Tutela della salute femminile, la prevenzione diventi cultura - QdS

Tutela della salute femminile, la prevenzione diventi cultura

redazione

Tutela della salute femminile, la prevenzione diventi cultura

Vittorio Sangiorgi  |
sabato 28 Maggio 2022

Le novità del Piano della Regione siciliana a supporto delle donne

PALERMO – La tutela della salute passa, anche, dalla prevenzione. Un concetto a cui viene data sempre più rilevanza ma che, in Sicilia, fa ancora fatica ad affermarsi.
E dire che, sul territorio isolano, le iniziative per diffondere la cultura della prevenzione non mancano.

Solo poche settimane fa, ad esempio, si è svolta la settima edizione di “Maggio in…forma”, l’evento organizzato da Andos Comitato di Catania e dalla Fondazione Etica e Valori Marilù Tregua, rivolto alle donne tra 40 e 49 anni non raggiunte dal sistema sanitario nazionale, che hanno potuto prenotare una visita senologica e una mammografia gratuite.
Il riscontro è certamente positivo, dato che le adesioni crescono anno dopo anno. Eppure, al di là dei singoli casi e delle singole realtà virtuose, i numeri regionali restano bassi rispetto alla media nazionale.
Lo testimoniano i dati raccolti dall’assessorato siciliano alla Salute che, nell’ambito del Piano regionale della prevenzione (Prp), ha messo nero su bianco cifre significative.

Con il Prp ogni regione italiana recepisce e implementa, secondo le specifiche esigenze socio-territoriali, il Piano nazionale della prevenzione.

La prevenzione fondamentale per contrastare il rischio o l’insorgenza di patologie

La dimensione della salute femminile, all’interno di tali programmi di intervento, assume una posizione rilevante proprio perché la prevenzione diventa fondamentale per contrastare il rischio o l’insorgenza di patologie quali, ad esempio, il tumore della mammella e dell’utero.

Analizzando attentamente i numeri emergono profonde differenze, nell’ambito di un generale andamento negativo. In riferimento alle nove Asp provinciali, si possono rilevare diversi aspetti significativi (dati del 2019). La percentuale di donne che ha riferito di aver effettuato il Pap-test preventivo negli ultimi 3 anni varia dal 58% di Agrigento al 77% di Caltanissetta a fronte di una media regionale del 70%.
L’agrigentino è maglia nera anche in merito alle mammografie preventive, facendo registrare uno sconfortante 45%, mentre eccelle Ragusa che si attesta all’81%. Il valore medio della Sicilia non è dei migliori e si ferma al 64%.

Cifre sconfortanti se si pensa che il tumore della mammella costituisce la prima causa di morte per neoplasia nelle donne e il tumore dell’utero la sesta.
Ad aggravare la situazione, soprattutto nel 2020, le restrizioni imposte dalla pandemia che hanno determinato una rilevante contrazione di inviti e di test, oltre che un’inevitabile ritardo nell’esecuzione di questi ultimi. Nel primo quadrimestre 2021, ultimo periodo per il quale vi è un riscontro numerico, si è tuttavia registrato un riallineamento con i valori ad aprile 2019.

Importante, a tal proposito, quanto rileva l’assessorato presieduto da Ruggero Razza: “La mancata offerta di prestazioni di screening avrà inoltre un effetto negativo maggiore sulle fasce più svantaggiate della popolazione che, al di fuori dei programmi organizzati, hanno un accesso alle prestazioni di diagnosi precoce più limitati rispetto alle fasce più abbienti, che ricorrono anche al privato (convenzionato e non)”. Gli effetti negativi delineati sopra potrebbero quindi avere un impatto differenziale tra le diverse fasce sociali.

Gli standard nazionali non sono ancora stati raggiunti

Tornando ancora sulle specificità del caso isolano va detto che, anche grazie al “Programma per il miglioramento degli screening oncologici nella Regione Sicilia”, qualche passo in avanti è stato compiuto. Gli standard nazionali, però, non sono ancora stati raggiunti, a causa di alcune criticità principali: la bassa partecipazione della popolazione, dovuta anche al ricorso “opportunistico” a test di screening in modo non appropriato, cioè eseguiti autonomamente presso altri erogatori fuori dai programmi organizzati, il ricorso improprio ai codici di esenzione, la difficoltà di garantire l’uniforme qualità delle attività di screening a causa della carenza di dotazioni strumentali e di personale dedicato.

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