Reti colabrodo e acqua a singhiozzo, in Sicilia un servizio idrico indegno di un Paese civile - QdS

Reti colabrodo e acqua a singhiozzo, in Sicilia un servizio idrico indegno di un Paese civile

Rosario Battiato

Reti colabrodo e acqua a singhiozzo, in Sicilia un servizio idrico indegno di un Paese civile

venerdì 15 Novembre 2019

Ma i costi in bolletta restano al top: a Enna si arriva a 715 euro l’anno contro la media nazionale di 426 euro. Dalla Regione quaranta milioni per le reti dei Consorzi di bonifica. L'altro grave problema è quello della depurazione... che non c'è

PALERMO – In Sicilia le famiglie sono tra le più scontente d’Italia per la qualità del servizio idrico e quelle che si lamentano maggiormente per il numero di interruzioni nell’erogazione, le città continuano a registrare alcune tra le più elevate perdite di rete, in alcuni quartieri dei comuni capoluogo, e anche nei comuni stessi, il servizio di distribuzione dell’acqua è ancora lontanissimo dall’essere quotidiano e h24, come nel resto del Paese. Un deficit che non si colma visto che gli investimenti industriali nel settore delle infrastrutture idriche sono più elevati nel Centro-Nord rispetto alla Sicilia, con una differenza di investimenti netti pro capite che vale più del doppio.

I SICILIANI NON SI FIDANO
Sarà colpa di un’informazione e di una sensibilizzazione non sempre all’altezza, ma verosimilmente anche di un servizio che non sempre riesce a garantire quei criteri di trasparenza e di qualità necessari a creare un rapporto di fiducia con l’utente. Stando ai dati Istat, una famiglia italiana su tre non si fida dell’acqua di rubinetto, ma questo numero sale pericolosamente in Sicilia, dove supera il 50% del totale delle famiglie. Non a caso, riguardo all’odore, al sapore e alla limpidezza dell’acqua, il 72,3% delle famiglie italiane si ritiene molto o abbastanza soddisfatto, in Sicilia, in vece, il 49,7% si è dichiarato insoddisfatto.

INTERRUZIONI DEL SERVIZIO IDRICO
Rispetto all’assenza di interruzioni della fornitura, ha rivelato l’Istat in un report pubblicato lo scorso marzo in occasione della Giornata Mondiale dell’acqua, l’87,4% delle famiglie dichiara di essere molto o abbastanza soddisfatto. Al contrario, in Calabria e Sicilia quelle poco o per niente soddisfatte raggiungono rispettivamente il 40,2% e il 31,9%. Nel 2018, secondo dati dell’Istat, in tutta Italia ci sono 2,7 milioni di famiglie che hanno segnalato irregolarità nell’erogazione di acqua nelle loro abitazioni. Di queste famiglie circa un quarto (23%) si trova in Sicilia, si tratta di 600 mila famiglie isolane che denunciano di non essere soddisfatte.
In Lombardia, ad esempio, a fronte di una popolazione che vale il doppio di quella siciliana, ci sono soltanto 133 mila famiglie che denunciano irregolarità, in Piemonte sono appena 78 mila, in Veneto addirittura 58 mila. In tutta l’area settentrionale sono state circa 364 mila le famiglie che hanno segnalato irregolarità, praticamente circa la metà di quanto registrato nella sola Sicilia.

Nel Mezzogiorno, invece, le famiglie coinvolte ammontano complessivamente a 1,8 milioni, circa il 66% del totale. A livello statistico la “regione più disagiata è la Calabria, dove il 39,6% delle famiglie lamenta questa inefficienza” ma è “grave anche la situazione in Sicilia (29,3%)” seppure risulta in sensibile miglioramento rispetto all’anno precedente. Il dato registrato nel Nord-ovest e nel Nord-est testimonia, invece, le quote esigue di quanti lamentano irregolarità nel servizio, rispettivamente 3,3% e 2,5%.

COSTI SPROPOSITATI PER UN SERVIZIO MINIMO
La percezione di quanto si paga in bolletta spesso è indicativa di come il cittadino viva il servizio idrico. In linea di massima, stando all’incrocio dei diversi indicatori Istat e dall’Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanza, non sempre a un servizio migliore si accoppiano costi più elevati. Nel 2018 la spesa media di una famiglia per la bolletta idrica è stata di 426 euro, con la Sicilia leggermente al di sotto del dato nazionale (412 euro). In termini di capoluogo di provincia, Enna, Caltanissetta e Agrigento, che sono alcune delle aree con i maggiori problemi in termini distribuzione, hanno superato la media, rispettivamente a 715 euro, 599 e 468.

L’Istat ha censito 11 comuni capoluogo di provincia/città metropolitana interessati nel 2017 da misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua per uso civile, tutti ubicati nell’area del Mezzogiorno a eccezione di Latina. Due siciliane sul podio delle peggiori: a Cosenza e Trapani, che sono le città che hanno subito maggiori disagi per la riduzione o sospensione del servizio su tutto il territorio comunale, rispettivamente con 245 e 180 giorni, segue Enna (8). Molto più diffusa l’adozione di misure di razionamento attivate solo su parte del territorio comunale, in maniera tale da “accumulare acqua nei serbatoi e fare fronte alla richiesta nelle ore di maggiore consumo”.

