Dal 19 luglio 1992, il momento in cui scomparve, l’agenda di colore rosso che il dottor Paolo Borsellino ricevette in regalo dall’Arma dei Carabinieri poco prima della fine del 1991 è diventata un simulacro laico, una sorta di Sacro Graal la cui ricerca, molto spesso più intellettuale che pratica, ha mobilitato non solo moltissime persone comuni, molti attivisti antimafia ma anche molti scrittori e giornalisti.
Sull’agenda rossa sono stati scritti “fiumi di parole” soprattutto sul suo contenuto che, nonostante nemmeno le persone più vicine a Borsellino ne avessero contezza, è stato sbandierato come una sorta di testamento del giudice. Analoga valutazione può essere fatta rispetto al luogo in cui si sia potuta trovare e su chi ne fosse in possesso. Nel tempo si è indicata la cassaforte dell’ultimo domicilio di Totò Riina, poi quella di Matteo Messina Denaro. O che, come sostenne durante un’intervista che rilasciò a Report nel 2021 Salvatore Baiardo, l’ex gelataio di Omegna già uomo della famiglia Graviano, l’agenda sia in più mani, in più copie e che ci fu un grosso incontro a Orta, un piccolo comune in provincia di Novara, proprio per quell’agenda rossa. Baiardo, tra l’altro, ha detto che lui l’avrebbe addirittura vista.
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Il procuratore Salvatore De Luca e l’aggiunto Pasquale Pacifico della Procura generale di Caltanissetta, nell’ambito del processo di secondo grado sul depistaggio delle prime indagini sulla strage di via D’Amelio, hanno riaperto le indagini sulla scomparsa dell’agenda in cui Borsellino annotava i dettagli delle sue indagini, cominciate dopo la strage di Capaci e hanno chiesto di acquisire le sommarie informazioni testimoniali di cinque poliziotti che furono sentiti tra il 2006 e il 2019, ma alcuni di loro anche nei giorni scorsi, “sul rinvenimento della borsa del giudice Borsellino nella stanza di La Barbera” dopo la strage. Si tratta dei poliziotti Andrea Grassi, Armando Infantino, Giuseppe Lo Presti, Nicolò Giuseppe Manzella e Gabriella Tomasello. Quindi sembra che non sia mai stata rubata dalla mafia e, di conseguenza, non sia stata l’oggetto di ricatto mafioso nei confronti dello Stato, come spesso sostenuto.
Che l’agenda rossa fosse all’interno della borsa che il giudice Borsellino aveva con sé quel 19 luglio, sembra essere acclarato dalle dichiarazioni dei suoi familiari: “io ho testimoniato personalmente in ordine alla presenza dell’agenda rossa nella borsa perché sono stata testimone oculare dell’utilizzo dell’agenda da mio padre la mattina del 19 luglio”, ha dichiarato durante l’audizione in Commissione Antimafia Lucia Borsellino. “Sono certa che l’ha portata con sé ed escludo la possibilità che l’abbia lasciata a casa al mare o in altri luoghi perché mio padre non se ne separava mai. Nella malaugurata ipotesi l’avesse lasciata a Villagrazia di Carini non gli fu dato il tempo di tornare – ha detto Lucia – e in quella casa abbiamo subito un furto in cui è stato messo a soqquadro solo lo studio di mio padre e non fu rubato nessun oggetto di valore”.
Che la borsa in questione fosse nell’auto che lo stesso giudice Borsellino guidò da Villagrazia di Carini a via d’Amelio può essere considerata una verità storica. Nel febbraio 2006 la Procura di Caltanissetta aprì un’indagine sulla scomparsa dell’agenda rossa del giudice Borsellino, in seguito alla segnalazione di una fotografia scattata da un giornalista subito dopo l’attentato, tra le 17:20 e le 17:30 del 19 luglio 1992, scoperta casualmente solo nel 2005, in cui si vedeva l’allora capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli che si allontanava da via d’Amelio con la borsa del giudice Borsellino. Arcangioli fu inizialmente indagato per false dichiarazioni ma, nel febbraio 2008, il giudice per le indagini preliminari l’incriminò anche per il furto dell’agenda rossa e la Procura di Caltanissetta ne chiese il rinvio a giudizio. Paolo Scotto Di Luzio – il giudice dell’udienza preliminare – rigettò la richiesta, sostenendo che non vi erano le prove per un’incriminazione di Arcangioli poiché la borsa in questione rimase per quattro mesi nell’ufficio del capo della Squadra Mobile di Palermo senza essere aperta e che, quindi, l’agenda potrebbe essere stata sottratta in un momento successivo, motivo per cui Arcangioli fu prosciolto definitivamente nel 2009.
