Imposta sulle successioni e donazioni, tutto quello che c’è da sapere - QdS

Imposta sulle successioni e donazioni, tutto quello che c’è da sapere

Serena Giovanna Grasso

Imposta sulle successioni e donazioni, tutto quello che c’è da sapere

venerdì 06 Marzo 2020

Osservatorio conti pubblici italiani: tutti gli oneri che gravano sul trasferimento di beni. Aliquota e franchigia variano sulla base del legame di parentela tra chi dà e chi riceve

PALERMO – Imposta sulle successioni e sulle donazioni: cos’è? A chi si applica? Quali sono i risvolti positivi e quelli negativi sul contesto economico generale? Il report dell’Osservatorio conti pubblici italiani di Carlo Cottarelli ha risposto a tutte queste domande.

L’imposta sulle successioni e le donazioni è quella tassa che si applica a tutte le eredità e alle donazioni tra vivi, con aliquote e franchigie differenziate a seconda del grado di parentela che intercorre tra chi effettua e chi riceve il trasferimento di beni. Per franchigia si intende l’importo al di sotto del quale chi riceve non è tenuto a pagare alcuna imposta. Nei casi in cui i trasferimenti vengono effettuati a beneficio di coniuge, figli, nipoti e genitori l’aliquota è pari al 4% di quanto ricevuto (al netto degli eventuali debiti) e ogni beneficiario ha diritto a una franchigia di un milione di euro: cioè, non paga nessuna imposta se la quota di eredità o la donazione che riceve è inferiore a un milione di euro.

Per i trasferimenti in favore di fratelli o sorelle l’aliquota sale al 6%, con una franchigia per ciascun beneficiario pari a 100 mila euro. Per i trasferimenti in favore di altri parenti fino al quarto grado, l’aliquota resta al 6%, ma non si applica alcuna franchigia. Infine, per i trasferimenti in favore di tutti gli altri soggetti l’aliquota è dell’8% e non vi sono franchigie.

Inoltre, diverse tipologie di beni sono esenti dall’imposta e quindi non rientrano nel valore complessivo dell’eredità o della donazione: tra queste ritroviamo i titoli di stato italiani e di altri paesi europei, e aziende, i rami di azienda o le quote di controllo in società di capitali (se i parenti in linea retta o il coniuge proseguono nell’esercizio dell’attività per un periodo di almeno cinque anni dalla data del trasferimento), le polizze vita, i veicoli iscritti nel pubblico registro automobilistico (Pra), il Tfr e prestazioni erogate dai fondi di previdenza complementare.

Rispetto al generale panorama europeo, in Italia l’aliquota è particolarmente contenuta e le franchigie sono abbastanza alte, tale che solo una ridotta minoranza delle donazioni e successioni è sottoposta a tassazione. Basti considerare che nel 2017 su 650 mila passaggi di eredità effettuati, solo 56 mila hanno richiesto un versamento a titolo di imposta di successione. Oltretutto, occorre considerare che i casi in cui l’aliquota si applica sugli immobili, viene calcolata non secondo il loro valore di mercato ma in base al loro valore catastale (si ottiene moltiplicando la rendita attribuita dal catasto a ciascun immobile per i coefficienti di aggiornamento applicabili caso per caso), sempre inferiore al primo.

A livello economico ci sono diverse considerazioni a sostegno di un aumento dell’imposizione sulle grandi eredità: infatti, può essere visto come un tentativo di limitare una eccessiva concentrazione di ricchezza nelle mani di poche famiglie e di favorire una maggiore uguaglianza delle opportunità. D’altra parte, si sostiene che un’imposta di successione molto elevata ridurrebbe gli incentivi ad accumulare ricchezza poiché una quota maggiore di questa ricchezza finirebbe allo Stato invece che ai propri figli o nipoti e avrebbe un effetto negativo sui tassi di risparmio e sull’offerta di lavoro, soprattutto negli ultimi anni prima della pensione.

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