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Sicilia in fiamme, cronaca di un disastro annunciato. Scarsa prevenzione

redazione

Sicilia in fiamme, cronaca di un disastro annunciato. Scarsa prevenzione

mercoledì 18 Agosto 2021

Secondo i numeri estrapolati dalla banca dati Effis (European forest fire information system) nell’Isola, tra il primo gennaio e il 17 agosto, andati in fumo circa 70mila ettari di superficie

di Antonio Leo e Gabriele D’Amico

Da Palermo a Siracusa, anche ieri la Sicilia ha vissuto una giornata infernale. Dalla statale 113, in zona Altavilla Milicia, alla 114, la cosiddetta “Orientale Sicula”, le fiamme si sono alzate ancora una volta lambendo auto e abitazioni. Roghi quotidiani in un’Isola che non smette di bruciare. E così ettari su ettari di bosco vanno in fumo con conseguenze disastrose dal punto di vista ambientale ed economico.

Secondo i numeri che il Quotidiano di Sicilia ha estrapolato dalla banca dati Effis (l’European forest fire information system, portale che rientra nel programma “Copernicus” della Commissione Ue) nella nostra regione, tra il primo gennaio e il 17 agosto 2021, sono stati percorsi dal fuoco più di 70 mila ettari di superficie (considerando tutto, dalle sterpaglie fino ai boschi pregiati). Un dato spaventoso che si avvicina alla stima elaborata dalla Protezione civile regionale (63 mila ettari) e che rappresenta circa la metà del territorio bruciato in tutta Italia (quasi 135 mila ettari alle 13:30 del 17 agosto 2021 secondo l’Effis).

Un triste primato reso ancora più inquietante dal fatto che tra il 2008 e il 2020 gli incendi hanno raso al suolo “solo” 31.053 ettari in tutto il Paese: significa che nei primi nove mesi di quest’anno sono stati devastati un numero di ettari pari a oltre quattro volte quelli distrutti nei dodici anni precedenti. Insomma, come nel 2021 mai.

Una crescita esponenziale che non si può spiegare soltanto con la “mano criminale” dei piromani, storicamente presenti nella nostra Isola. Si tratta di una lettura miope di quanto sta accadendo, che non tiene conto (in malafede?) del pericoloso surriscaldamento della Sicilia e che, unito ad una scarsa opera di prevenzione e a una estremamente bassa efficienza dell’antincendio siciliano, creano le condizioni ideali per far divampare i roghi.

Anche dal punto di vista economico la situazione è disastrosa. Secondo una stima della Coldiretti, infatti, ogni ettaro distrutto dalle fiamme costa 10mila euro (l’associazione di categoria tiene conto, oltre che dei costi immediati per le operazioni di spegnimento, anche di quelli per la bonifica delle aree incendiate). Con un rapido calcolo, si può dunque stimare che, al 17 agosto scorso, la conta dei danni siciliani si avvicini già a una cifra incredibile, tra 600 e 800 milioni di euro. “Bruciati”, è proprio il caso di dirlo, in un solo anno.

CLIMATE CHANGE E INCENDI: C’È UNA CORRELAZIONE

I negazionisti del climate change dovrebbero venire a trascorrere le loro vacanze in Sicilia. L’Isola, trovandosi al centro di un “hotspot” climatico come il Mediterraneo, infatti, tende a subire il surriscaldamento molto più velocemente rispetto ad altre parti del continente. A dimostrarlo è il recente record raggiunto dalla città di Floridia, nel siracusano. Qui si è registrata la temperatura più alta mai raggiunta in Europa: 48,8°.

L’ultimo rapporto dell’Ipcc ha dimostrato come esiste una vera e propria correlazione tra le ondate di calore, che in Sicilia sono ogni anno sempre più frequenti e intense, e lo scoppio degli incendi. I modelli forniti dagli esperti dell’Onu mostrano cosa potrebbe accadere se la crescita della temperatura dovesse superare gli 1,5 gradi rispetto all’era preindustriale auspicati dagli accordi di Parigi nel 2015 (attualmente il riscaldamento globale è di “appena” 1,1°): il termometro, nel Sud Italia, d’estate potrebbe salire di due gradi e le precipitazioni diminuire del 20%. Se poi l’innalzamento globale delle temperature dovesse raggiungere i 4 gradi in più, le piogge sulla Sicilia rischierebbero di subire un tracollo di circa il 40%. Uno scenario reso ancora più inquietante dal fatto che gli esperti dell’Onu ritengono che nell’area del Mediterraneo aumenteranno i fenomeni di desertificazione e condizioni meteo sempre più favorevoli all’innesco e alla propagazione di incendi devastanti.

