Mappatura della commissione Antimafia: capillarità di Cosa nostra

La mafia in Sicilia tra pizzo e appalti: ecco come si muove Cosa nostra

La mafia in Sicilia tra pizzo e appalti: ecco come si muove Cosa nostra

Redazione  |
giovedì 14 Marzo 2024

Il fenomeno mafioso è esteso a tutta la Regione, con tratti salienti uguali per tutti i "mandamenti".

Una mafia capace di infiltrarsi sempre più nell’economia legale e in grado di stringere alleanze per competere con le organizzazioni criminali straniere, complice un calo generale della tensione antimafia nell’opinione pubblica e una scarsa incidenza delle associazioni antiracket che ha permesso negli ultimi anni nuove forme di raccolta del pizzo.

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La commissione Antimafia in Sicilia

È uno dei tratti salienti emersi dalla prima mappatura della commissione regionale Antimafia in Sicilia, presieduta da Antonello Cracolici, che ha ricostruito lo stato attuale di cosa nostra e che in questi mesi ha introdotto un elemento di novità nelle sue audizioni nelle province della regione, offrendo un momento di ascolto e interlocuzione anche con 302 amministratori locali dei 391 comuni dell’Isola.

I nove incontri

Quasi tremila i chilometri percorsi dalla commissione per i nove incontri svolti nelle sedi prefettizie dell’Isola, eccezion fatta per i comuni di Favara, Acate e Castelvetrano, scelti per un peculiare tratto criminale, o, come nel caso di Castelvetrano, perché all’indomani della cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro. Nel corso dei nove incontri con i prefetti sono stati sentiti dalla commissione antimafia: 19 procuratori capo, 4 procuratori antimafia, i questori, i comandanti provinciali della Guardia di finanza e dei Carabinieri, nonché i vertici delle direzioni investigative antimafia delle singole province.

Mafia: la capillarità di Cosa nostra

Una mafia meno pressante ma capillare, all’insegna del “pagare meno ma pagare tutti”: l’attività estorsiva continua ad essere il tratto fondamentale che garantisce alle mafie, oltre all’accumulazione di denaro, l’affermazione della propria presenza sul territorio.

Le audizioni fatte nel primo anno di attività di questa commissione con i Comitati dell’ordine e della sicurezza di tutte le province siciliane (iniziate a Febbraio 2023 a Castelvetrano e conclusesi a Catania nel settembre scorso) hanno segnalato come, alla recrudescenza del fenomeno estorsivo, sia connessa una minore capacità del sistema imprenditoriale siciliano di reagire, sia in termini di denunce che in termini di reazione, con numerosi casi in cui, al contrario, è l’imprenditore o il commerciante a cercare, di sua sponte, la protezione dei clan per la cosiddetta “messa a posto”.

Lo sfilacciamento del tessuto sociale

A questo dato si affianca un preoccupante sfilacciamento del tessuto sociale che, invece, sull’onda emotiva successiva alle stragi di mafia, si era schierato contro lo strapotere delle mafie. Una caduta della tensione che si è tradotta in un sentimento di indifferenza che ha determinato l’assenza di associazioni antiracket in alcune province siciliane o la loro cancellazione per inattività, riducendo la loro funzione, in alcuni casi, alla mera assistenza legale della vittima di estorsione senza che ciò si traduca in una attività di prevenzione e sensibilizzazione contro il racket.

Sono 30, in tutto, le associazioni antiracket registrate nell’Isola, 31 se si considera quella in attesa di iscrizione a Ragusa, dove, nel 2021, ben tre associazioni sono state cancellate per inattività. Nella provincia di Agrigento, invece, non risulta alcuna associazione iscritta all’albo prefettizio.

