In Sicilia 1 minore su 4 vive in condizioni di povertà: le differenze col resto d'Italia - QdS

In Sicilia 1 minore su 4 vive in condizioni di povertà: le differenze col resto d’Italia

In Sicilia 1 minore su 4 vive in condizioni di povertà: le differenze col resto d’Italia

lunedì 15 Novembre 2021

In Sicilia solo 1 bambino su 16 (5,9%) usufruisce di asili nido o servizi integrativi per l'infanzia finanziati dai Comuni. L'Isola lontana dalla media nazionale nel report di Save The Children

La Sicilia conferma con valori ben al di sotto della media nazionale la fotografia in negativo dell’infanzia: più di 1 minore su 4 vive in condizioni di povertà relativa.

Il report di Save the Children

Gli “early school leavers” – cioè ragazzi tra i 18 e i 24 anni che non studiano e non hanno concluso il ciclo d’istruzione – sono il 19,4% e i NEET – giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non sono inseriti in alcun percorso di formazione – raggiungono addirittura il 37,5%. Se già rispetto alle percentuali medie in Italia (rispettivamente 13,1% e 23,3%) questi numeri sono indice di un fenomeno preoccupante, il confronto con le medie europee segna un solco ancora più profondo (9,9% e 13,7%).

La fotografia scattata nella XII edizione dell’Atlante dell’infanzia a rischio, dal titolo “Il futuro è già qui”, diffuso a pochi giorni dalla Giornata mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza da Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro – è quella di giovani generazioni su cui non si è investito a sufficienza, che, a causa della pandemia da Covid-19, hanno perso mesi di scuola, hanno sofferto l’isolamento e la perdita di relazioni, e a cui è urgente fornire risposte concrete.

In Italia

La pubblicazione, a cura di Vichi De Marchi ed edita da Ponte alle Grazie, racconta un’Italia ogni giorno più vecchia, ingabbiata nelle diseguaglianze sociali, economiche e geografiche, in cui i minori sono sempre più poveri, non vengono considerati come il capitale più prezioso per il futuro del paese, non vengono ascoltati.

In 15 anni in Italia la popolazione di bambine, bambini e adolescenti è diminuita di circa 600 mila minori e oggi meno di un cittadino su 6 non ha compiuto i 18 anni. E nello stesso arco di tempo è dilagata la povertà assoluta, con un milione di bambine, bambini e adolescenti in più senza lo stretto necessario per vivere dignitosamente.

Un debito demografico, economico e soprattutto un debito di investimento nelle generazioni più giovani, che ha travolto tutto il paese: tra il 2010 e il 2016 la spesa per l’istruzione in Italia è stata tagliata di mezzo punto di PIL, e si è risparmiato anche sui servizi alla prima infanzia, le mense e il tempo pieno, lasciando che, allo scoppio della pandemia, i divari e le disuguaglianze di opportunità spianassero la strada ad una crisi educativa senza precedenti.

La direttrice di Save the Children Italia

“Siamo di fronte ad un domani incerto. Da un lato c’è un futuro che rischia di essere compromesso dalla crisi economica, educativa, climatica. Dall’altro sembra esserci la miopia della politica che in questi ultimi decenni non ha investito a sufficienza sul bene più prezioso del nostro paese, l’infanzia. In Italia abbiamo un milione e trecentomila minori in povertà assoluta e la percentuale di NEET più alta d’Europa, con un esercito di giovani che non studia, non cerca lavoro e non si forma.

Giovani che non sono messi nelle condizioni di contribuire attivamente allo sviluppo del Paese, senza dimenticare che povertà e assenza di educazione sono il terreno perfetto per attrarre risorse nelle mafie organizzate”, afferma Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children Italia.
“Ascoltare le istanze di bambine, bambini e ragazzi è un imperativo: si aspettano una società diversa e dobbiamo renderli protagonisti di questo cambiamento. Il tempo delle parole è passato e ora bisogna immediatamente impegnarsi in politiche concrete a favore dell’infanzia: i fondi dedicati alla Next Generation sono risorse importanti che possono trasformare le parole in realtà ed è un’occasione che non possiamo perdere”.

I dati in Sicilia

Le diseguaglianze e la povertà educativa si sperimentano sin dalla primissima infanzia. In Sicilia solo 1 bambino su 16 (5,9%) usufruisce di asili nido o servizi integrativi per l’infanzia finanziati dai Comuni, un dato ben lontano dalla media nazionale (14,7%). La spesa media pro capite (per ogni bambino sotto i 3 anni) dei Comuni della Sicilia per la prima infanzia è di 386 euro ciascuno, un dato tra i più bassi in Italia dove l’investimento sull’infanzia va dai 149 euro della Calabria ai 2.481 euro della Provincia Autonoma di Trento.

