Neanche il Covid frena le migrazioni dalla Sicilia - QdS

La pandemia non ferma le migrazioni dalla Sicilia: l’isola prima per mobilità

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La pandemia non ferma le migrazioni dalla Sicilia: l’isola prima per mobilità

Chiara Borzì  |
lunedì 01 Agosto 2022

Il Covid non frena l'esigenza di molti di realizzarsi fuori dalla Sicilia. Lo conferma il Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes. Un trend impossibile da fermare?

La pandemia non frena le migrazioni dalla Sicilia (e non solo). L’unica Italia che continua a crescere è quella che risiede strutturalmente all’estero. A dirlo sono i numeri del Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes. Negli ultimi 5 anni gli italiani residenti all’estero sono aumentati del 13,6 per cento, del 6,9 per cento nel solo 2019 e del 3 per cento nel 2020. Dal 2006 al 2020 la crescita è dell’82 per cento. Dai minori alle donne, la mobilità italiana è totalizzante.

Migrazioni dalla Sicilia e dal resto d’Italia: i dati

Secondo il rapporto, negli ultimi 10-15 anni i cittadini iscritti all’AIRE sono cresciuti di circa il 179% tra i 19 e i 40 anni; inoltre, sono andati via il 76,8% di minori in più, i nati all’estero da cittadini AIRE sono +158,1%, +128,6% per le acquisizioni di cittadinanza e +42,7% le iscrizioni all’Anagrafe con la motivazione espatrio. Sono aumentate anche le iscrizioni da meno di cinque anni,+24,4%, e quelle al di sopra di 10 anni del +127,8%.

È stato osservato anche un assottigliamento delle differenze di genere. Quindi è vicina – almeno in questo ambito – una parità di condizione tra gli italiani e le italiane che scelgono di andare via e risiedere all’estero. Secondo la Fondazione Migrantes a inizio 2021 il processo è stato ancora più evidente rispetto al periodo di inizio (16 anni fa), quando le connazionali iscritte all’AIRE erano il 46,2% (1.435.150 in valore assoluto), per poi arrivare al 47,8% dieci anni fa nel 2011 (1.967.563 in valore assoluto) e, attualmente, si registrano 2.718.678 iscrizioni, il 48,1% del totale AIRE.

Sicilia, primato in termini di mobilità

Analizzando il contesto regionale emerge il primato di mobilità della Sicilia. Con oltre 798mila iscrizioni è la regione con la comunità più numerosa di residenti all’estero. La seguono, a distanza, la Lombardia (+561 mila), la Campania (quasi 531 mila), il Lazio (quasi 489 mila), il Veneto (+479 mila) e la Calabria (+430 mila).

Sono tre le grandi comunità di cittadini italiani iscritti all’AIRE: nell’ordine, Argentina (884.187, il 15,6% del totale), Germania (801.082, 14,2%) e Svizzera (639.508, 11,3%). Seguono, a distanza, le comunità residenti in Brasile (poco più di 500 mila, 8,9%), Francia (circa 444 mila, 7,9%), Regno Unito (oltre 412 mila, 7,3%) e Stati Uniti (quasi 290 mila, 5,1%). La Sicilia è la prima regione in Italia da cui si va via.

Il 14,1 per cento degli italiani residenti all’estero proviene dall’isola (oltre 376 mila donne e oltre 421 uomini). A distanza segue la Campania con il 9,4 per cento (oltre 253 mila donne e oltre 277 mila uomini); terzo posto per la Calabria, con il 7,6 per cento di italiani residenti all’estero e da lì provenienti (oltre 207 mila donne e oltre 223 mila uomini). Stando invece alle partenze relative all’ultimo anno, la Sicilia viene scalzata da Lombardia e il Veneto. Quasi il 18 per cento (19.400 lombardi) e l’11,3 (12.300 veneti) per cento della mobilità italiana è partita da questi due territori e “solo” il 9,6 per cento dalla Sicilia (10.463 siciliani).

Migranti che vanno via dalla Sicilia e dall’Italia: da dove “fuggono”?