Resta il fatto che c’è un fotogramma che inquadra l’allora capitano Arcangioli con in mano la borsa. Anche se, spesso, il tempo è foriero di venti in grado di sgombrare le nubi, purtroppo non è stato così. L’anno successivo, nel 2009, la stessa Procura di Caltanissetta interrogò un gruppo di poliziotti che, tra i primi, arrivarono sul luogo della strage. Proprio dalle loro testimonianze emerse che è pur vero che Arcangioli aveva la borsa ma che gli fu chiesta, e la ottennero, dai poliziotti che si arrogarono la competenza sulle indagini e hanno raccontato di un passaggio di mano della borsa avvenuto in via d’Amelio tra un capitano dei carabinieri, verosimilmente Giovanni Arcangioli, e l’ispettore Giuseppe Lo Presti. “Quest’ultimo mi fece consegnare dal militare la borsa per poggiarla dentro la macchina di Maggi”, ha messo a verbale poche settimane fa Armando Infantino. Lo Presti ricorda invece pochissimo su quella giornata anche se non ha smentito il racconto del collega. La borsa pare quindi sia stata messa nell’auto di servizio e, successivamente, consegnata al capo della Mobile La Barbera.
Il primo colpo di scena sembra essere stato disvelato nell’ultimo libro di Vincenzo Ceruso dal titolo “La strage. L’agenda rossa di Paolo Borsellino e i depistaggi di via D’Amelio”. Esso contiene un’intervista al dottor Salvatore Pilato, al tempo magistrato in servizio a Palermo che era di turno con il dottor Patronaggio proprio quel 19 luglio, il quale dichiara che: “Sono stati apposti i sigilli alla stanza d’ufficio del procuratore Borsellino, dove era collocata un’agenda rossa che nella fase iniziale delle indagini è stata ritenuta l’agenda contenente gli appunti personali di natura riservata”, ma nel contempo afferma che così un collega gli ha riferito e che “poi, lessi da qualche parte che Agnese Borsellino aveva detto chiaramente che quella non era l’agenda rossa in cui il marito faceva le sue annotazioni riservate”. C’è da ricordare che entrambi i magistrati, Patronaggio e Pilato, non furono mai stati sentiti dall’autorità giudiziaria competente.
L’altro colpo di scena è invece stata la perquisizione effettuata nello scorso mese di settembre delle abitazioni della moglie e dalla figlia, fra Roma e Verona, dell’ex capo della squadra mobile della Questura di Palermo, Arnaldo La Barbera, su disposizione della Procura di Caltanissetta e che oggi sono indagate con l’accusa di ricettazione aggravata dal favoreggiamento alla mafia. Nessuna traccia dell’agenda ma dalle due abitazioni sarebbero stati portati via diversi documenti del superpoliziotto. A indirizzare la Procura è stata una super testimonianza, quella del padre di un’amica di Serena La Barbera, figlia dell’ex capo della Mobile. Al teste sarebbe arrivata una richiesta da sua figlia: “La mia amica Serena non si sente più di tenere una cosa di suo padre, che è morto nel 2002. Era il questore di Palermo Arnaldo La Barbera. Potresti conservarla tu?”. Il testimone ha chiesto di cosa si trattasse. Risposta: “È l’agenda rossa di Borsellino“.
Le perquisizioni ordinate hanno riguardato anche la postazione di lavoro occupata negli uffici dell’Aisi, i servizi segreti interni, dalla figlia dell’ex superpoliziotto. “Mia figlia – ha detto sempre il testimone – mi ha raccontato anche un’altra confidenza di Serena La Barbera: sua madre, su indicazione fornita dal marito prima di morire, ha usato la documentazione che nascondevano per fare assumere la figlia ai servizi di sicurezza”. Una relazione con la firma di Arnaldo La Barbera in cui c’è scritto che la borsa del magistrato ucciso da Cosa nostra e “un’agenda in pelle” furono state consegnate all’allora procuratore capo di Caltanissetta, Giovanni Tinebra. La relazione è datata 20 luglio 1992, il giorno dopo la strage di via d’Amelio.
