Sukkot, o Festa delle capanne, o dei Tabernacoli, quest’anno sarà celebrata dal 6 al 13 ottobre e quindi per una intera settimana. La Festa ha origini bibliche (Levitico XXIII, 34; Deuteronomio VVI ,13-15) e ricorda che durante il lungo viaggio degli Ebrei, liberati dalla schiavitù del faraone, che li ha visti peregrinare per il deserto, per quarant’anni, prima di giungere alla terra promessa di Israele, tutto il popolo ha sempre dormito in capanne (sukkot) costruite con materiale vegetale raccogliticcio, rami, arbusti e foglie, tra il quale faceva sempre capolino l’immensità del cielo, che si intravedeva dalla precaria cupola di ogni ricovero.
L’insegnamento della Festa risiede in questa trasparenza del tetto delle capanne: le opere dell’uomo e la sua stessa vita sono transitorie e fragili, e del tutto inconsistenti, se non sono sottoposte all’eternità del Cielo. La storia ci ricorda, per la evidente somiglianza dell’odio ed anche per il clima di tensione che si respira in questi giorni, la Festa di Sukkot del 1982. Era un giorno di sabato e alle ore 11.15 del 9 ottobre, dal Tempio Maggiore di Roma, defluivano festosi i fedeli che in quella giornata, come di tradizione, avevano assistito alla benedizione dei bambini. Era ad attenderli sullo slargo antistante la sinagoga un commando di terroristi palestinesi che li investì con raffiche di fucile mitragliatore e lancio di alcune granate.
Il vile attentato portò al ferimento di trentasette persone e all’uccisione di un bambino di soli due anni, italiano di famiglia di fede ebraica, che rispondeva al nome di Stefano Gaj Tachè. Il fatto è così denso di significati ed avvertimenti che il nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo discorso di insediamento innanzi alle Camere riunite, del 3 febbraio 2015, ha proferito queste lapidarie parole: “ Il nostro Paese ha pagato più volte, in un passato non troppo lontano, il prezzo dell’odio e dell’intolleranza. Voglio ricordare un solo nome Stefano Tachè… Era un nostro bambino, un bambino italiano”.
Erano giorni di forte avversione ed ostilità nei confronti degli Ebrei italiani, non diversi da quelli attuali, in quel periodo il pretesto era costituito dall’accusa rivolta e fomentata da più parti sociali, che li incolpavano di non prendere le distanze e non condannare pubblicamente lo stato di Israele, che con il proprio esercito aveva colpito basi militari palestinesi in Libano, con l’operazione denominata “Pace in Galilea”. Il monito del Presidente della Repubblica è di fortissima attualità, giacché, ancor oggi quell’odio e quella stessa intolleranza a cui faceva riferimento il Capo dello Stato, più di dieci anni orsono, rende molti, anzi troppi, incapaci di distinguere e di analisi approfondite. Lo confermano le volute violenze scoppiate in occasioni di recenti manifestazioni di piazza ed ancor più le gravi aggressioni rivolte ai singoli sol perché ebrei.

