Hiv, diminuiscono le nuove diagnosi, ma l’infenzione viene scoperta tardi - QdS

Hiv, diminuiscono le nuove diagnosi, ma l’infenzione viene scoperta tardi

redazione

Hiv, diminuiscono le nuove diagnosi, ma l’infenzione viene scoperta tardi

giovedì 01 Dicembre 2022

I dati dell’Istituto superiore di sanità diffusi in occasione della giornata mondiale contro l’Aids. Nel 2021 registrati 1.770 casi, tre ogni 100 mila residenti: incidenza inferiore alla media Ue

ROMA – Nel 2021, le nuove diagnosi di infezione da Hiv, in Italia, sono state 1.770, pari a 3 nuovi casi per 100mila residenti. Un’incidenza che pone il nostro Paese al di sotto della media osservata tra gli Stati dell’Unione europea (4,3 nuovi casi per 100.000). L’infezione risulta più diffusa tra i maschi, nella fascia di età 30-39 anni ed è attribuibile per oltre l’80% dei casi ai rapporti sessuali. Ancora in troppi (63%) scoprono l’infezione quando questa è in fase avanzata. Questi i dati aggiornati delle nuove diagnosi di infezione da Hiv e dei casi di Aids al 31 dicembre 2021, curato dal Centro Operativo Aids (Coa) dell’Istituto superiore di sanità (Iss), diffusi in occasione della Giornata mondiale di lotta contro l’Aids che si celebra il primo dicembre.

Hiv, un trend in costante discesa

L’incidenza segue un trend in costante discesa: dal 2012, infatti (da quando la sorveglianza ha copertura nazionale), si osserva una diminuzione delle nuove diagnosi di Hiv, più evidente dal 2018, con un declino ulteriore negli ultimi due anni, per tutte le modalità di trasmissione. Va detto, tuttavia – osservano i ricercatori Iss – che i dati relativi al 2020 e al 2021 hanno risentito dell’emergenza Covid-19 che potrebbe aver comportato una sottodiagnosi e/o una sottonotifica.

In particolare, i dati Iss segnalano che nel 2021 le incidenze più alte sono state registrate in Lazio, Valle d’ Aosta, Toscana, Emilia Romagna. Per quanto riguarda invece l’età della diagnosi, l’incidenza più alta si riscontra nella fascia 30-39 anni ((7,3 nuovi casi ogni 100mila residenti), a seguire nella fascia 25-29 anni (6,6 nuovi casi ogni 100mila residenti). In queste fasce di età l’incidenza nei maschi è 3-4 volte superiore a quelle nelle femmine. In generale, i maschi rappresentano il 79,5% dei nuovi casi. L’età mediana: 42 anni per gli uomini e 41 per le donne.

E ancora. I dati segnalano che il numero più elevato di diagnosi è attribuibile alla trasmissione sessuale (83,5%): gli eterosessuali rappresentano il 44% (tra essi i maschi eterosessuali sono il 27,2% e le femmine eterosessuali il 16,8%), i maschi che fanno sesso con maschi il 39,5%. Infine, la modalità di trasmissione riguarda l’uso di sostanze stupefacenti nel 4,2% dei casi. In generale, dal 2017 si osserva una diminuzione del numero di nuove diagnosi Hiv in stranieri, sia maschi che femmine: nel 2021, gli stranieri costituiscono il 29,2% di tutte le segnalazioni, la proporzione rimane stabile nel tempo con valori intorno al 30%.

Purtroppo peggiora il dato relativo alle diagnosi precoci, in quando dal 2015 aumenta la quota di persone a cui viene diagnosticata tardivamente l’infezione da Hiv (con bassi Cd4 o in Aids): nel 2021, 3/4 dei maschi eterosessuali (75,9%) e circa 2/3 delle femmine (62,4%) sono stati diagnosticati con CD4<350 cell/µL. Oltre 1/3 delle persone con nuova diagnosi scopre di essere Hiv positivo a causa della presenza di sintomi o patologie correlate (39,8%). Altri motivi per fare il test sono stati: rapporti sessuali senza preservativo (16,6%), comportamenti a rischio non specificati (9,4%), accertamenti per altra patologia (6,9%), iniziative di screening/campagne informative (6,2%).

Per quanto riguarda i casi di Aids conclamato, dall’inizio dell’epidemia (1982) a oggi sono stati segnalati 72.034 casi, di cui 46.874 deceduti entro il 2019. Nel 2021 sono stati diagnosticati 382 nuovi casi di malattia, pari a un’incidenza di 0,6 nuovi casi per 100mila residenti. L’incidenza di Aids – si legge nel report del Coa – è in costante diminuzione e il numero di decessi rimane stabile, pari a poco più di 500 casi l’anno.

E ancora: la proporzione di persone con nuova diagnosi di Aids che ignorava la propria sieropositività e l’ha scoperta nel semestre precedente la diagnosi di Aids è aumentata nel 2021 (83%) rispetto al 2020 (80,8%). È diminuita nel tempo la proporzione di persone che alla diagnosi di Aids presentava un’infezione fungina, mentre è aumentata la quota di persone con un’infezione virale e quella con tumori. Nel 2021, il 76,4% delle persone diagnosticate con Aids non aveva ricevuto una terapia antiretrovirale prima della diagnosi di Aids.

“I dati suggeriscono che siamo ancora deboli nell’intercettare le diagnosi precoci”

I dati sulle nuove diagnosi di Hiv in calo sono fonte di gioia e timori per gli esperti. Con una certezza: “Che c’è ancora tantissimo da fare” sulla strada verso l’obiettivo di eliminare l’Aids dalla faccia della terra. “Un po’ di preoccupazione i dati italiani”, che sono in linea anche con quelli Ue, “ce la danno – spiega all’Adnkronos Salute Andrea Gori, direttore dell’Unità operativa di Malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano e presidente di Anlaids Lombardia -. Sono dati che evidenziano una netta e importantissima riduzione di casi, però con qualche anomalia. Suggeriscono infatti che molto spesso non siamo in grado di arrivare a una diagnosi precoce, che arriviamo intercettare le persone colpite dal virus dopo 10 anni che sono infette. Così non si spezza la catena del contagio. Una persona che contrae l’Hiv oggi, se non trattata, è contagiosa. Se non sa di essere sieropositiva e lo scopre alla malattia, poiché la malattia in media si presenta dopo 10 anni, vuol dire che ha avuto 10 anni di tempo in cui ha potuto infettare gli altri”.

Per lo specialista le riflessioni da fare sono due: inquadrare bene l’’effetto Covid’ e approfondire un sospetto preciso. “Il sospetto è che manchino” all’appello “le diagnosi precoci” e che “di fatto noi vediamo solo la punta terminale dell’iceberg, cioè solo i malati”. Leggendo l’ultimo rapporto sull’andamento dell’infezione, emerge che “noi abbiamo un numero più o meno stabile di persone che sono state diagnosticate molto tardivamente e che hanno avuto tutto il tempo per trasmettere l’infezione nella popolazione generale. I dati suggeriscono che siamo invece deboli nell’intercettare le diagnosi precoci, quelle di chi non presenta sintomi. Ma sono proprio queste persone che poi mantengono alto il contagio”.

“Quindi io leggo le statistiche attuali in un modo in parte ottimistico, perché sicuramente sono segno che abbiamo delle strategie efficaci, ma dall’altro lato invito alla cautela – avverte Gori – perché Covid può aver influito molto su questi risultati e perché abbiamo da lavorare sulla scoperta tempestiva dell’infezione”.

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