Il progetto del QdS, intitolato “La Voce delle Donne”, arriva al Convitto Cutelli di Catania. Necessario un percorso di “consapevolezza” per uscire dalla spirale della violenza
“La voce delle Donne”, progetto del Quotidiano di Sicilia, è arrivato anche al Convitto Cutelli di Catania. Oggi il primo incontro dei ragazzi con il vicedirettore Raffaella Tregua, la giornalista e redattrice Patrizia Penna, la psicoterapeuta Laura Monteleone e l’avvocato penalista Maria Teresa Cultrera, per parlare della questione femminile. Il prossimo appuntamento è previsto per lunedì 5 dicembre.
La questione di genere è anche una questione di linguaggio
L’essere umano è un dispositivo semantico, come sostiene il filosofo, saggista e professore di filosofia teoretica di UniCt Alberto Giovanni Biuso. Il ché significa che attribuisce significati a tutto ciò che incontra nel mondo, li comunica con il linguaggio verbale e non verbale e li utilizza per elaborare pensieri e convinzioni che poi si tramutano in azioni volontarie.
La violenza sulle donne è dunque la punta del gigantesco iceberg del maschilismo che nei significati comuni esprime la differenza al ribasso tra uomo e donna. A fotografare questo panorama il famoso monologo di Paola Cortellesi in occasione del David di Donatello del 2018 che, trasmesso oggi nell’aula magna del Convitto Cutelli, ha fatto amaramente sorridere i ragazzi.
Sono proprio gli “equivoci” a rendere complessa l’azione di riconoscimento di tutti i fenomeni che non aiutano la sicurezza delle donne. Talvolta “l’amore si pensa possa essere tante cose – ha precisato Raffaella Tregua -. E invece no, l’amore è soltanto sentimenti positivi, altrimenti è disamore”.
Le piccole azioni concrete e le diverse narrazioni sulle donne
“Della violenza sulle donne forse si parla troppo o forse troppo poco. Noi crediamo che esista una terza opzione, ovvero che se parli in maniera sbagliata – ha spiegato Patrizia Penna -. Crediamo che esista una narrazione dei temi che riguardano le donne che racconta una verità di comodo, distorta. È contro questa narrazione che dobbiamo combattere”.
Questa battaglia di piccole azioni concrete potrebbe portare più frutti di quanti le comuni attività di sensibilizzazione abbiano fatto finora, visto che i dati sulla violenza contro le donne continuano a crescere. “La farfalla, prima di diventare tale, è un bruco. E il pensiero di Lao Tzu è che quello che per il bruco è la fine del mondo, per il resto del mondo si chiama farfalla – ha detto la vicedirettrice -. Questo è quello che succede alle donne vittime di violenza che noi di QdS abbiamo deciso di raccontare sotto tanti profili con il progetto ‘La voce delle donne’. Col proprio esempio si può aiutare gli altri a uscire da situazioni difficili perché siamo tutti interconnessi; io credo ne ‘l’effetto farfalla’, quel battito d’ali che, pur avvenendo in una sola parte del mondo, può scatenare l’uragano dalla parte opposta; perché ogni nostra azione ha delle conseguenze, positive e negative, sugli altri”.
I simboli che raccontano le donne e il 25 novembre
Anche le ricorrenze possono avere un ruolo positivo. È da poco trascorsa la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, un appuntamento che ha ormai nelle scarpe rosse il suo simbolo. Ma da dove nasce l’accostamento?
“Le scarpe rosse nascono nel 2009 da un’idea di un architetto messicano, Elina Chauvet, che decise di denunciare così la sparizione di alcune donne nel deserto che poi venivano trovate mutilate – ha spiegato ai ragazzi l’avvocato Cultrera -. Le scarpe indicano la possibilità di fare ancora strada, di tracciare il proprio percorso. Il colore, il rosso spesso accostato alla passione o al sangue, viene oggi utilizzato pure per le panchine che commemorano le vittime di femminicidio nel nostro Paese”.
Accanto alla commemorazione, serve però promuovere le competenze del gentil sesso che continua a guadagnare meno rispetto agli uomini, a parità di mansioni e ore di lavoro, e che continua a essere troppo poco occupato in Italia, con differenze molto rilevanti tra Nord e Sud.
Eppure le donne laureate sono il 22%, gli uomini soltanto il 16%. “Ha incontrato discriminazioni a lavoro?”, hanno chiesto i ragazzi all’avvocato.