Anche in quest’ultimo caso le siciliane sono al top: le “situazioni di maggiore difficoltà si sono verificate in alcune zone delle città di Catanzaro, Palermo e Sassari, dove la distribuzione dell’acqua potabile è stata ridotta per alcune ore della giornata in tutti i giorni dell’anno”. Nel mirino anche “alcune aree della città di Caltanissetta”, con 347 giorni di riduzione o sospensione del servizio, e particolarmente critica anche la situazione di Agrigento (288). E le reti intanto piangono: secondo un’elaborazione di Cittadinanzattiva, il “livello di dispersione idrica in Sicilia si attesta 42,5%, rispetto alla media nazionale del 36,4%, ma su questo fattore si riscontrano differenze rilevanti fra le province: si va dal 54% di Trapani al 25,1% di Caltanissetta”.

La Regione prova a correre ai ripari: quaranta milioni per le reti dei Consorzi di bonifica

PALERMO – A sottolineare il pesante gap infrastrutturale e di investimenti tra l’Italia e l’Europa e tra il Sud e l’Italia è stata l’annuale edizione del Blue Book, la monografia completa dei dati del Servizio idrico integrato, promosso da Utilitalia, realizzato dalla Fondazione Utilitatis con la collaborazione di Istat.

Secondo questi dati, gli investimenti industriali arrivano a 38,7 euro per abitante, con una crescita del 24% rispetto al 2012 e un profondo divario ancora aperto tra Nord e Sud. Serve, insomma, l’ennesimo piano per il Mezzogiorno: “Restano aree del Paese in forte ritardo – ha spiegato Giovanni Valotti, presidente di Utilitalia – soprattutto nel Mezzogiorno, dove sono ancora numerose le gestioni comunali ‘in economia’: ciò si traduce in livelli di servizi e di investimenti non adeguati, creando iniquità fra diverse parti del Paese. Potenziare il sistema delle imprese idriche nel Mezzogiorno è la via obbligata per migliorare la qualità dei servizi, con importanti impatti sull’occupazione e l’indotto locale. È importante non perdere questo treno: serve un grande piano per il Sud che punti a far decollare l’infrastrutturazione e a garantire un servizio universale a cui tutti i cittadini, indipendentemente dal luogo di nascita, hanno diritto”.
Secondo uno studio di Ref Ricerche, pubblicato lo scorso marzo, gli investimenti netti pro capite nell’acqua tra il 2016 e il 2019 sono stati di 44 euro in Italia, di 47 nel Nord e di appena 18 nel Sud e nelle Isole.

Intanto la Regione, proprio negli ultimi giorni, ha annunciato uno stanziamento di 40 milioni di euro per per ripristinare le reti idriche di distribuzione dei due Consorzi di bonifica dell’isola. Le condotte, realizzate in gran parte negli anni Sessanta e gestite dalle strutture consortili, sono di proprietà della Regione, ma finora la loro manutenzione è stata affidata ai Consorzi che – per i noti problemi di bilancio – solo in parte e sempre più raramente hanno provveduto al mantenimento della loro efficienza. Il risultato è che oggi le perdite d’acqua, dovute al logoramento del tempo, ma anche ad atti vandalici, sono divenute intollerabili e l’acqua nelle aziende agricole arriva sempre meno, suscitando il legittimo malcontento degli agricoltori.

“Per questo motivo – ha spiegato il presidente della Regione Nello Musumeci – abbiamo deciso di intervenire direttamente e avviare a soluzione il grave problema. Si tratta solo di un primo stanziamento al quale seguiranno altre risorse destinate al medesimo scopo. Ai vertici dei due Consorzi abbiamo chiesto di tirare fuori tutti i progetti di cui dispongono. Per quelli che mancano ricorreremo a professionisti esterni. La somma sarà disponibile già alla fine di questo mese, per consentire nel periodo invernale di ripristinare alcuni tratti, prima che arrivi la stagione irrigua. Con questo intervento, in pratica, stiamo anticipando – conclude Musumeci – l’attuazione della legge di riforma dei Consorzi proposta dal mio governo e all’esame della commissione all’Ars che, col suo presidente Orazio Ragusa e con i componenti, ha fatto sin qui un buon lavoro”.

Non solo reti: l’altro male la depurazione (che non c’è)

PALERMO – In Sicilia si dovrà verosimilmente attendere il 2020 per assistere all’avanzamento concreto dei cantieri degli impianti destinati a migliorare la depurazione siciliana in seguito alla gestione del Commissario Unico.

In mezzo ci sono ovviamente storici ritardi – nel 2012 il Cipe stanziò un miliardo per la depurazione con pochissimi effetti sull’apertura dei cantieri – e lo sa bene anche la Comunità Europea che ha messo nel mirino la Sicilia per ben quattro procedure di infrazione per l’insufficiente trattamento dei reflui (2004/2034, 2009/2034, 2014/2059, 2017/2181), con due di queste che sono già allo stato di condanna.
E si comincia già a pagare: secondo una stima degli uffici regionali, contenuta nel documento sullo stato di attuazione della governance, le sanzioni comunitarie per la mancata depurazione costerebbero alle casse regionali, dato il diritto di rivalsa esercitato dallo Stato, 97 mila euro al giorno dal 2012, qualcosa come 247, 8 milioni di euro.

Non solo peso economico, ma anche ambientale: l’Istat ha ricordato che tenendo conto delle acque interdette alla balneazione (divieti temporanei) per “l’intera stagione balneare a causa dei livelli di contaminanti oltre le soglie di rischio per la salute, è stato calcolato l’indicatore relativo ai tratti di costa balneabili, dato dalla percentuale della lunghezza della costa balneabile rispetto alla lunghezza complessiva della linea litoranea”.

In particolare, rileva l’Istituto di statistica, in “Sicilia, Campania e Calabria, più del 2% di costa monitorata è stata interdetta ai bagnanti, soprattutto per la presenza di scarichi delle acque reflue urbane che possono dare origine a fenomeni di inquinamento”.

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