Sentenza n. 21786/2019 del 29 agosto scorso: rigettato il ricorso dell’ex Presidente della Regione siciliana, Cuffaro. Non fu diffamazione: gli ermellini danno ragione a Giusto Catania, allora segretario regionale di R. comunista
ROMA – La critica politica può caratterizzarsi per toni aspri e di disapprovazione più pungenti ed incisivi rispetto a quelli tra privati, il principio è stato ribadito nella sentenza della Corte Suprema di Cassazione, n. 21786/2019 del 29 agosto scorso.
In particolare, gli ermellini nella sentenza hanno rigettato il ricorso di Salvatore Cuffaro, nel quale richiedeva il risarcimento dei danni causati dalla presunta diffamazione perpetrata da Giusto Catania.
Gli avvenimenti risalgono al periodo nel quale Salvatore Cuffaro era Presidente della Regione siciliana e Giusto Catania era segretario regionale di Rifondazione comunista.
Nel 2004 Catania in un’intervista ad un quotidiano regionale aveva accusato Cuffaro di rafforzare con le sue scelte “un blocco di interessi espressione di un potere affaristico-mafioso” come indicavano “i provvedimenti sull’abusivismo, i condoni, le convenzioni con le strutture sanitarie private”, successivamente aveva dichiarato, anche, che con la presidenza Cuffaro si fosse “tornati indietro negli anni bui della collusione tra politica e mafia, gli anni dei Lima, dei Ciancimino e delle stragi”, evidenziando poi che “il sistema politico e quello criminale sono un’unica cosa nella Sicilia del Governatore Cuffaro”.
Secondo i giudici la critica politica gode di margini ben più estesi di quella giornalistica “potendo essere di parte e non dovendo necessariamente essere obiettiva” ma , affinché non trascenda in diffamazione, è necessario che sia caratterizzata da un adeguato bilanciamento tra l’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, che si traduce nell’interesse dell’opinione pubblica a conoscere il punto di vista aspro e contrario dell’avversario politico.
Nella sentenza si precisa, inoltre, il principio secondo cui il controllo affidato al giudice di legittimità, cioè alla Corte di Cassazione, “è limitato alla verifica dell’avvenuto esame, da parte del giudice del merito”, cioè la Corte d’Appello, “della sussistenza dei requisiti della continenza, della veridicità dei fatti narrati e dell’interesse pubblico alla diffusone delle notizie, nonché al sindacato della congruità e logicità della motivazione”, quindi resta “del tutto estraneo al giudizio di legittimità l’accertamento relativo alla capacità diffamatoria delle espressioni in contestazione, non potendo la Corte di cassazione sostituire il proprio giudizio a quello del giudice di merito in ordine a tale accertamento”.
La Corte di Cassazione, conclude evidenziando che la Corte d’Appello di Palermo ha escluso, in base all’attuale quadro normativo e giurisprudenziale, che il diritto di critica politica sia da legare al criterio della verità dei fatti, cioè la critica politica non è soggetta ad alcun vincolo di obiettività, ma ad una valutazione politica di inadeguatezza dell’avversario.
I giudici hanno, inoltre, stabilito che le spese legali, pari a 6.200 euro, oltre al contributo unificato e le spese forfetarie dovute siano a carico di Salvatore Cuffaro. Nel pieno del suo diritto di critica politica Giusto Catania, attualmente assessore al Comune di Palermo alla mobilità, ha commentato la sentenza, sul proprio profilo social, dichiarando di essere “orgoglioso del fatto che le dichiarazioni abbiano anticipato di quasi quattro anni la sentenza di un tribunale che ha condannato Cuffaro per i suoi rapporti criminali. La politica non deve attendere la magistratura per combattere la mafia e per denunciare le convivenze criminali”.