“All’inizio della mia carriera mi è capitato i magistrati si rivolgessero a me con il termine ‘signorina’, mentre chiamavano i miei colleghi uomini ‘avvocato’. E poi molti miei nuovi clienti hanno mostrato titubanza iniziale sulle mie capacità, perché non si aspettavano fossi donna. Ho dovuto dimostrare con i fatti le mie competenze per farli ricredere subito”.
Femminicidio, violenza sessuale e prevenzione
L’avvocato, dopo aver sottolineato l’importanza della distinzione tra omicidio e femminicidio, ha introdotto gli strumenti di tutela del sistema giuridico italiano a favore delle donne e il Codice Rosso della riforma Cartabia. Ma ha posto l’accento sull’importanza della denuncia e della prevenzione della violenza: “Se i comportamenti di un ragazzo vi sembrano troppo oppressivi, vi mettono ansia, parlatene senza alcuna vergogna con i vostri genitori che ormai sono vostri amici – ha suggerito alle classi -. Dovete raccontare tutto e la giustizia vi tutelerà. Lo stesso vale per le violenze sessuali, che sono tali anche quando riguardano il semplice palpeggiamento”.
Le diverse forme di violenza sulle donne e i campanelli d’allarme
Se le violenze fisiche sono facilmente visibili, quelle psicologiche meno, pur lasciando ugualmente segni indelebili. L’attenzione, secondo Laura Monteleone, dev’essere triplice: alla prevenzione, al cambiamento culturale che deve investire anche le istituzioni, al trattamento delle vittime dirette e indirette.
“I rapporti che non sono basati sulla reciprocità e sull’armonia, rappresentano l’inizio di una relazione violenta o comunque di prevaricazione – ha detto la psicoterapeuta -. Esistono diverse forme di violenza, tutte gravi. La violenza psicologica, già spesso sottostimata, può pure essere indiretta, quando la donna non viene ascoltata”.
I campanelli d’allarme, dunque, non sono soltanto le minacce e le violenze fisiche. Ma anche l’isolamento dai propri affetti, la scarsa considerazione, il disprezzo, il controllo. “Le vittime di violenza non sempre riescono a uscire da queste situazioni. Talvolta si sentono in colpa come se le violenze subite fossero meritate e quindi se ne vergognano. Inoltre finiscono con lo sviluppare senso di inadeguatezza e convinzione d’incapacità di agire, depressione”.
Quasi tutte le forme di violenza sulle donne hanno nella violenza economica il comune denominatore: “Gli uomini violenti mirano a impedire alla donna l’autonomia economica, così da esercitare su di lei il controllo e renderle impossibile la libertà di scelta – ha continuato -. Talvolta la moglie/compagna non viene resa partecipe al reddito familiare, ma viene ugualmente sfruttata come forza lavoro e poi, dopo la separazione, non riceve nemmeno gli alimenti dall’ex marito”.
Violenza assistita e bullismo: “A rischio il 65% dei bambini italiani”
Ma c’è un’altra emergenza: violenza fisica, violenza sessuale, violenza psicologica e stalking non distruggono soltanto la vittima primaria. “Oltre il 65% dei bambini italiani, secondo l’Istat, subisce violenza assistita ed è esposto a traumi, problemi nello sviluppo che si manifestano poi in comportamenti disfunzionali con gli altri e nella possibilità di insorgenza di comportamenti violenti – ha aggiunto -. Il bullismo, per esempio, può avere questa origine perché i modelli violenti si introiettano dai genitori. Si può uscire dal trauma? Sì, allontanandosi dalla situazione violenta, avviando un processo di elaborazione e di riparazione”.
Contro i luoghi comuni per la sicurezza delle donne
Per un cambiamento reale occorre la consapevolezza che il fenomeno della questione di genere abbia una portata più grande rispetto ai comuni riduzionismi di sorta che, di fatto, finiscono indirettamente per attribuire alle donne la colpa di ciò che subiscono.
“Bisogna guardare i singoli casi specifici senza mai generalizzare – ha concluso Monteleone -. Non è vero che le vittime non siano abbastanza brave a distinguere un uomo rispettoso da uno violento; spesso le situazioni possono degenerare ed essere frutto di valutazioni compiute in un contesto culturale e sociale a cui tutti concorriamo. Non è nemmeno possibile accettare ancora che gli uomini violenti siano ‘folli’ e/o in preda a ‘raptus di gelosia’ incontrollabili; serve invece valutare la capacità di intendere e di volere, che è cosa ben diversa, e intendere l’impulsività come inclinazione a reagire con la forza. E poi combattere la collusione, perché chi sta a guardare in silenzio è complice”.
Ivana Zimbone