La dura vita dei contratti a termine, tra deroghe e regole poco chiare - QdS

La dura vita dei contratti a termine, tra deroghe e regole poco chiare

Maria Papotto

La dura vita dei contratti a termine, tra deroghe e regole poco chiare

giovedì 17 Settembre 2020

Palleggiamento continuo di norme frutto della grave crisi economica da Covid-19: il legislatore naviga a vista, manca una strategia finalizzata alla crescita dell’occupazione.

Nel susseguirsi di decreti i più strattonati sono i contratti a termine che non trovano pace e soprattutto un’identità.
Ormai appare lontano l’azione scoraggiante eseguita dal Decreto Dignità con l’obiettivo di disincentivare i contratti a termine, sono solo passati un paio di anni e una crisi economica causata dall’emergenza epidemiologica da Covid19 per far battere il dente dove duole al legislatore. E così è stato. Già con il primo decreto Cura Italia, il legislatore richiama la normativa sui contratti a termine e concede ai datori di lavoro che accedono agli ammortizzatori sociali, la possibilità di derogare su quanto previsto dalla normativa vigente, di procedere nel medesimo periodo, al rinnovo o alla proroga dei contratti a tempo determinato, anche a scopo di somministrazione.

Ed è bastato così poco per creare, attorno ad un lago di incertezza nel quale stiamo vivendo, ancora più incertezza, penalizzando ancora una volta i lavoratori che vedono minacciata la propria stabilità economica. Come se non bastasse il legislatore, con il decreto Rilancio aggiorna i tempi della proroga dei contratti a termine con la possibilità di rinnovare o prorogare fino al 30 agosto 2020 i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere anche in assenza delle causali. Ed infine, il recente decreto di Agosto modifica il termine fino al 31 dicembre 2020 la possibilità di rinnovare o prorogare i contratti a termine, e dunque, appare evidente che il legislatore preferisce alimentare l’attuale consistenza la persistenza delle manovre normative messe in atto.

Con il decreto di Agosto, tale misura di intervento sui contratti a termine viene definita la mini riforma, in realtà si tratterebbe dell’ennesima coltellata al precariato che non cessa così di esistere ma trova così nutrimento e si rafforza, allontanandosi ancora una volta dalla meta verso la stabilizzazione lavorativa.

Di certo, la recessione economica causata dall’emergenza epidemiologica Covid19 ha messo a dura prova l’intero Paese sotto tutti i punti di vista ma è altrettanto vero che in questi mesi abbiamo avuto modo di constatare la capacità del legislatore di voler creare una reazione d’urto per contrastare l’attuale emergenza economica. I recenti interventi normativi hanno previsto strumenti finalizzati ad aiutare i datori di lavoro nella gestione dei lavoratori, attraverso il ricorso degli ammortizzatori sociali, derogando su molti aspetti previsti dalla normativa e non per ultimo con il decreto di agosto di prevedere agevolazioni contributive come l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali, sulla quota a carico del datore di lavoro.

Quindi, appare lecita la domanda sul perché voler strattonare ripetutamente la normativa sui contratti a termine con deroghe che appaiono confusionarie e di dubbia interpretazione. Auspicata una fase di riavvio, andare a introdurre delle modifiche proprio sui contratti a tempo determinato, favorendoli rispetto a quelli a tempo indeterminato, sembrerebbe un strumento non idoneo e una strategia poco azzeccata che non consente alle aziende di poter ripartire in quanto privi di una struttura organizzativa solida propria per la mancanza di un team di risorse umane fidelizzate su cui poter contare per poter crescere e rafforzare il proprio potere competitivo, che in questi mesi è stato messo a dura prova.

Questo palleggiare di norme sui contratti a termine stravolgendo la normativa da una direzione all’altra lascia pensare che il legislatore navighi a vista senza alcuna meta e di conseguenza trascina le aziende in questo mare di insicurezza, senza sapere come voler accrescere l’occupazione per il bene economico del Paese.

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