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Sicilia al collasso tra retribuzioni basse e contratti da fame: ecco perché gli isolani continuano a perdere

Sicilia al collasso tra retribuzioni basse e contratti da fame: ecco perché gli isolani continuano a perdere
Denaro contante – soldi – stipendi – portafogli – Imagoeconomica

Divari salariali tra Nord e Sud, futuro incerto, sistema economico da rivedere. Messina (Confesercenti) al QdS: “Scontiamo la ‘fragilità’ del nostro sistema economico-produttivo”.

I siciliani guadagnano pochissimo: nel 2023, secondo gli ultimi dati messi a disposizione dall’Inps, la retribuzione media mensile lorda è stata di appena 1.318 euro, oltre 500 euro meno rispetto alla media nazionale, che arriva a 1.820 euro.

La differenza si fa ancora più evidente se si vanno a vedere le regioni che si trovano in cima alla classifica: in Lombardia si arriva a 2.254, quasi mille euro in più rispetto all’Isola. Al secondo posto, l’Emilia Romagna a 1.960 euro. I confronti si fanno ancora più impietosi se si scende al dettaglio provinciale.

La retribuzione media dei siciliani, i dati per provincia (2023)

In Sicilia le cifre più basse si registrano in provincia di Trapani, dove le retribuzioni medie mensili si fermano a 1.143 euro; poco sopra, Messina a 1.206 euro, e Enna si arriva a 1.256 euro. I numeri più alti, invece, si registrano a Catania, 1.408 euro, e Siracusa, 1.402 euro.

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Diseguaglianze marcate

È chiaro che queste disuguaglianze salariali molto marcate sono legate al caro-vita e alla produttività, che sono nettamente superiori al Nord rispetto al Sud. Inoltre, non bisogna dimenticare che i valori retributivi medi sono condizionati negativamente dalla presenza dei contratti a termine, come il part time involontario, stagionali, intermittenti, che gravitano in particolare nel Mezzogiorno; in parallelo, si rileva anche la concentrazione nel Nord delle multinazionali, i grandi gruppi industriali e gli istituti di credito/finanziari/assicurativi che, rispetto alle piccole e medie imprese, erogano stipendi più pesanti, ma non sono distribuiti uniformemente lungo tutto lo stivale.

Come sbarcare il lunario?

Una condizione, quella dei siciliani, che rende veramente difficile sbarcare il lunario, considerato che in soli due anni le spese “base”, come pagare le bollette, fare la spesa e vivere una vita che sia almeno dignitosa è costato oltre 3 mila euro in più alle famiglie siciliane in base all’inflazione. Una cifra che molti nuclei hanno difficoltà ad affrontare, anche perché la maggior parte dei prodotti che hanno subito i maggiori rincari sono di prima necessità, dal gas all’energia elettrica, senza dimenticare gli alimenti base, dallo zucchero all’olio di oliva, dal latte alle patate.

Per contro, i prodotti che hanno subìto una riduzione di prezzo sono di categorie merceologiche non di prima necessità, e comunque le riduzioni sono in percentuale molto minore rispetto ai rincari. Nel solo 2023, il rincaro della spesa annua per famiglia siciliana ha superato i mille euro; sono state 4 le città siciliane che hanno superato l’inflazione media nazionale. Palermo ha raggiunto la quota del 6,2%, con un rincaro di 1.231 euro nel 2023: Catania si ferma poco prima, al 5,8%, e una spesa di 1.151 euro. Si risale a Messina, che ha raggiunto il 6% di inflazione e un rincaro della spesa di 1.144 euro. In ultimo, Siracusa, al 5,8%, e una spesa di 1.106 euro. Si tratta, nella pratica, di quasi di uno stipendio medio andato perso in un solo anno.

Retribuzioni medie dei siciliani, più inflazione che aumento di stipendi

Se gli stipendi tra 2022 e 2023 sono aumentati in media del 3,5% a livello nazionale, e del 3,7% in Sicilia, l’inflazione annua è stata del 5,6%. Nel 2022 era andata anche peggio: l’inflazione ha raggiunto la doppia cifra, in una spirale sempre più pericolosa e drammatica, per moltissime famiglie che hanno visto i propri soldi valere sempre meno, le spese aumentare e le speranze per un futuro migliore sempre più labili.

