Acque reflue in Sicilia, Licatini: "Incapacità e disorganizzazione" - QdS

Acque reflue in Sicilia, Licatini: “Colpe? Mix di incapacità politica e disorganizzazione tecnica”

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Acque reflue in Sicilia, Licatini: “Colpe? Mix di incapacità politica e disorganizzazione tecnica”

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domenica 25 Settembre 2022

"Una delle più gravi conseguenze della cattiva depurazione è quella che si traduce in danno ecologico", commenta Licatini, componente della commissione parlamentare Ecomafie.

L’intervista a Caterina Licatini, componente della commissione parlamentare Ecomafie che fu proprio da lei proposta per fare luce sulla situazione depurativa e idrica in Sicilia.

Onorevole Licatini, a conclusione di questa commissione d’indagine viene fuori uno spaccato terribile sul fronte dell’emergenza depurazione in Sicilia. Qual è la situazione nelle tre città metropolitane, quindi parliamo di Palermo, Catania e Messina (e provincia)?

“La situazione è preoccupante ovunque in Sicilia. L’area più grave risultava quella di Catania (che addirittura era sprovvista di rete fognaria) seguita da Palermo e poi da tutte le altre. Con oltre il 50% degli impianti siciliani non funzionante o non in regola, è evidente che la cattiva depurazione costituisce un problema diffuso su tutto il territorio regionale”.

“All’inizio della legislatura, ho proposto questa inchiesta in Commissione Ecomafie proprio perché, da siciliana, avevo contezza delle carenze del nostro servizio idrico locale. Con il lavoro svolto in quattro anni, abbiamo acceso i riflettori su un problema che in molti intuivano, ma che era rimasto in ombra per troppo tempo. Abbiamo anche dimostrato che la gravità della situazione tocca livelli ben più alti di quelli che si supponevano prima dell’inchiesta”.

Se dovesse indicare un responsabile (o responsabili) di quanto ha avuto modo di constatare, su chi punterebbe il dito e perché?

“Come ho detto anche in altre sedi, siamo arrivati a un punto così critico principalmente a causa di un mix di incapacità politica e disorganizzazione tecnica che per decenni non ha fatto che aggravare la situazione”.

“A ciò si aggiunge la sufficienza e, a volte, il disinteresse con cui viene affrontato il tema della depurazione. In questi anni in cui mi sono occupata della questione, mi sono scontrata con l’inerzia di alcuni enti gestori vittime della loro stessa indolenza, e con la superficialità di certe amministrazioni locali troppo inclini a sottovalutare l’importanza di garantire l’efficace trattamento dei reflui”.

Tutti questi illeciti quindi cosa stanno a significare? Che di fatto i mari siciliani sono stati usati come “discariche” per i reflui?

“Esattamente. Una delle più gravi conseguenze della cattiva depurazione è quella che si traduce in danno ecologico, che in alcuni casi interessa anche aree sensibili di inestimabile valore come il golfo di Castellammare. Fanghi e liquami non depurati, finendo in mare, alterano sensibilmente la qualità delle acque”.

“Ma oltre al danno ecologico, abbiamo quello economico. Da una parte perché l’impatto ambientale si ripercuote anche su mercati strategici come pesca e turismo, dall’altra parte perché le inefficienze dei depuratori ci costano una multa dell’Unione Europea per violazione delle normative ambientali, che ammonta a 165mila euro al giorno fino al pieno adeguamento degli impianti difformi”.

Quali sono a suo dire le situazioni più estreme?

“La relazione finale dell’inchiesta parla chiaro: la situazione è disastrosa in tutta la Sicilia, sia nella parte orientale sia in quella occidentale. Quanto ai miei interventi personali, per una questione di appartenenza territoriale, mi sono occupata maggiormente dell’area del Palermitano”.

“Tra le situazioni più complesse, c’è quella del depuratore di Acqua dei Corsari a Palermo, dove in alcuni lassi di tempo abbiamo rilevato la prolungata assenza di trattamento dei fanghi, o quella dell’impianto di Santa Flavia, per il quale esiste un finanziamento da 7 milioni di euro rimasto bloccato per ben 10 anni nelle casse della Regione”

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