Di fronte all’evidenza delle inchieste, poi, è emerso come gli estorti abbiano spesso negato di essere vittima di estorsione. In questo contesto, il racket si è trasformato nel pagamento generalizzato di piccole somme che, a fronte di minori entrate, hanno garantito una certa acquiescenza da parte degli operatori economici tradottasi in una collaborazione quasi spontanea degli estorti. Nuove forme di raccolta del pizzo anche attraverso le forniture e i servizi, con gli stessi estortori che emettono fattura per le loro attività nei confronti degli estorti.

Il modus operandi dell’organizzazione mafiosa

Dalla mappatura effettuata dalla commissione che ha ricostruito i tratti salienti e il modus operandi di cosa nostra in Sicilia, viene fuori un’organizzazione che presenta elementi di omogeneità, ma anche profonde differenze nella sua articolazione nelle nove province dell’Isola, specie per quanto riguarda i suoi ambiti di interesse e i rapporti con altre organizzazioni criminali. È quanto accade, ad esempio, in quei territori dove convivono cosa nostra e stidda che uniscono le proprie forze per competere con organizzazioni criminali straniere.

Il modello criminale mafioso si articola o nei classici mandamenti che hanno una presenza storica che si tramanda in alcuni casi di padre in figlio, o in una spartizione di zone d’influenza dove operano, in autonomia, più soggetti criminali o più famiglie mafiose pronti, tuttavia, a collaborare reciprocamente per i propri interessi.

Cosa nostra esercita il suo controllo nel territorio attraverso zone di influenza tramite clan che assumono il comando di intere zone o quartieri. Questo modello, seppur con elementi di differenza tra le singole province, è una caratteristica di tutto il territorio siciliano. A ciò si aggiunge la compresenza, in alcune province, oltre che dei clan legati a cosa nostra, della Stidda, con un controllo pressoché totale di tutta la Sicilia. Ma a differenza degli anni ‘80 e ‘90 a caratterizzare le nuove forme di criminalità è una diffusa pax mafiosa con un basso livello di conflittualità interna.

Mafia: la gestione degli stupefacenti

A caratterizzare il suo tessuto connettivo è il traffico di stupefacenti, con ingenti risorse immesse anche nel sistema legale e un controllo sociale che segue le logiche di spartizione delle piazze di spaccio. Oggi le varie droghe, disponibili a prezzi di accesso sempre più bassi, si stanno diffondendo a macchia d’olio in tutta la regione. Fenomeni sconosciuti fino a qualche anno fa, come il crack, per il loro basso costo hanno conquistato nuove fette di mercato, soprattutto tra i giovanissimi di classi sociali trasversali. Con una peculiarità: mentre l’organizzazione mafiosa controlla l’approvvigionamento delle grandi quantità, il mercato della trasformazione degli stupefacenti è affidato il più delle volte a gruppi familiari che, pur non essendo parte delle stesse organizzazioni mafiose, gestiscono la distribuzione al dettaglio.

Attorno a questo tema gravitano molte delle emergenze segnalate dai sindaci ascoltati dalla commissione. Lo spaccio è spesso l’unica vera fonte di reddito per interi quartieri segnati dal degrado. Numerosi sono gli episodi di violenza e criminalità registrati sia per la ripartizione delle piazze di spaccio che per i reati commessi da chi consuma droga, con conseguente aumento di fenomeni come baby gang ed episodi di prostituzione anche minorile.

L’infiltrazione della mafia nell’economia legale

Secondo quanto sottolineato dagli inquirenti è generale il tentativo della mafia di infiltrarsi nell’economia legale attraverso azioni parassitarie, limitando la concorrenza degli altri imprenditori che non possono competere con ingenti flussi di capitale illecito. Ciò accade soprattutto nei territori con una propensione imprenditoriale più spiccata come il Trapanese, Catanese, Palermitano, Ragusano e Siracusano. Pertanto, c’è una mafia che assume caratteristiche imprenditoriali sempre più estese nei diversi settori dell’economia più redditizia: dal settore energetico a quello dei rifiuti, dal turismo a tutte le attività connesse alla gestione del tempo libero.