Situazione comunque non lontana dalle attuali immagini di interi quartieri cittadini che vengono percorsi dalle fiamme. Questa logica correlazione tra alte temperature e numero di incendi è evidenziata anche da un recente rapporto del Wwf. Secondo l’associazione ambientalista in Italia ci si aspetta, nei prossimi decenni, un aumento del rischio di incendi superiore al 20% e un aumento della stagione degli incendi quantificabile dai 20 ai 40 giorni. Incendi che, come un cane che si morde la coda, comporteranno un aumento di emissioni di composti climalteranti (come il black carbon) influenzando negativamente la qualità dell’aria e la salute umana.

Intanto il Governo regionale e i Comuni continuano a permettere, come se nulla fosse, la cementificazione indiscriminata del territorio, distruggendo l’unico baluardo contro l’aumento delle temperature: la vegetazione. Secondo l’Ispra l’anno scorso nell’Isola sono stati consumati ben 400 ettari di suolo. Come dire che la casa brucia e noi vi gettiamo altra legna per alimentare le fiamme.

IL RITARDO DELLA REGIONE SULLA PREVENZIONE

“La prevenzione in ritardo ha contribuito allo sviluppo degli incendi di questa stagione causati dai piromani. Ed è una responsabilità della Regione”. Sono le dure parole del segretario generale della Flai-Cgil, Tonino Russo, che evidenziano come la drammatica realtà che l’Isola sta vivendo poteva essere contenuta (e come peraltro avevamo scritto sulle colonne di questo giornale nell’inchiesta pubblicata lo scorso 2 giugno).

L’innalzamento delle temperature, come già detto, se unito ad una scarsa attenzione per il territorio e a un’inadeguata prevenzione del rischio di incendio, può essere una vera e propria bomba ad orologeria. Bomba che in Sicilia è scoppiata. Le opere di manutenzione boschiva, che dovrebbero partire ad aprile e finire a maggio, quest’anno sono iniziate in ritardo (a giugno) e finite in anticipo perché la Regione non aveva abbastanza soldi per il pagamento degli operai forestali stagionali. Addirittura, come spiega il sindacato, in alcune province come quella palermitana o nissena, i cosiddetti “78isti” (gli operai forestali che lavorano solo 78 giorni l’anno, ndr) non sono mai stati chiamati per svolgere il loro lavoro. I 64 milioni riprogrammati dai fondi Poc (a fronte dei 134 milioni previsti) sono serviti a coprire solamente un mese di attività. Troppo poco.

Attualmente, conferma ancora Russo, 13 mila dei quasi 19 mila operai forestali a disposizione della Regione siciliana sono lasciati a casa mentre l’Isola arde e dalle altre regioni italiane vengono inviati carabinieri forestali (25 sono arrivati negli ultimi giorni). Paradosso nel paradosso, è che gli unici forestali siciliani a lavorare sono quelli che si occupano attivamente di spegnere i roghi e non di effettuare tutte quelle operazioni che bloccano preventivamente gli incendi come la realizzazione dei viali parafuoco e la rimozione delle sterpaglie dalle strade, dalle mulattiere, dalle aree attrezzate e nei punti più sensibili.

Il risultato è “un territorio abbandonato con sterpaglie cresciute a dismisura”, sottolinea il segretario Flai. “Io sono stato sui luoghi degli incendi – continua il sindacalista – e purtroppo ho visto anche l’esiguità dell’antincendio: squadre di tre persone e mezzi con freni guasti. Urge una riforma del comparto”. Riforma che dopo ben quattro anni la Giunta Musumeci ha partorito, ma che ora si trova ferma in commissione Ambiente all’Ars.

FORESTALI: ESERCITO NON UTILIZZATO

La cattiva gestione del comparto forestale è una problematica annosa per la Sicilia che ogni anno, puntualmente, si trova a dover fare i conti con carenze di personale nonostante abbia circa la metà di tutti gli addetti che, a vario titolo, si occupano dei boschi in Italia. Numeri eccessivi se confrontati con le Regioni che hanno il doppio della superficie forestale dell’Isola.

