“Due vite”, ricordare il passato per abitare il presente - QdS

“Due vite”, ricordare il passato per abitare il presente

Marina Scalia

“Due vite”, ricordare il passato per abitare il presente

giovedì 04 Novembre 2021

Quella riflessione sulla vita troppo spesso sacrificata non è più solo una cornice per agghindare un contenuto, ma è anzi il vero centro del libro

L’appena trascorso concludersi di ottobre, con l’affacciarsi sui primi giorni di novembre, si dice lasci spazio al tempo del ricordare, ossia del ricapitolare la nostra vita e rivolgere un pensiero grato a chi ne ha fatto parte. È quello che fa Emanuele Trevi in “Due vite”, già vincitore del Premio Strega di quest’anno. Edito da Neri Pozza, “Due vite” non è un racconto, né una descrizione di qualcosa o di qualcuno. È piuttosto una riflessione lunga sul ricordare la vita, sul come guardare alle vite degli altri – e in particolar modo di qualcuno di amico – possa aiutare a ripensare il proprio passato per stare meglio nel presente.

La dimensione del racconto riguarda i vissuti di Rocco Carbone e Pia Pera, scrittori poco noti al grande pubblico, morti quando – per utilizzare un’espressione di Fabrizio De André – “con la vita avrebbero ancora giocato”, perché, stando a una di quelle massime di cui Trevi ci fa dono nel corso della narrazione, un incidente “è senza dubbio qualcosa di refrattario a ogni forma di racconto. Libero dal vincolo della necessità, gratuito, imprevedibile, accade non smettendo però di ricordarci che poteva benissimo non accadere”, sia esso un incidente stradale, come per Rocco Carbone, o, per puro capriccio della sorte, essere malati di Sla – come per Pia Pera. Eppure il libro non è mai triste nel suo incedere, perché la storia di un’amicizia interrotta dall’accadere accidentale di una morte è, proprio per il fatto che si ha voglia di raccontarla nel presente, una storia di amicizia e di momenti vissuti, tali per cui alla fine è il primo piano a prevalere sul secondo. In “Due vite”, la morte assume il valore di una prospettiva privilegiata che consente di guardare ai trascorsi di Rocco Carbone e Pia Pera con un maggiore distacco.

I “trascorsi” preferiti da Emanuele Trevi non sono gli eventi portanti delle due vite oggetto del libro. Si parla piuttosto del tipo di linguaggio adoperato dall’uno e dall’altra – misurato e chiarificatore per Rocco, schietto e provocatore per Pia – si cerca una corrispondenza tra il cambiamento della fisionomia dei volti e quanto può essere accaduto dentro alla persona, ci si sforza di estrapolare dalle vite sentimentali dei due un copione che in fondo finisce per assomigliare a quanto questi due scrittori apprezzavano nei libri che amavano di più. Accade che nell’attesa che accada qualcosa, il libro è già finito. Diverso da ogni letteratura di intrattenimento che oggi ha preso piede, “Due vite” appare misurato nel dosare i suoi pesi, nel contenere il racconto entro uno spazio misurato per evidenziarne i bordi. Quella riflessione sulla vita troppo spesso sacrificata non è più solo una cornice per agghindare un contenuto, ma è anzi il vero centro del libro. In questo modo, dei trascorsi di Rocco Carbone e Pia Pera ne sappiamo quanto è sufficiente sapere. È tutto il resto che normalmente nessuno ci dice, poi, che assume di importanza, tanto nel passato, quanto nel presente in cui non rimane che da ricordare, perché “nelle nostre vite il caso e il più inflessibile concatenarsi degli eventi si assomigliano in modo da diventare esattamente identici – e forse è proprio questa opacità a permetterci di tollerare l’urto delle cose, senza mai farcene una ragione ma finendo per accettarle”.

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