Secondo i dati elaborati dall’Unc, l’unione nazionale consumatori, sono state proprio Catania e Palermo a registrare la percentuale maggiore di inflazione media nel 2022, rispettivamente al 10,3 e al 10,1%. Oltretutto, si è trattato di un record nazionale. Tradotto in denaro, queste percentuali hanno portato a un rincaro, per il 2022, per la famiglia media, di 2.045 euro a Catania e di 2.005 euro a Palermo, numeri più alti nella regione. Michele Giuliano

Confesercenti: “Creati legalmente lavori sottopagati”

“Alle gabbie salariali – commenta al Qds Vittorio Messina, presidente regionale di Confesercenti -, abolite proprio per eliminare le disparità di trattamento economico, sono subentrate una serie di nuove problematiche a cominciare dai cosiddetti ‘contratti pirata’, ai tirocini, alle agenzie interinali e ad altri strumenti che, pur essendo legali, creano dei lavoratori sottopagati rispetto alle retribuzioni previste dai contratti sottoscritti dalle sigle datoriali maggiormente rappresentative. La cosa ancora più grave è che queste forme non prevedono mai gli istituti di welfare che ormai rivestono un’importanza fondamentale per la qualità della vita dei lavoratori, vedi ad esempio l’assistenza sanitaria”.

Il problema siciliano è che vive di stagionalità in molti comparti: “Come ad esempio l’agricoltura o il turismo – continua Messina -, settori questi che non possono garantire un’occupazione stabile per tutti i 12 mesi dell’anno. Anche qui scontiamo la ‘fragilità’ del nostro sistema economico-produttivo, che spesso sceglie la strada del risparmio tagliando sul personale dipendente, ricorrendo sempre più al lavoro precario che crea solo lavoro povero. È indubbio che questo divario nelle retribuzioni dei lavoratori del Sud rispetto a quelli del Nord crea notevoli difficoltà ai lavoratori, che sempre più spesso e sempre in maggior numero non riescono ad arrivare alla fine del mese e soprattutto non riescono ad affrontare eventuali spese ‘non previste’ in tema di salute, etc…”.

“Abbiamo più volte richiesto al governo nazionale la defiscalizzazione degli aumenti contrattuali, in modo da fare arrivare in busta paga quanto più possibile aumentando così il netto in busta. Non dimentichiamo che siamo il Paese europeo che sulle buste paga ha l’imposizione fiscale più alta sul lordo e il netto più basso. L’ultimo aumento contrattuale nel comparto turismo, ad esempio, ha previsto un aumento medio di circa 300 euro ma al dipendente ne sono arrivati netti dai 60 ai 70 euro, è proprio questo che deve far riflettere”, conclude Messina.

Lo scenario “apocalittico” sulle retribuzioni

Il QdS ha chiesto anche un parere al mondo rappresentativo dei commercialisti, interpellando l’Ancot, l’associazione dei consulenti tributari. “In Sicilia – dice il segretario provinciale di Palermo, Antonio Cirabisi – il settore trainante è stato l’agricoltura che, comunque, sta attraversando un periodo poco felice. Il turismo ha sostenuto l’economia siciliana ma, tuttavia, le sue potenzialità economiche sono molto superiori e non pienamente sfruttate. Le imprese più diffuse sono quelle medio-piccole e micro. Inoltre la Sicilia è stata penalizzata dalla carente e deficiente rete dei trasporti stradali e ferroviari. Tutto questo si traduce in una minore reddittività dei lavoratori siciliani rispetto alle altre regioni”.

E poi c’è l’onnipresente lavoro precario: “La precarietà – aggiunge Cirabisi – scaturisce da diverse cause. Alcune di esse sono le attività stagionali come quelle collegate al turismo ed all’agricoltura; la presenza, a differenza dal Nord, di imprese medio-piccole e micro che garantiscono una stabilità economica più bassa rispetto alle grandi imprese ed industrie. Molti giovani lavorano part-time non per scelta ma perché non trovano di meglio. In Sicilia il 35% della forza lavoro si concentra soprattutto su due settori: istituzioni dello Stato e commercio. I lavoratori statali in Sicilia sono il 13.9% del totale, mentre nel settore del commercio sono l’11% di commercianti e 10.5% di dipendenti nel commercio. Le conseguenze del lavoro precario sono redditi bassi, pensioni basse in quanto i contributi versati saranno stati versati in misura ridotta; aumentano le famiglie che vivono in stato di povertà o addirittura sotto la soglia di povertà e i giovani continuano ad emigrare”.

Ma quale sarà quindi la conseguenza? “Avremo persone più malate – è lo scenario proiettato dall’Ancot – perché non si potranno curare adeguatamente; continuerà la ‘fuga dei cervelli‘; il rischio di rivolgersi alla criminalità per trovare lavoro o ricevere prestiti a tasso di usura per fronteggiare spese per la sopravvivenza; minore possibilità di seguire un’istruzione scolastica non solo quella universitaria. Nell’attuale incertezza economica i giovani non fanno più figli e questo produce già, e continuerà a farlo, un calo demografico con conseguenze negative future sulle casse previdenziali per il pagamento delle pensioni”.