Boris Giuliano, il ricordo della figlia: "Da lui senso del dovere" - QdS

Boris Giuliano, il ricordo della figlia Emanuela: “Ci ha trasmesso forte senso del dovere”

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Boris Giuliano, il ricordo della figlia Emanuela: “Ci ha trasmesso forte senso del dovere”

Roberto Greco  |
venerdì 21 Luglio 2023

Il ricordo della figlia di Boris Giuliano: "Lui sempre con noi". E su Palermo: "Qualcosa oggi è cambiato, però la strada è ancora lunga".

Era nato a Piazza Armerina il 22 ottobre 1930 quel poliziotto che tutti ricordano con quei baffoni che, ancora oggi, appaiono nella sua iconografia più diffusa.

Arrivò alla Questura di Palermo nel 1963, subito dopo la strage di Ciaculli e poco dopo entrò nella Squadra Mobile, prima alla Sezione Omicidi, poi come vice-dirigente e infine, dall’ottobre del 1976, come dirigente. La vita professionale di Giuliano, che subito dopo il suo ingresso alla Squadra Mobile “perderà” il suo primo nome Giorgio per diventare semplicemente Boris Giuliano, seguirà la lunga linea di sangue che, a partire dalla scomparsa di Mauro De Mauro del 16 settembre 1970 arrivò alla mattina di quel 21 luglio 1979 quando, all’interno del bar Lux, Leoluca Bagarella gli sparò alle spalle.

Il 1979 “caldo” di Palermo

Quel 1979 era stato pieno di avvertimenti perché chi tocca i Corleonesi di Totò Riina, astro nascente della consorteria mafiosa, muore. Per primo capì che, per contrastare la mafia, era necessario seguire le tracce che lasciavano i soldi, “Follow the money”.

Come un vero segugio cominciò a fiutare l’odore del denaro, e a seguirlo. Il ritrovamento nel maggio 1978, nelle tasche di Giuseppe Di Cristina, membro di spicco della cosca mafiosa di Riesi, di diversi assegni, tutti dello stesso importo, e i cui beneficiari erano riconducibili a prestanome delle diverse famiglie mafiose, e il ritrovamento, nel giugno 1979, di una valigia contenente oltre mezzo milione di dollari lasciata abbandonata sui nastri di trasporto bagaglio dell’allora aeroporto di Punta Raisi, confermarono quello che lui aveva intuito.

Denaro, tanto denaro proveniente dal traffico di sostanze stupefacenti sulla rotta Palermo-New York. Troppo precisa la sua pista e, soprattutto, lo portava sempre più vicino al quadro che, sotto i suoi occhi, giorno dopo giorno, si stava completando. Identificò per primo i corleonesi, i loro iniziali rapporti con la mafia “borghese” che dominava la città e cominciò a intuire le possibili alleanze.

I legami tra Cosa nostra e poteri economico-politici

Giorgio Boris Giuliano, per primo, aveva capito quanti e quali fossero i legami tra Cosa nostra e i poteri economico-politici e, per primo, grazie alle sue competenze, fu accettato come investigatore dai suoi colleghi d’oltreoceano che, fino a quel momento, aveva snobbato le forze di Polizia che e non avevano mai voluto realizzare operazioni congiunte tra le due sponde dell’oceano Atlantico. Giuliano ci riuscì.

La mattina di quel 21 luglio si prevedeva una giornata calda. Succede spesso, nel mese di luglio a Palermo. La città era semideserta, quasi tutti erano andati nei villini delle località marittime che, a est e a ovest della città, si affacciano sul mare. Quella mattina, in via Alfieri, la sveglia suona qualche minuto prima. Giuliano, prima dell’arrivo dell’auto di servizio che lo deve portare alla Mobile, deve sbrigare un paio di faccende. Poi, un caffè al bar Lux, a un centinaio di metri da casa, in via Francesco Di Blasi, l’ultimo caffè. QdS ha intervistato Emanuela, la figlia di Giorgio Boris Giuliano.

“Notizia della morte fu doccia fredda”

Torniamo indietro al quel 21 luglio del 1979…

“Avevo otto anni, nel 1979. In quei giorni non eravamo in città perché papà ci aveva accompagnato a Piedimonte Etneo per le vacanze. Avrebbe dovuto raggiungerci qualche giorno dopo. Avevamo la radio accesa, quella mattina. La notizia arrivò come una doccia fredda quando lo speaker, al termine del telegiornale, disse ‘Un ultima notizia giunta ora in redazione. È stato ucciso a Palermo il capo della Mobile’”.

Com’è cambiata la vostra vita?

“All’improvviso è cambiato tutto e tanto sarebbe cambiato ancora. Papà, proprio per il ruolo che ricopriva, nel tempo aveva ridotto le frequentazioni sue e nostre. Fin che era in vita, attorno a lui c’erano diverse persone, ma, dopo la sua morte, molti si allontanarono”.

“Ecco cosa ricordo di mio padre…”

A ottobre di quell’anno è ricominciata la scuola. Che ricordi hai, di quel periodo?

“Non ho ricordi nitidi di quel ritorno a scuola, forse è ricominciata come se niente fosse anche se, in realtà, non era così. Diversi anni dopo, una mia insegnante mi scrisse una lettera nella quale ricordava i miei occhi tristi. Li avevo davvero, gli occhi tristi”.

Nel tempo hai trovato la tua strada, sia umana sia professionale. Quanto è stato importante essere la figlia di Giorgio Boris Giuliano?

“Molto. Il pensiero di mio padre mi ricorda che è necessario andare avanti sempre e indipendentemente dalle difficoltà. Quello che sicuramente ha trasmesso a noi figli è il suo forte senso del dovere. È dentro di noi in maniera innata e ci porta a tenere sempre la barra dritta, ad agire nell’unico modo possibile, quello giusto e a non perdere mai la speranza che le cose possano cambiare”.

“A Palermo oggi c’è più coscienza civica”

Hai vissuto da adolescente la tragica Palermo degli anni ’80, poi la stagione delle stragi degli anni ’90. È cambiata, Palermo da allora?

“Sarebbe ingiusto e ingeneroso dire che, in questi quarantaquattro anni, la città non sia cambiata. C’è sicuramente una maggiore coscienza civica, c’è un maggiore ricordo di quanti, come mio padre ma non solo, hanno dato la vita per lo Stato, e non era così negli anni immediatamente successivi alla sua morte. L’uccisione di Falcone e Borsellino, e di quanti caddero con loro, è stata poi un ulteriore colpo per tutti noi. La mafia continuava a uccidere gli uomini dello Stato e a noi, per certi versi, sembrò che la morte di papà fosse stata vana, un sacrificio inutile, come se che quei tredici anni passati dall’omicidio di mio padre fossero trascorsi invano. In questa città, qualcosa oggi è cambiato, però la strada è ancora lunga. Si percepisce ancora una sorta d’indifferenza, ma abbiamo il diritto di pretendere di più, anche per onorare il sacrificio di quanti hanno dato la vita per lo Stato”.

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