Il ruolo dell’impresa produttrice di sviluppo - QdS

Il ruolo dell’impresa produttrice di sviluppo

Il ruolo dell’impresa produttrice di sviluppo

Marco Vitale  |
mercoledì 07 Maggio 2025

Le principali concezioni di impresa che illustrammo ai nostri allievi

continua dal QdS del 30/4/2025

Cos’è l’impresa? Di chi è l’impresa? Quali fini ha l’impresa? Quali sono i metri di misura per definire il successo duraturo dell’impresa? Quale ruolo e quali responsabilità hanno gli attori interni dell’impresa? Quale ruolo e quali responsabilità hanno gli attori esterni dell’impresa? A seconda delle risposte che si danno a queste domande fondamentali, emerge una diversa concezione di fondo dell’impresa. Questa concezione non è né uniforme né statica, ma si evolve nel tempo e nello spazio. Sicché, a seconda degli ordinamenti e delle varie fasi di sviluppo, la concezione di fondo dell’impresa è stata ed è molto diversa: organizzazione di proprietà privata finalizzata a realizzare esclusivamente gli interessi della proprietà; organizzazione pubblica, puro braccio operativo dello Stato collettivista; istituzione di interesse pubblico finalizzata esclusivamente all’accumulazione del capitale, secondo le scelte e la responsabilità degli amministratori e del management; istituzione di interesse pubblico, gestita come soggetto privato, ma secondo direttive, ritmi e modalità di accumulazione del capitale guidati dallo Stato, sia indirettamente sia attraverso la gestione diretta da parte dello stesso di una parte del sistema delle imprese; puro terreno di scontro tra capitale e lavoro; istituzione di interesse pubblico a gestione privata, strumento strategico e operativo per lo sviluppo collettivo.

Queste sono le principali concezioni di impresa che illustrammo ai nostri allievi. Ma quella che assumemmo come ipotesi di lavoro per guidare la nostra ricerca fu l’ultima: istituzione di interesse pubblico a gestione privata, strumento strategico ed operativo per lo sviluppo collettivo.

Collegammo la scelta di questa ipotesi di lavoro, oltre alla predisposizione culturale ed all’esperienza professionale dei due docenti, a vari fattori. Questa concezione è quella che ritroviamo in epoche e tempi diversi, da quella mirabile definizione di Benedetto Cotrugli del 1458 (“mercatura è arte o vera disciplina intra persone legiptime giustamente ordinata, per conservazione de l’humana generazione, con isperanza niente di meno di guadagno”) a quelle contemporanee di Drucker, di Mintzberg, di Schumpeter. Questa concezione è alla base di ogni democrazia industriale e su di essa era basato il grande sogno americano del capitalismo democratico; è quella che è più funzionale al successo duraturo delle imprese; è quella sulle quali si basano i principali patti costituzionali europei (e in particolare è quella che emerge dagli artt. 35-47 della Costituzione italiana ed è chiaramente formulata nella Costituzione tedesca); è quella che traspare nella concezione dei leader che tentano faticosamente di trovare vie d’uscita dal collettivismo inefficiente e soffocante; è quella nella quale si identificano le principali organizzazioni manageriali del mondo; è quella che ha guidato soluzioni bilanciate e responsabilizzate nei paesi dove capitale e lavoro hanno raggiunto un equilibrio positivo (soprattutto Giappone negli anni Cinquanta e Germania negli anni Sessanta).

Secondo questa concezione l’impresa non è solo un centro di produzione e di accumulazione del profitto. La sua grande legittimazione sta nel fatto che essa è produttrice di sviluppo. Perciò coloro che da un lato la esaltano come pura produttrice di profitto, e coloro che, dall’altro, la additano al pubblico odio, come una forma demoniaca di oppressione sull’uomo, sono entrambi epigoni di culture ottocentesche, sorpassate e pericolose. Essi chiamano a raccolta degli eserciti di integralisti per una insensata e dannosa guerra di religione, dalla quale sarebbe ora che ci liberassimo. Quando si acquisisce questa nozione, l’impresa diventa un organismo che supera il conflitto capitale-lavoro, il quale sopravviverà, ma dovrà trovare nuove forme di composizione, nel quadro di un riconosciuto interesse comune. Nessuno, né la proprietà, né il sindacato, hanno il diritto di distruggere l’impresa. E il management ha la responsabilità che ciò non avvenga. Questo è il suo compito e la sua responsabilità primaria.

continua…

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