Giustizia: c'è una colpa medica per la ritardata diagnosi - QdS

Giustizia: c’è una colpa medica per la ritardata diagnosi

Andrea Carlino

Giustizia: c’è una colpa medica per la ritardata diagnosi

mercoledì 24 Aprile 2019

Sentenza della terza sezione civile della Corte di Cassazione dopo la richiesta di risarcimento dei figli di una donna morta perché un tumore, ritenuto benigno, era risultato maligno

ROMA – Si può configurare il nesso causale tra il comportamento omissivo del medico e il pregiudizio subito dal paziente qualora si ritenga che l’opera del sanitario, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto apprezzabili possibilità di evitare il danno che si è verificato. Questo è il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza n. 8461/2019 pubblicata lo scorso 22 marzo.

Alla base del ricorso vi è la domanda dei figli di una donna che avevano chiesto il risarcimento dei danni subiti, a causa della malattia e del successivo decesso della madre, avvenuto in corso di causa. In particolare, il caso concerneva una signora alla quale era stato diagnosticata la presenza di masse tumorali benigne al seno nel gennaio 2003 e che, nel successivo mese di ottobre, aveva invece scoperto (grazie a un esame istologico) la natura maligna e aggressiva della patologia, tale da rendere necessaria una asportazione totale della mammella e conseguenti cure chemioterapiche.

La Corte d’appello, riformando la decisione di rigetto del Tribunale, aveva accolto solo in parte le pretese risarcitorie dei ricorrenti, considerando che, anche in caso di diagnosi tempestiva e stante la natura della patologie, la signora avrebbe potuto godere solo di due anni di vita in più. Una decisione contrastante con gli accertamenti realizzati dai periti che indicavano un margine di sopravvivenza molto più ampio.

I giudici della Corte della Cassazione, invece, richiamano i principi che governano il nesso causale nella responsabilità civile e ribadiscono la necessità di fare uso di un criterio probabilistico per valutare se l’opera del medico, correttamente e tempestivamente prestata, avrebbe avuto serie e apprezzabili possibilità di evitare il danno poi verificatosi.

Gli Ermellini, pertanto, hanno censurato la sentenza di secondo grado in quanto essa non ha tenuto presente che la prognosi della signora, al momento della mancata diagnosi del gennaio 2003, prevedeva una probabilità di vita a 10 anni compresa tra il 75 e l’85% e un rischio di morte compreso tra il 7 e il 13%.

In definitiva, la Corte di Cassazione così riassume il contenuto della propria decisione: “è configurabile il nesso causale tra il comportamento omissivo del medico ed il pregiudizio subito dal paziente qualora attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si ritenga che l’opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno verificatosi: laddove il danno dedotto sia costituito anche dall’evento morte sopraggiunto in corso di causa ed oggetto della domanda in quanto riconducibile al medesimo illecito, il giudice di merito, dopo aver provveduto alla esatta individuazione del petitum, dovrà applicare la regola della preponderanza dell’evidenza o del ‘più probabile che non’ al nesso di causalità fra la condotta del medico e tutte le conseguenze dannose che da essa sono scaturite”.

In altre parole il ritardo diagnostico, oltre che il danno all’integrità fisica del paziente, può determinare “la perdita di un “ventaglio” di opzioni, con le quali affrontare la prospettiva della fine ormai prossima”. Il riferimento, in particolare, va alla legge n. 38/2010, finalizzata alla tutela e alla promozione della qualità della vita fino al suo termine, e alla legge n. 219/2017, in materia di consenso informato.

Andrea Carlino

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