Per quanto riguarda, ad esempio, il tema degli appalti e l’affidamento di servizi pubblici è emerso come spesso non serva neanche la connivenza di politici e funzionari, ma è sufficiente la disattenzione di chi dovrebbe vigilare, o una certa confusione normativa, come nel caso dei subappalti, dove sempre più preoccupante appare la caratteristica di servizi affidati a imprese costituite per svolgere singole attività senza che le stesse abbiano una storia imprenditoriale a garanzia della qualità dei lavori e della realizzazione degli stessi.

La detenzione di armi e la devianza

Con grande allarme è stato segnalato, soprattutto in alcune province, come nell’Agrigentino e nel Siracusano – ma praticamente in tutta la Sicilia – vi sia una diffusa circolazione di armi, utilizzate come status symbol da ampie fasce della popolazione, cosa che ha favorito il compimento di omicidi, anche plurimi.

Un altro tema spesso denunciato dai primi cittadini – nel dettaglio sono stati 302 gli amministratori locali incontrati – è quello legato alla sicurezza urbana e alla tutela dell’ordine pubblico, messo a dura prova dalla carenza cronica di personale qualificato e di agenti municipali e dall’assenza di sistemi di videosorveglianza che richiedono costi di installazione e manutenzione fuori dalla portata delle casse dei comuni siciliani. Su questo la commissione chiederà al governo regionale, così come fatto con una risoluzione urgente per i comuni della “fascia trasformata” di estendere a tutti i territori, in particolare a quelli in dissesto economico, le tecnologie utili a tutela della sicurezza e della legalità.

Inoltre, sul fronte della prevenzione, per contrastare la dispersione scolastica e la criminalità minorile e colpire la mafia nella sua reputazione, privando i boss del loro consenso, la commissione Antimafia si è mossa su più fronti per sradicare cosa nostra da quei contesti in cui è endemica, attivando prima un protocollo con le autorità ecclesiastiche attraverso la Cesi, per essere maggiormente presente sul territorio e prevenire fenomeni di devianza, e poi collaborando al programma “Liberi di scegliere” elaborato dal magistrato Di Bella e che ha permesso alla DDA di Catania di aiutare alcune donne ad allontanarsi, insieme ai propri figli minori, da un contesto familiare mafioso.

La confisca dei beni alla mafia

Tanti i problemi legati alla presenza delle mafie nella regione che sono stati esposti nel corso delle audizioni alla commissione antimafia. Tra tutti, non si può non citare, per l’impatto sociale generato, sia a livello simbolico che pratico, quello dei beni confiscati: la Sicilia è la regione con il più alto numero di beni sottratti alle mafie e il tema della gestione in questi anni ha creato delle criticità che hanno costretto molti comuni dell’Isola a fronteggiare diverse emergenze.

Ad esempio, il mancato sgombero di immobili confiscati o la loro occupazione abusiva attraverso l’intimidazione, le condizioni fatiscenti dei beni assegnati, o la scelta di amministratori giudiziari non competenti in un determinato ramo dell’azienda sequestrata hanno portato a criticità tali da far emergere l’opportunità per i comuni di costituirsi in consorzi per la gestione degli stessi beni.

Un’ipotesi che permetterebbe anche di allentare eventuali pressioni ambientali del singolo amministratore locale, specie nelle piccole realtà che spesso si prestano ad essere facile bersaglio del condizionamento e della pressione mafiosa. Nello specifico, per quanto riguarda le imprese confiscate, le audizioni restituiscono uno spaccato drammatico di estrema difficoltà del sistema a rialzarsi e rientrare nel circuito legale: oltre il 90% delle aziende confiscate viene messo in liquidazione. La commissione su questo ritiene che la Regione possa e debba dare un concreto supporto, garantendo un accesso al credito agevolato attraverso l’Irfis che dia una prospettiva di riscatto sociale ai lavoratori impiegati che credono in un’economia sana.

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