I ricchi risparmiano, i poveri spendono - QdS

I ricchi risparmiano, i poveri spendono

I ricchi risparmiano, i poveri spendono

venerdì 04 Aprile 2025

Apparentemente sembra un paradosso affermare che i ricchi risparmino e i poveri spendano: come dire che i primi non contribuiscono alla crescita economica del Paese che, come si sa, poggia anche sui consumi; mentre i secondi, che spendono tutto quello che guadagnano, vi contribuiscono, eccome.
Il paradosso è, però, solo apparente perché appena approfondiamo l’analisi scopriamo che i ricchi risparmiano in quanto hanno esubero di denaro, nonostante abbiano soddisfatto tutti i propri bisogni primari e voluttuari. In altre parole, risparmiano perché non sanno più come spendere i soldi.
Il ceto medio-inferiore deve invece necessariamente spendere tutto quello che guadagna per soddisfare i bisogni essenziali e solo in minima parte quelli voluttuari.

La conseguenza di quanto precede è che i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri, accentuando quella disuguaglianza fra i ceti che accompagna la storia dell’umanità.

Non possiamo sottacere l’accumulo vorticoso delle ricchezze in questi ultimi decenni. Mai nei secoli precedenti si erano formati agglomerati di denaro, immobili, azioni, obbligazioni e quant’altro come nell’ultima parte dello scorso secolo e nella prima parte di questo.

Vi è stato l’effetto del vertiginoso aumento della tecnologia, che ha velocizzato l’accumulo di capitali utilizzando novità assolute, che hanno sconquassato le vecchie regole di mercato imponendone di nuove, le quali hanno consentito, appunto, una grande concentrazione di ricchezza in un paio di mani.
Come quelle dell’economista Warren Buffett, vicino ai 160 miliardi di dollari di patrimonio, o quelle dei grandi ricchi che la rivista americana Forbes elenca ogni anno nella cosiddetta “top ten”, come Bill Gates (che, seppur ancora giovane, ha abbandonato la sua Microsoft per dedicarsi alla Fondazione filantropica intestata a lui e alla sua ex moglie, Melinda Gates).

La novità in questa classifica è l’ingresso di miliardari cinesi, per esempio Zhang Yiming, fondatore di TikTok, che ha un patrimonio che supera i sessantacinque miliardi di dollari o Jack Ma, ideatore di Alìbaba.

Lo scenario che precede fa sorgere una domanda: se la tendenza spinge verso l’accumulo di ricchezza nelle fasce alte – e quindi le fasce medio-basse si impoveriscono e aumenta la disuguaglianza – chi dovrebbe occuparsi di redistribuire tali risorse in modo equo? È ovvio che se ne dovrebbero occupare i Governi, cioè la massima istituzione di tutti i Paesi del mondo, siano essi democratici o meno.

Per esempio, la dittatura cinese lascia campo libero all’economia e ai suoi cittadini, i quali possono svolgere qualunque attività economica, arricchirsi e formare patrimoni personali, con la condizione imprescindibile che nessuno si occupi di politica, perché quella rimane di esclusiva competenza del Comitato Permanente dell’Ufficio Politico del Partito comunista cinese, consesso ristrettissimo formato da sette membri che corrispondono ai più importanti esponenti del Partito, dello Stato e del potere militare cinese, al cui vertice vi è Xi Jinping.

Le istituzioni hanno difficoltà a procedere sulla strada della redistribuzione delle ricchezze perché sono oggetto delle “attenzioni” dei gruppi di potere, che le spingono ad approvare leggi non già eque, nel senso redistributivo, bensì a loro favore. La conseguenza è che le istituzioni alimentano questo gap tra le classi perché quelle ricche, come prima si scriveva, fanno pressione per aumentare le proprie ricchezze.

Allora non c’è speranza? Crediamo proprio di no perché non è ancora stato inventato un governante probo, equo, dotato di carattere e anche di una forza mentale capace di andare contro le pressioni dei gruppi di interesse.

Sorge subito l’osservazione, ovvia, persino banale, che questo correttivo nelle democrazie lo fa il Popolo. Siamo d’accordo in linea di principio, ma sappiamo che sostanzialmente questo non avviene perché il Popolo attribuisce il potere ai governanti attraverso la legge elettorale, per cui la sua formulazione può eleggere i migliori oppure i peggiori.

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