Sicilia, vino della solidarietà, un progetto "giovane" - QdS

Sicilia, vino della solidarietà, un progetto “giovane”

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Sicilia, vino della solidarietà, un progetto “giovane”

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lunedì 05 Aprile 2021

Un sapore ancora vivo nonostante siano passati dodici mesi dall'iniziativa di Alessandro, Nicco e Sirah, che dalla Tenuta Regaleali hanno regalato un sorriso ai bambini dell'Arenella di Palermo.

Alessandro, Nicco Tasca e Sirah Maugeri. Tre giovanni ragazzi, tutti vignaioli siciliani, figli d’arte, che in pieno lockdown si sbracciano per regalare un sorriso, ritrovando allo stesso tempo le loro radici.

“È un pomeriggio di primavera e passeggiando arriviamo ad una piccola vigna. Circa 1 ettaro di Pinot Nero che prende vita grazie all’irruenza borgognona di 3.800 piante. Un piccolo vigneto, di una varietà insolita, non ancora raggiunto dalle mani dell’uomo. Una sperimentazione ante litteram come quelle del nonno Lucio negli anni ’80. Ci guardiamo negli occhi, e in Sicilia basta “una mezza taliata” per intendersi, e decidiamo di prenderci cura di quella vigna, ogni giorno, con costanza, con dedizione”.

I tre ragazzi guardano e cercano di imitare chi lavora quelle terre da sempre, da chi, appunto, ha piantato lì le proprie radici: “iniziamo così tutte le lavorazioni che il momento richiede: zappiamo la terra manualmente, poi spolloniamo le viti, le potiamo a verde e ne leghiamo i tralci. Fino al 18 maggio, data che segna la chiusura di un percorso in vigna e l’apertura di un progetto. Raccolte le uve, abbiamo deciso di imbottigliarlo; abbiamo scelto la bottiglia e disegnato l’etichetta. È così che è nato ECS, Pinot Noir interamente siciliano, dalla vigna al bicchiere”.

Così Alessandro, Nicco e Sirah, dopo avere prodotto 250 bottiglie del “loro” vino, decidono di metterlo in vendita sul web con l’obiettivo di raccogliere fondi per realizzare uno spazio ludico per i bambini e i ragazzi del quartiere Arenella di Palermo.

Una esperienza, quella dei tre giovani vignaioli siciliani, che li ha portati ad avere una maggiore consapevolezza di se stessi, ma anche del loro territorio e del “sudore” che si racchiude sotto il tappo da sughero: “Abbiamo capito in quei giorni cosa significa lavorare la terra, la stanchezza che ti fa bruciare la schiena piegata per ore, le gambe indolenzite, la fatica che si prova. Alla fine della giornata eravamo stanchissimi, ma avevamo fatto qualcosa che si fa da centinaia di anni, che sa di terra e che sa di vita. Un’annata, la 2020, che non dimenticheremo mai”.

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