Nell’edizione 2020 il Rapporto Migrantes era sceso nel dettaglio comunale. Questo riporta nelle prime posizioni per numero di iscritti all’AIRE, solo le città italiane più grandi, tutti capoluoghi di regione, nell’ordine, Roma, Milano, Torino, Napoli, Genova e Palermo.

Dal confronto tra gli iscritti all’AIRE e la popolazione residente emergono, a esclusione di Roma (11,7%), incidenze al di sotto dell’8%. Proseguendo nella graduatoria, è interessante notare la presenza di città molto più piccole – la cui popolazione residente è al di sotto delle 40mila unità – e quindi con incidenze molto più elevate. Queste piccole città sono tutte siciliane e – in particolare- agrigentine: Licata (12° posto, incidenza 47,1%), Palma di Montechiaro (20°, 53,1%) e Favara (24°, 33,0%).

Anche nel 2020 la prima regione di partenza è stata la Sicilia (14,3% con 784.817 siciliani espatriati, seguita dalla Lombardia (con il 9,7% di partenza effettuate da oltre 533mila lombardi) e la Campania (con il 9,7% di partenze volute da 521 mila campani).

Nonostante la pandemia abbia bloccato la mobilità, il numero di partenze dalla Sicilia è pressoché rimasto costante, scalfito di appena lo 0,2 per cento.

Uil Sicilia: “Neppure un lockdown può comprimere i bisogni fondamentali”

La mobilità dei siciliani verso l’estero tema caro alla Uil Sicilia. La segretario generale Luisella Lionti: “Sarebbe il caso di chiedersi se tutti i nostri governanti ricordino che anche la Sicilia e i siciliani fanno parte di questo Paese e di questa Repubblica”.

Importanti e dirette le parole della segretario regionale della Uil Sicilia, Luisella Lionti, che sul tema della mobilità regionale ha espresso considerazioni inequivocabili, partendo dal mancato “peso specifico” del lockdown sul saldo migratorio regionale, fino ai rischi corsi anche dalla Sicilia di perdita della progettazione dal PNRR.

“Neppure un lockdown, sia pur di qualche mese, può comprimere i bisogni fondamentali di un individuo”, ha evidenziato Lionti. “Tra questi, la necessità di realizzarsi con il lavoro. Non a caso, questo è diritto fondante della Repubblica italiana. Semmai, sarebbe il caso di chiedersi se tutti i nostri governanti ricordino che anche la Sicilia e i siciliani fanno parte di questo Paese e di questa Repubblica. Come dimostrano le opportunità negate a questa terra. O le molte spallucce con cui la politica ha risposto a denunce, richieste, proposte della Uil: basti citare, per ultimo, la crisi del Petrolchimico di Siracusa con i suoi 10 mila posti di lavoro a rischio, che secondo il ministro allo Sviluppo economico non sarebbe un tema di rilevanza nazionale. Mah!”.

Sicilia, il record di partenze dall’Agrigentino

Licata, Palma di Montechiaro, Favara sono le città che trovano la “ribalta nazionale” per il triste primato di abbandono del territorio. Perché il centro della Sicilia sembra così “inospitale”?

“Ogni comune meriterebbe un’analisi dettagliata sulle ragioni del disagio, del malessere, che spinge alla fuga. La Uil, in effetti, questo sforzo di analisi lo realizza ogni giorno grazie alla capillare rete di sedi sindacali e di uffici di servizio al cittadino, anzi di servizio alle persone, che sono presenti in tutto il territorio. In questo modo, noi ascoltiamo”.

“Molti, invece, preferiscono solo parlare! Da questa attività di ascolto emergono le ragioni del giudizio, diffuso, su una terra che ai più appare oggi inospitale perché manca il lavoro. Soprattutto, però, ci si dovrebbe preoccupare del fatto che siamo carenti dei presupposti che creano lavoro e sviluppo: mi riferisco, ad esempio, alle infrastrutture materiali e immateriali. Basti pensare alle condizioni della rete viaria nei centri dell’entroterra e nelle comunità montane per spiegare le cause dell’impoverimento e dello spopolamento di questi comuni”.

La soluzione per dire stop all’eccesso di migrazioni dalla Sicilia

Quali soluzioni propone la Uil Sicilia? Quali azioni possono essere adottate per limitare lo spopolamento della nostra regione?

