiamento climatico occorre agire immediatamente. Oltre al completamento della rete infrastrutturale per la raccolta e la distribuzione delle acque riteniamo debbano essere potenziati i canali della ricerca applicata e dell’innovazione tecnologica dei processi produttivi, sul modello israeliano, ed un potenziamento di tutti gli strumenti a garanzia del reddito”.

“Da sempre abbiamo sostenuto che l’agricoltura è una fabbrica a cielo aperto, ma ora più che mai si rende necessaria una maggiore copertura. Come organizzazione stiamo lavorando per mettere a disposizione dei nostri associati forme di assicurazione agevolata in grado di contenere i rischi ed accelerare, in caso di danni, la ripresa produttiva: un suolo fertile contribuisce in modo importante a mitigare il cambiamento climatico, preservando la biodiversità e gli ecosistemi”, conclude Ragona.

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