In Lombardia, ad esempio, gli addetti ai lavori sono 416 a fronte di circa 664.192 ettari di boschi (in questo caso gli ultimi dati ufficiali sono del Mipaaf e risalgono al 2019). Praticamente ad ogni operaio spetta, in media, il controllo di 1.600 ettari.
La Regione siciliana, invece, può contare su circa 18.639 operai e su 379 guardie forestali: un vero e proprio esercito di oltre 19 mila unità a guardia di una superficie di “appena” 381.647 ettari di foresta. Ogni operaio siciliano, dunque, potrebbe controllare in media venti ettari. Numeri altissimi che non sono conciliabili con la reale gestione delle foreste siciliane. A causa della cattiva organizzazione del settore e della mancanza di finanze regionali, attualmente, su circa 19 mila operai solo 6 mila sono attivi, mentre ben 13 mila sono fermi. E va chiarito che su 6 mila (assunti solo nel periodo estivo) nessuno si occupa di prevenzione ma solo di operazioni di spegnimento e vigilanza.

Michele Orifici, presidente della sezione siciliana della Società italiana di geologia ambientale

Il cambiamento climatico ha un grosso ruolo nella crescita esponenziale di numero di incendi e di ettari di superficie inceneriti in Sicilia. A spiegare la correlazione tra innalzamento delle temperaure e roghi è Michele Orifici, presidente della sezione Sicilia di Sigea (Società italiana di geologia ambientale).

Sono state settimane drammatiche per boschi e foreste siciliani. Quanti sono gli ettari andati in fumo in questa stagione estiva?
“Fino a qualche giorno fa gli ettari di foresta bruciati erano circa 110mila. Negli ultimi giorni sono sicuramente aumentati. La situazione è drammatica, anche perchè parliamo di numeri eccessivamente superiori a quelli degli ultimi 15 anni. C’è qualcosa che a noi non convince. Mentre da una parte si fa di tutto per salvaguardare il nostro pianeta e per individuare misure che possano consentire di migliorare e salvaguardare la biodiversità, dall’altra parte c’è chi tutto questo non lo vuole e lavora per distruggerlo. E quello che stiamo vedendo in questi giorni, purtroppo, è un’amara realtà”.

Esiste una correlazione tra le ondate di calore, le alte temperature e il verificarsi degli incendi?
“Siamo in una fase di cambiamenti climatici in atto. Da una parte assisteremo a periodi con temperature sempre più elevate per numerosi giorni o settimane. Dall’altro lato avremo piogge intense concentrate in un tempo brevissimo. Si capisce bene come con queste piogge, che si concentrano nell’arco di poche ore, si va incontro a problemi legati a fenomeni di dissesto idrogeologico. Fenomeni che vengono accentuati con il problema delle aree incendiate: viene meno la chioma degli alberi e la distribuzione al suolo delle acque e dove ci sono le condizioni favorevoli si innescano facilmente colate di fango e detriti che se si trovano in zone abitate espongono a un rischio le popolazioni, altrimenti possono interessare direttamente i corsi d’acqua e nel momento in cui pioverà ancora più forte l’acqua non avrà più il suo naturale deflusso. Di conseguenza si verificheranno esondazioni che a loro volta metteranno a rischio la popolazione. è un problema serio che non finisce solo con gli incendi e che si protrarrà per diverso tempo”.

Quindi c’è effettivamente una correlazione tra il climate change e gli incendi?
“La correlazione c’è ma è chiaro che c’è anche un’azione criminale in corso che sfrutta questa situazione. Il connubbio tra le due cose fa male al nostro ecosistema”.

Per la seconda volta una città siciliana ha raggiunto il record di città europea più calda. È un primato che peggiorerà o le azioni messe in campo conterranno questo trend?
“Tutti i dati a disposizione dicono che la situazione andrà sempre più a peggiorare. Dobbiamo aspettarci che periodi come quello che stiamo vivendo accadranno in futuro con maggiore frequenza. Coscienti di tutto ciò dobbiamo lavorare affinchè si adottino tutte le contromisure per la salvaguardia dei territori e delle persone”.

Sul banco degli imputati per questi incendi, oltre ai piromani, è finita anche l’assenza di prevenzione da parte della Regione siciliana. Secondo lei quest’accusa è motivata?
“Credo che negli anni si sia lavorato e ci sia stata una buona azione nell’ottica della prevenzione. Quello che torno a dire è che dinnanzi ad una situazione che è più grande di ciò che si potesse immaginare, bisogna lavorare molto di più mettendo a disposizione ancora più mezzi e ancora più uomini. Sopratutto, svolgere le attività di controllo con la giusta strumentazione e con tecnici esperti. Credo che la Regione stia affrontando questo aspetto, ma chiaramente deve incidere molto di più. Deve essere più incisiva nelle sue scelte”.

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