Settore turistico e lavoratori stagionali a Messina. I sindacati: tante criticità da affrontare - QdS

Settore turistico e lavoratori stagionali a Messina. I sindacati: tante criticità da affrontare

Lina Bruno

Settore turistico e lavoratori stagionali a Messina. I sindacati: tante criticità da affrontare

martedì 17 Settembre 2019

Evidenziata la necessità di migliorare i servizi e tutelare le professionalità formatesi nel settore. Nel messinese si parla di circa 16 mila addetti divisi tra la zona ionica e tirrenica

MESSINA – La provincia siciliana con il più alto numero di lavoratori stagionali nel turismo, ma anche quella dov’è aumentata la precarietà e si perdono più posti di lavoro.

Nel messinese si parla di circa 16 mila addetti tra zona ionica e tirrenica, ma il numero maggiore è concentrato nel comprensorio che va da Taormina fino alla Valle d’Alcantara. Qui l’incremento della presenza di turisti, come è stato registrato quest’anno, non si è però tradotta in un aumento dell’occupazione negli alberghi e nella ristorazione, anzi c’è una perdita di posti di lavoro. Si è ridotto il periodo lavorativo che se prima andava da marzo a ottobre, adesso si concentra da aprile o addirittura maggio fino a settembre o ottobre. Nelle isole Eolie la situazione è ancora più critica, perché in media non si fanno più di tre mesi.

“Siamo alla fine della stagione – ha commentato Pancrazio Di Leo, rappresentante della Fisascat Cisl – e già ci sono alcuni licenziamenti in atto, soprattutto nella ristorazione. Non ancora negli alberghi, dove in alcune strutture si potrebbe arrivare fino al 24 novembre. Riducendo il periodo lavorativo gli stagionali hanno grossi problemi. A differenza del passato, con la riforma del 2015 i lavoratori vengono pagati con la Naspi per il 50% dell’attività svolta, chi lavora sei mesi percepisce dopo il licenziamento solo tre mesi di disoccupazione e per gli altri tre non ha nessuna copertura. Molti di questi stagionali sono stati costretti ad andare all’estero a lavorare, o cambiare mestiere e la cosa più grave che così anche il personale specializzato va via e viene a mancare sul territorio dove le strutture, di contro, hanno sempre più bisogno di qualifiche specifiche che a volte neppure i percorsi formativi riescono a garantire”.

Anche alcune forme di lavoro nero o irregolare spingono molti giovani precari del settore a cercare occupazione altrove. “Alcune attività nel comprensorio di Taormina – ha aggiunto Di Leo – come bar e pubblici esercizi, aprono al mattino e chiudono alle 23 o a mezzanotte e c’è solo un turno, non due o tre come dovrebbe essere. Lo abbiamo segnalato agli organi competenti perché intervengano a verificare quante ore di lavoro vengono svolte. Non ci sono controlli e magari un lavoratore assunto part time per quattro ore ne fa invece 14. Se luglio e agosto viene fatto così, e magari senza il giorno di riposo settimanale, qualche problema c’è. Gli organi ispettivi hanno gli strumenti per verificare, ma anche il lavoratore è restio a denunciare per paura di perdere il posto”.

Il monte ore non pagato diventa evasione fiscale e contributiva e diventa anche mancata occupazione per chi potrebbe coprire i turni fatti da una sola persona. Sono anche questi posti di lavoro in meno. Per i sindacati si deve intervenire sulle politiche del lavoro in modo strutturale per creare opportunità. La Regione, sempre secondo i rappresentanti di categoria, dovrebbe fare la propria parte iniziando a programmare e investire in un comparto, quello turistico, che rimane una grande potenzialità inespressa.

“Bisogna anche correggere alcune anomalie – ha sottolineato Di Leo – in quanto nelle strutture ha la precedenza chi ha lavorato la stagione precedente. Dal terzo anno in poi si utilizzano i tirocinanti delle scuole e dopo di essa magari sono assunti. Ma per i giovani che sono usciti dal circuito scolastico non c’è possibilità. Si deve pensare anche a loro. C’è personale anziano che non riesce ad andare in pensione e a una certa età non vengono più ripresi. Gli stagionali hanno un problema contributivo enorme, sono fuori da Quota 100 e l’Ape sociale ci sarà fino al 31 dicembre perché non è stata rifinanziata. Con 63 anni e 30 anni di contribuzione, compresi i figurativi, potevano andare in pensione. Senza l’anticipo pensionistico dovrebbero arrivare fino a 67 anni”.

“Stiamo lavorando da alcuni mesi – ha concluso – su una petizione con raccolta firme da presentare al Governo, dove chiediamo sia il rifinanziamento dell’Ape sociale che la modifica della Naspi, che deve prevedere un’indennità da erogare equivalente alle settimane di effettivo lavoro prestato”.

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