In realtà della relazione non c’era traccia alla Procura di Caltanissetta e vari testimoni hanno raccontato di come la valigetta di Borsellino fosse rimasta sul divanetto all’interno dell’ufficio di La Barbera per lungo tempo dopo la strage. Sulla presenza della borsa del giudice Borsellino nell’ufficio di La Barbera ci sono diverse testimonianze. Tra queste quella la funzionaria di Polizia, Gabriella Tomasello che, nel 2006, mise a verbale: “Potrei averla vista sul divano dell’ufficio dell’allora Dirigente della Squadra Mobile, Arnaldo La Barbera, ma non ne ho la certezza. Aggiungo che ciò potrebbe essersi verificato nella tarda serata del 19 luglio”. Ma anche quella di Andrea Grassi, che ha detto di aver “visto una borsa in cuoio negli uffici della Squadra Mobile di Palermo, forse nella stanza del dirigente della Sezione Omicidi. Non ho visionato il contenuto della borsa, che ricordo aperta, circostanza che mi fece notare alcuni effetti personali quali un pantaloncino o una maglietta tipo tennis“.
La borsa di Borsellino rimane, forse, nell’ufficio di La Barbera per più di tre mesi, almeno fino a novembre, quando lo stesso La Barbera andrà a consegnarla alla famiglia Borsellino. Nella borsa, però, non c’era l’agenda rossa, come farà notare Lucia Borsellino che in udienza nel Borsellino quater ha dichiarato: “Quando chiesi che fine avesse fatto, mi fu risposto appunto che non c’era e al mio insistere il questore La Barbera disse a mia madre che io probabilmente avevo bisogno di un supporto psicologico perché ero molto provata. Mi fu detto addirittura che deliravo”.
Il 5 novembre del 1992, qualche giorno prima della riconsegna, fu redatto il verbale di apertura della borsa, firmato dal pm Fausto Cardella. Il magistrato scrisse che, dentro la borsa, c’erano due pacchetti di sigarette marca Dunhill, un paio di pantaloncini da tennis bianchi, un costume da bagno, un carica batterie per telefono con batteria e accessori, un ritaglio di giornale, un paio d’occhiali, un mazzo di chiavi, un pacchetto di fazzoletti, uno scontrino fiscale e tre fogli di carta spillati.
Il 24 ottobre scorso, durante l’audizione in commissione Antimafia della figlia del giudice Lucia Borsellino e dell’avvocato Fabio Trizzino, proprio Lucia ha consegnato la scannerizzazione dell’agenda marrone che risulta essere in possesso della famiglia, dichiarando: “Nella borsa di mio padre c’era anche un’agenda marrone che conteneva una rubrica telefonica, un’agenda che ci è stata consegnata senza alcuna repertazione e della quale siamo in possesso da 30 anni senza aver mai saputo che questa agenda non ha mai avuto alcuna attenzione sotto il profilo delle indagini”.
Ci sono ancora troppe discordanze e soprattutto, mancano ancora molte risposte a domande che non sono mai state formulate. Dove sono finiti i verbali degli interrogatori di Gaspare Mutolo che verosimilmente Borsellino aveva con sé? Esiste un verbale di sequestro di quanto fu repertato nell’ufficio del giudice Borsellino dopo la sua morte? Dove sono i fascicoli contenenti i documenti relativi alle indagini che stava effettuando Borsellino? Sebbene il ruolo di La Barbera, proprio grazie a quanto è scritto nella sentenza del Borsellino IV, sia sufficientemente chiaro e tutto quanto riguarda la perquisizione e gli indirizzi di indagine in atto sia rigorosamente coperto dal segreto investigativo, la matassa che si ritrova tra le mani la Procura di Caltanissetta è particolarmente ingarbugliata.
Nella sentenza del processo “Mario Bo +2”, quello relativo al depistaggio, si legge che “nonostante La Barbera fosse un alto dirigente della Polizia di Stato (certamente ben più apicale degli odierni imputati), era anch’egli un anello intermedio della catena e sarebbe stato importante, ai fini che qui rilevano, poter risalire quella catena per poter apprendere appieno scopi e obiettivi dell’attività di cui si discute”.
Si sta indagando in questa direzione o si continua a ritenere La Barbera l’unico dominus del depistaggio? Non a caso la sentenza della Coprte d’Appello del Borsellino IV ha definito quanto è successo come “il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana”. Ed è lecito pensare che gli strascichi del depistaggio continuino ad apparire per poi sparire con l’emersione di risultanze diverse forse proprio per l’esistenza della catena di cui La Barbera era un anello intermedio e, sebbene la Procura di Caltanissetta abbia la competenza per le indagini di via d’Amelio e quindi sul depistaggio, qualora emergessero elementi che possono far pensare al coinvolgimento, anche solo per semplice omissione d’atti d’ufficio, da parte di magistrati in ruolo alla Procura di Caltanissetta chi ne ha la competenza?