Assassinato dalla mafia, 45 anni dall'omicidio di Mario Francese

Il ricordo di Mario Francese, Prefetto Mariani al QdS: “Informazione fondamentale per la democrazia”

Il ricordo di Mario Francese, Prefetto Mariani al QdS: “Informazione fondamentale per la democrazia”

Roberto Greco  |
venerdì 26 Gennaio 2024

Nel 45esimo omicidio del brutale assassinio del giornalista per mano della mafia, il Prefetto Mariani sottolinea il ruolo dell'informazione libera contro Cosa nostra.

Si è svolta questa mattina, in viale Campania, la cerimonia di ricordo, a 45 anni dal suo omicidio, di Mario Francese. Numerosi i giornalisti presenti non tanto per documentare l’evento ma perché, in ognuno di loro, s’incarna lo spirito di Mario Francese.

Presenti anche il Prefetto di Palermo Massimo Mariani, il comandante provinciale dell’Arma dei carabinieri Luciano Magrini, il Questore di Palermo Vito Calvino. Oltre a loro tanti semplici cittadini e alcune scolaresche.

  • Commemorazione di Mario Francese a Palermo - QdS, Roberto Greco
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  • Commemorazione di Mario Francese a Palermo - QdS, Roberto Greco (7)
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Il 1979 è stato un anno in cui la mafia mette a segno il suo primo attacco formale nei confronti dello Stato. In quell’anno caddero, oltre a Mario Francese, anche Giorgio Boris Giuliano, Cesare Terranova e Lenin Mancuso.

La mafia uccide i giornalisti

“Perché la mafia uccide i giornalisti? – ha dichiarato al QdS il Prefetto Mariani – La mafia ha ucciso i giornalisti in Sicilia perché l’informazione rappresenta un elemento essenziale per lo sviluppo e il miglioramento della qualità della democrazia. I giornalisti hanno il compito di far crescere la coscienza civile e di permettere ai cittadini di conoscere meglio la realtà dei loro territori, di capire i problemi che vivono ogni giorno. Tutto questo, che serve in ultima analisi a un miglioramento delle condizioni di vita, è visto come un grave danno da parte dei mafiosi, che non possono tollerare che i cittadini vengano informati in maniera compiuta delle conseguenze che derivano dalle loro azioni criminali”.

“La corretta informazione – ha proseguito il Prefetto nel giorno di ricordo del giornalista Mario Francese – è precondizione necessaria per la formazione dell’opinione pubblica e quindi per la salvaguardia e lo sviluppo di una vera democrazia. Un’informazione libera e corretta è necessaria per combattere l’inquinamento compiuto dalle organizzazioni mafiose nella società civile”.

Il ricordo dell’omicidio di Mario Francese

L’assassinio di Mario Francese fu uno degli ultimi casi che finirono sulla scrivania del dottor Giorgio Boris Giuliano, il capo della Squadra Mobile di Palermo che sarà assassinato, dalla stessa mano mafiosa, poco meno di sei mesi dopo, il 21 luglio dello stesso anno. Era il 1979 e Mario Francese, giornalista, lavorava al “Giornale di Sicilia”, importante quotidiano del capoluogo. Anni come telescriventista per l’ANSA, poi giornalista per “La Sicilia”.

Dopo un periodo come addetto stampa all’Assessorato ai Lavori Pubblici della Regione Sicilia, inizia a collaborare con “Il Giornale di Sicilia”, occupandosi, prevalentemente di cronaca giudiziaria. Da quel momento, dalla strage di Ciaculli sino all’omicidio del colonnello Russo, non c’è stata vicenda giudiziaria di cui non si sia occupato, cercando una lettura diversa e più approfondita del fenomeno mafioso. Quel 26 gennaio era sera e Mario stava rientrando a casa. Aveva salutato i colleghi al giornale con il suo solito “Uomini del Colorado, vi saluto e me ne vado”. Fu raggiunto dai proiettili dell’arma di Leoluca Bagarella.

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Un esempio di giornalismo contro la criminalità

Francese è stato il primo, in Sicilia, che ha lavorato con la logica e i modi del giornalismo investigativo. Fu l’unico giornalista a intervistare la moglie di Totò Riina, Ninetta Bagarella. Mario Francese fu anche il primo a indagare e capire, scavando negli intrighi della costruzione della diga Garcia, realizzata da Regione e Cassa per il Mezzogiorno che avevano stanziato più di 350 miliardi di lire per espropriare le terre ai proprietari, le più ampie collusioni che si celavano dietro al favoloso affare economico. Tra i proprietari risultarono esserci Nino e Ignazio Salvo, gli esattori di Sicilia, e Totò Riina, che a loro volta avevano acquistato quei terreni a prezzo di pascolo non molto tempo prima. Quello per lui fu il segnale dell’evoluzione strategica e dei nuovi interessi della mafia corleonese.

La sua indagine fu particolarmente approfondita e riuscì a mettere in evidenza, ancora una volta unico giornalista sulla notizia, la frattura che c’era in quel momento nella “commissione di Cosa Nostra” tra “i liggiani”, che ben presto sarebbero diventati “i corleonesi” e quelli che venivano definiti i ”guanti di velluto”, l’ala moderata rappresentata della mafia borghese di città. Il punto centrale della questione è proprio questo. Mario Francese fu quello che, con efficacia e precisione, potendo contare su confidenti eccellenti, grazie al suo paziente lavoro sul territorio descrisse, in tempo reale, come stava cambiando il governo di “Cosa Nostra”. E la cosa non fece piacere a nessuno.

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