Non potrà più tagliarsi la lunga barba bianca che lo accompagnava da quell’8 agosto 1989 quando il figlio Nino, assieme alla moglie Ida Castelluccio incinta di qualche mese, fu ucciso e che aveva detto si sarebbe tagliato solo nel momento in cui avrebbe avuto verità e giustizia. Non potrà essere in aula quando la corte d’assise di Palermo si pronuncerà sulla responsabilità del boss Gaetano Scotto.
Si è dovuto accontentare dell’unica certezza processuale su quanto accaduto quel giorno, quella parte di verità arrivata, dopo 32 anni, quando il gup Montalto ha inflitto l’ergastolo per Nino Madonia, accusato di duplice omicidio aggravato, che aveva optato per il rito abbreviato e che fu confermata anche in appello. Sono stati anni difficili per Vincenzo, anni di attesa di una verità che non arrivava e di una giustizia che continuava a essere lontana e sfumata. Nel febbraio del 2019 aveva perso la compagna di vita, di testominianza e di lotta, la moglie Augusta Schiera, con la quale aveva continuato a combattere alla ricerca di una verità.
Vincenzo Agostino era nato il 22 marzo 1937 e non si era mai rassegnato alla morte del figlio e della nuora e, nel tempo, aveva denunciato i tentativi di depistaggio legati al duplice omicidio. Da quel maledetto 5 agosto del 1989 Vincenzo, accompagnato fino al suo ultimo giorno dalla moglie Augusta, Vincenzo Agostino ha cominciato a seguire i processi al Tribunale di Palermo, a sentire in silenzio le tante parole di chi deponeva, a osservare i depistaggi, a farsi domande senza risposta. Ha girato per tutta l’Italia, incontrando le diverse associazioni presenti sul territorio e, soprattutto, le scolaresche di tutta la penisola portando con sé la storia del figlio affinché le nuove generazioni prendessero una posizione netta contro quel male che da sempre cancerizza il tessuto sociale, politico ed economico non solo siciliano.
Da padre fiero del proprio figlio e della sua decisione di entrare a far parte del corpo di polizia, in un docufilm dedicato alla sua figura, “Io lo so chi siete”, Vincenzo Agostino ha ripercorso le passioni del figlio, a cominciare da quella per le barche, le stesse che disegnava su un libro di scuola e che ora adornano la sua cappella al cimitero.
Con lucida determinazione, ha ricostruito la maledetta sera dell’omicidio e quello che è accaduto dopo, dalla scomparsa di alcuni documenti chiave nella casa del figlio ai mille depistaggi cui la ricerca di verità è andata incontro. Si commuove spesso, Vincenzo, mentre racconta la storia di Nino e dice “La gente pulita non dimentica i suoi morti”. Nel corso della conferenza stampa di magistrati e investigatori sulla cattura di Matteo Messina Denaro, prese la parola gridando la sua richiesta di verità e giustizia dicendo “Ora che è stata arrestato Messina Denaro, si potrà fare luce sui delitti? Avere la verità che noi familiari della vittime chiediamo da decenni? Si potranno scoprire le complicità e porre fino ai misteri, prendere chi comanda e porre la parola fine?”.
Al processo celebrato davanti alla Corte d’Assise di Palermo sulla morte del poliziotto Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio, quello nei confronti di Gaetano Scotto, l’accusa ha detto “processiamo Gaetano Scotto ma, se non fosse morto, ci sarebbe qui un altro imputato, Giovanni Aiello”. “Anello di congiunzione, ancora una volta, fra il mondo di Cosa nostra e l’ambiente dei servizi segreti deviati che sullo sfondo di questo dibattimento abbiamo messo in evidenza e in chiara luce” ha detto la procuratrice generale di Palermo Lia Sava, nella sua requisitoria del processo Il 20 febbraio scorso si è chiusa la requisitoria con le richieste di pena avanzate dall’accusa: ergastolo per Gaetano Scotto e assoluzione per Francesco Paolo Rizzuto.
La procura generale, rappresentata anche dal sostituto Umberto De Giglio, richiama direttamente la figura dell’ex poliziotto calabrese indicando che “tutte le direzioni delle diverse visuali dalle quali si può analizzare il duplice omicidio si incrociano proprio sulla posizione della figura di Scotto. Tutte le traiettorie probatorie ci portano a Scotto (…) non solo in quanto esponente di vertice del mandamento di Resuttana, in stretti rapporti con Nino Madonia, ma anche in ragione dei rapporti particolari che Scotto intratteneva con uomini delle istituzioni come Giovanni Aiello”.
Nino Agostino, ritiene la Procura, “è stato ucciso anche per evitare che potesse rivelare quelle informazioni che aveva raccolto in merito ai rapporti esistenti tra esponenti mafiosi ed alcuni uomini dello Stato, appartenenti alla Polizia o ai servizi segreti», sebbene “non sia possibile affermare con certezza che nella decisione di uccidere l’agente Agostino abbiano concorso soggetti esterni a Cosa nostra, né è stato possibile individuare con certezza questi soggetti, risulta accertato che uno di quei personaggi che si trovava in quello spazio di connessioni illecite, svolgendo una funzione di collegamento operativo tra mafie e servizi, è Giovanni Aiello, il quale ha partecipato all’organizzazione dell’omicidio dell’agente Agostino”.
Una ricostruzione che ricorda la frase lapidaria pronunciata dall’ex mafioso palermitano e collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo: «D’Agostino è morto perché faceva il poliziotto». Aiello, secondo la ricostruzione dell’accusa, avrebbe aiutato i due killer di Agostino di disfarsi della moto con la quale avevano compiuto l’agguato mortale per poi consegnargli una macchina pulita per fuggire via. Dopo 35 anni, la verità sembra più vicina ma non per Vincenzo, i cui occhi si sono chiusi per sempre.
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