PALERMO – In Sicilia l’inflazione continua a farsi sentire, soprattutto sulle famiglie che devono affrontare maggiori spese per la semplice vita quotidiana. A giugno 2025, l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic), rilevato dall’Istat, ha segnato nell’Isola una variazione annua pari a +1,5%. Un dato che si concretizza in un rincaro annuo per la famiglia media di 337 euro, che verranno spesi principalmente per beni di prima necessità. A preoccupare è in particolare l’aumento dei prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza: alimentari, bevande, detersivi, benzina.
In aumento in Sicilia i prezzi di alimentari, benzina e bevande
Rispetto a giugno 2024, questi prodotti hanno registrato un rincaro del 2,2%. Si tratta di spese non rimandabili, che colpiscono in modo diretto le famiglie, specie quelle con redditi medio-bassi. Se si vanno a guardare i dati provinciali, poi, Siracusa si trova addirittura nella top ten delle città più costose, con una inflazione al mese di giugno del 2,5% e una spesa aggiuntiva nell’anno di 579 euro. Peggio, in Italia, ha fatto soltanto Rimini, con una inflazione del 2,7%. Catania si attesta all’1,5%, poco sotto la media nazionale, all’1,7%. Trapani, invece, si trova tra le città virtuose, con una inflazione dell’1%, mentre Messina sale all’1,2%.
Palermo caso emblematico per la Sicilia
Palermo rappresenta un esempio emblematico della condizione di tutta la regione. Nel capoluogo, si legge nel report emesso dall’ufficio statistica del Comune di Palermo, l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nel mese di giugno, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, è pari a +1,4%, mentre a maggio era arrivato al +1,5%. L’indice dei prezzi al consumo relativo ai beni ha fatto registrare una variazione tendenziale pari a +1,2%, mentre a maggio era stato del +1,7%, mentre l’indice relativo ai servizi ha fatto registrare una variazione annua pari a +1,8%, maggiore del mese prima, quando si era fermato al +1,2%. In ultimo, l’indice relativo ai prodotti acquistati con maggiore frequenza ha fatto registrare una variazione annua di +2,2%.
L’inflazione di fondo, ovvero quella calcolata al netto dei beni energetici e degli alimentari freschi, resta stabile al +1,7%. A livello nazionale, secondo i dati definitivi pubblicati dall’Istat, l’inflazione annua a giugno è salita al +1,7%, in lieve crescita rispetto al +1,6% di maggio.
“Dati pessimi! A preoccupare è il continuo rialzo delle spese obbligate, beni alimentari e carrello della spesa, che non accennano a invertire la loro rotta. Il carrello passa da 2,7 di maggio a 2,8 di giugno, i prodotti alimentari e bevande analcoliche da 3,2 a 3,5. Insomma, aumenti che di mese in mese non sembrano astronomici, ma che sommati determinano una stangata sempre maggiore per le famiglie, specie per le fasce meno abbienti, trattandosi di spese non rinviabili”, afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori.
Secondo l’Unc una coppia con due figli subirà un aumento di spesa annua di circa 630 euro, di cui ben 337 euro solo per il carrello della spesa e 320 euro per prodotti alimentari e bevande. Per una coppia con un figlio la stangata si attesta a 569 euro, mentre per una famiglia media italiana l’aumento è di 453 euro, di cui 221 euro destinati a mangiare e bere.
Inflazione complessiva, Sicilia sotto la media nazionale
In confronto, la Sicilia si mantiene leggermente sotto la media nazionale per quanto riguarda l’inflazione complessiva, ma il dato sui prodotti ad alta frequenza d’acquisto è molto vicino a quello nazionale. In testa, con un’inflazione annua a +1,8%, il Trentino che registra a famiglia un aggravio medio pari a 556 euro su base annua. Segue il Friuli Venezia Giulia, al +1,9%, e una spesa aggiuntiva di 520 euro, e al terzo posto il Lazio con +510 euro e un’inflazione dell’1,9%.
La regione dove si risparmia di più è il Molise
La regione dove si risparmia di più è il Molise: +1% e un aggravio di 236 euro. In seconda posizione la Valle d’Aosta al +1,1% e +304 euro, mentre al terzo posto si trova la Sardegna, al +1,6%, e una spesa maggiorata di 307 euro. Se si guarda alle città, al primo posto si trova Bolzano, dove l’inflazione tendenziale pari a +2,3%, pur essendo “solo” la terza maggiore d’Italia, ex aequo con Belluno e Napoli, si traduce nella maggior spesa aggiuntiva su base annua, equivalente a 763 euro per una famiglia media.
Medaglia d’argento per Rimini che, con +2,7%, l’inflazione più alta d’Italia, ha un incremento di spesa annuo pari a 743 euro a famiglia. Sul gradino più basso del podio Venezia, che con +2,2%, (quarta inflazione più elevata del Paese), ha la terza maggior spesa supplementare, pari a 617 euro annui per una famiglia tipo. Sull’altro fronte della classifica, la città più virtuosa d’Italia è Pisa, dove con il +0,6%, l’inflazione più bassa d’Italia, si ha un aumento annuo di 162 euro.
Al secondo posto Olbia-Tempio, al +0,9% e un maggior costo della vita di 179 euro. Medaglia di bronzo per Vercelli, al +0,8% e +189 euro. Il rischio è che questi rincari, anche se piccoli e progressivi, si trasformino in un peso crescente per le fasce più fragili della popolazione, rendendo sempre più difficile l’accesso a beni essenziali come cibo, energia e servizi sanitari.