Né il divario riguarda solo la prima infanzia. Anche crescendo, le disuguaglianze non spariscono: in Italia solo il 36,3% delle classi della scuola primaria usufruisce del tempo pieno, con forti disparità sul territorio. Guardando alle province della Sicilia, la maggioranza non riesce a raggiungere nemmeno il 10%, come nel caso di Ragusa (4,5%), Palermo (6,3%), Catania e Siracusa appaiate all’8,7% e Trapani (8,8%), Agrigento si attesta all’11,1% e la situazione è un po’ migliore, ma sempre lontana dalla media nazionale, a Messina (18,2%), Enna (21,5%) e Caltanissetta (23,1%).

Cali di apprendimento e divari sono evidenti nell’analisi degli ultimi test Invalsi, su cui pesano fortemente i mesi di chiusura delle scuole durante la pandemia. La dispersione implicita, ovvero il mancato raggiungimento del livello sufficiente in tutte le prove, in Italia è in media del 10% nell’ultimo anno delle scuole superiori, con significative variazioni su scala regionale. In Sicilia, tranne Ragusa che si mantiene in linea con la media del paese segnando un 10,2%, le altre province registrano tutte percentuali più alte a partire da Messina (12,5%), e poi Catania (14,5%), Trapani (16%), Caltanissetta (17,3%), Siracusa (17,8%), Palermo (18,7%), Enna (19%), mentre il grado di preparazione di gran lunga peggiore si segnala ad Agrigento (25%).

I dati INVALSI hanno, inoltre, certificato che, se la crisi complessivamente ha colpito tutti gli studenti, le bambine, i bambini e gli adolescenti che erano già in condizione di svantaggio hanno subito le conseguenze più gravi. I punteggi medi dei test in italiano e matematica, evidenziano, infatti, risultati peggiori per i ragazzi che provengono da famiglie di livello socio-economico basso o medio basso, confermando come la DAD abbia fatto venire meno l’effetto perequativo della scuola, lasciando indietro gli studenti che per mancanza di strumenti e di aiuto in casa, non sono riusciti a stare al passo col programma.

Le diseguaglianze sociali si traducono non soltanto in mancanza di opportunità educative per milioni di bambini ma anche nell’impossibilità di soddisfare esigenze basilari: già nel 2019 l’indagine Eu-Silc Eurostat certificava in Italia un tasso di povertà alimentare dei bambini tra 1 e 15 anni del 6%.

Nel 2020, l’anno della pandemia, i dati sulla spesa delle famiglie con figli minori mostrano differenze notevoli tra quelle più ricche e quelle in condizione di povertà: al Nord la spesa alimentare media mensile di una famiglia benestante era di 913 euro, due volte e mezzo quella di una famiglia del quinto meno abbiente, che spendeva 380 euro. Al Centro la differenza aumenta e nel Mezzogiorno si allarga passando da 1267 euro per le famiglie più abbienti a 442 per quelle più povere.

Per il quinto di famiglie più in difficoltà, la spesa alimentare e quella per l’abitazione, incluse le bollette, occupa la gran parte del bilancio familiare, lasciando poco e niente per spese importanti per la cultura, lo sport, la salute e per l’istruzione dei figli. Proprio su queste voci di spesa ‘educative’ e generative la forbice tra famiglie benestanti e in difficoltà si allarga drammaticamente, segnalando anche un possibile divario di offerta territoriale di opportunità legato ai luoghi in cui crescono i bambini, laddove le famiglie più povere sono più concentrate nelle cosiddette “periferie educative”.

“Con la pandemia i divari nelle opportunità di crescita si sono ampliati, non solo lungo la linea geografica nord sud, ma anche all’interno delle regioni più sviluppate, nelle grandi città come nelle aree interne, spiega Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia- Europa di Save the Children. “Quella descritta dall’Atlante è una geografia dell’infanzia che svela ingiustizie di opportunità, di diritti e di futuro. Il punto di svolta per invertire la rotta è il PNRR, combinato alla nuova programmazione dei fondi europei e alla Child Guarantee, un investimento complessivo sull’infanzia che non ha precedenti dal dopoguerra.

Ma se l’impiego di queste risorse sarà volto a rafforzare solo i territori più attrezzati e verrà tutto deciso dall’alto, senza un coinvolgimento delle comunità locali e degli stessi ragazzi e ragazze, il rischio reale è quello di migliorare gli indicatori nazionali senza tuttavia ridurre – anzi aggravando – le disuguaglianze. E’ un rischio concreto, se si considerano i primi bandi sugli asili nido che hanno tagliato fuori molti territori più deprivati. Inoltre gli investimenti nelle infrastrutture previsti dal Piano vanno subito collegati ad un aumento permanente della spesa per i servizi, se non vogliamo trovarci, come già successo in passato, di fronte ad asili nido nuovi di zecca che restano chiusi per mancanza di personale. Occorre fare dunque del PNRR non un insieme di progetti, ma una nuova direzione di marcia per il paese, dove i diritti di tutti i bambini, le bambine e gli adolescenti siano messi al primo posto delle politiche”. (ITALPRESS).

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