“Appena pochi giorni fa, nel corso di una riunione di Esecutivo della Uil Sicilia, ho affermato che noi rivendichiamo lavoro, legalità, sicurezza. Cioè, non chiediamo mance ma le risorse e i diritti che ci spettano. A partire da quella quota di Piano nazionale di Ripresa e Resilienza che ci spetta, ma rischia in parte o in tutto di sfumare per incapacità di progettazione. Vorrei, per ultimo, specificare le cause di questa incapacità che ha origine, innanzitutto, nell’insensato smantellamento del nostro sistema pubblico. E dalla sottovalutazione, per non dire peggio, della risorsa più importante di cui dispone: il personale dipendente, ovvero donne e uomini che ogni giorno operano tra mille difficoltà con generosità e professionalità nell’interesse della collettività”.

Via dalla Sicilia, il motivo è il lavoro senza tutele?

Secondo CGIL Sicilia l’esodo durante la pandemia ha interessato molti lavoratori senza tutela.

Francesco Lucchesi della CGIL Sicilia, in qualità di responsabile della tematiche politiche economiche e il Mezzogiorno, ha restituito un’analisi dell’attuale situazione regionale. Il mancato sviluppo delle vocazioni regionali ha solo allungato la tradizione di migrazioni siciliane.

“La Sicilia ha una lunga tradizione di emigrazione, che continua ancora oggi. I dati parlano chiaro, mediamente dalle 10 alle 20 mila persone ogni anno si trasferiscono fuori regione e questo dato non è tra l’altro ‘ufficiale’, ma fa riferimento solo ai registrati all’Aire. I siciliani che si spostano senza aver bisogno di registrazione sono molti di più. Questi spostamenti di massa sono dovuti a una condizione di povertà economica finora senza soluzione“.

“La Sicilia è la seconda regione per numero di percettori del reddito di cittadinanza e questo è un dato su cui riflettere. L’Isola non ha ad oggi valorizzato nessuna delle sue principali vocazioni, ad esempio l’agricoltura e il turismo, rilanciando i settori e sviluppando il loro indotto”.

La pandemia conferma il trend, ma bisogna reagire

“Cosa vogliamo fare della Sicilia?”, ha domandato Lucchesi. “Se non rispondiamo a questa domanda il numero degli emigrati continuerà a crescere. La pandemia ha confermato il fenomeno. Il terziario, settore economico prevalente, ha reagito in due modi diversi: i lavoratori ‘fortunati’, con un contratto semi in regola o in regola, sono stati salvati dalla cassa integrazione; chi invece lavorava in nero è rimasto senza tutele e ha in un certo senso preso coscienza della propria condizione, aperto gli occhi, e scelto di cercare una soluzione migliore altrove, emigrando”.

Licata, Palma di Montechiaro, Favara sono le città che trovano la “ribalta nazionale” per il triste primato di abbandono del territorio. Perché il centro della Sicilia sembra così “inospitale”?

“Il centro della Sicilia è ancora più disagiato rispetto alle città metropolitane e alle zone costiere perché non ci sono collegamenti. Non ci sono ferrovie o reti autostradali e questo ha impoverito il territorio. Le attività commerciali classiche sono andate a scomparire, così come i negozi di prossimità, sostituiti dagli e-commerce a loro volta incentivati dalla pandemia. Il centro della Sicilia vive una condizione di vera e propria marginalità, le difficoltà nei trasporti, le carenze dei servizi non consentono una piena valorizzazione dei borghi, che potrebbero essere meta di turismo e invece lo sono solo parzialmente.

Quali attività ha promosso CGIL Sicilia?

“Ci siamo sempre dati il compito di dare risposte alle lavoratrici e ai lavoratori siciliani. Siamo alla ricerca di una interlocuzione costante con la Regione, ma al momento le risposte sono insufficienti. E’ mancato un confronto anche sul PNRR, che oggi costituisce una opportunità irripetibile, così come le risorse della programmazione dei fondi strutturali 21/27. Trovare un canale di confronto è oggi dunque indispensabile per segnalare le criticità e proporre soluzioni”.

Chiara Borzì
Twitter: @ChiaraBorzi

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