Non è un mistero che chi in Sicilia riveste una carica finisce per acquisire il potere di condizionare i rapporti tra privati e pubblica amministrazione
La politica risolve, la politica ostacola. Non è un mistero che chi in Sicilia riveste una carica – frutto di mandato elettivo o nomina fiduciaria – finisce per acquisire il potere di condizionare i rapporti tra privati e pubblica amministrazione.
Con buona pace della riforma Bassanini, con cui negli anni Novanta si puntò a separare il ruolo di indirizzo da quello gestionale spettante ai burocrati, le cronache giudiziarie sono zeppe di politici che fanno il bello e il cattivo tempo, influenzando le sorti dei procedimenti più svariati: dai concorsi pubblici agli appalti milionari, la realtà dice che avere un politico come amico non solo può far comodo ma spesso risulta anche requisito necessario per coltivare la speranza.
Nell’ultima inchiesta sulla corruzione nella sanità, la politica finora è rimasta sullo sfondo. Nessuno tra gli indagati ha ruoli in organi legislativi o di governo, anche se il principale – il commercialista palermitano Antonino Sciacchitano – la fiducia degli enti pubblici l’ha sempre ottenuta: dal presidente della Regione Renato Schifani al sindaco metropolitano di Catania Enrico Trantino, per fare solo qualche esempio, in tanti lo hanno voluto presidente dell’Organismo indipendente di valutazione.
Stando a quanto emerge dall’ordinanza del tribunale di Palermo che lo ha portato ai domiciliari, Sciacchitano avrebbe sfruttato tali incarichi per creare relazioni utili a favorire gli imprenditori a lui vicini, ottenendone in cambio prebende per l’attività di lobbying.
Per la giudice Carmen Salustro, il 65enne originario di Corleone sarebbe stato al vertice di un sistema “all’interno del quale operano politici, pubblici funzionari, imprenditori e professionisti”. C’è una vicenda, però, in cui proprio Sciacchitano avrebbe visto nei politici non soltanto un’opportunità, ma anche un possibile elemento di disturbo per la buona riuscita dei propri progetti.
Corruzione nella sanità, la transazione
La storia ha come protagonista la società Polygon. Un tempo Tecnologie Sanitarie – e con questo nome coinvolta, nel 2020, nell’inchiesta Sorella Sanità – nel 2023 è stata acquisita dalla società di investimenti americana Hig Capital ed è oggi controllata dalla lussemburghese Forum Holdings 9. La vendita dalla famiglia Zanzi, gli storici proprietari, al gruppo statunitense è avvenuta dopo che la Polygon ha concordato la pena nel processo a Palermo.
“Oggi hanno fatto il patteggiamento, quindi la vendita è concretizzata”. L’8 febbraio 2023, a raccontare ciò che era stato deciso nel tribunale siciliano è un responsabile commerciale di Polygon. L’uomo si trova nella hall di un albergo di Salerno in compagnia di Giovanni Cino, ritenuto un faccendiere al pari di Sciacchitano, e, insieme al campano Lello Cacace, componente dell’associazione a delinquere che nell’ultimo decennio avrebbe inciso negli appalti della sanità regionale.
La trattativa
Alcuni mesi prima – erano gli scampoli dell’estate 2022 e dunque anche le ultime battute del governo Musumeci – Sciacchitano e Cino si erano impegnati in quella che, leggendo gli atti dell’inchiesta, si direbbe essere stata una trattativa tra Polygon e Regione per cercare di salvare l’esito di una gara che era finita nel mirino degli inquirenti: l’appalto per la manutenzione delle apparecchiature elettromedicali nelle province di Palermo e Trapani.
“Le indagini – si legge nell’ordinanza – hanno permesso di registrare l’interessamento di Sciacchitano, condiviso da Cino, alle prospettive di lucrare dalla volontà della Polygon di non disperdere i benefici economici derivanti dall’aggiudicazione delle gare, persino per quelle finite nell’occhio del ciclone dell’indagine Sorella Sanità e, di conseguenza, paralizzate dagli sviluppi della stessa”.
La Centrale unica di committenza (Cuc), ufficio regionale che fa capo all’assessorato all’Economia, aveva infatti deciso di escludere la Polygon dalla gara in seguito alle accuse rivolte dalla procura di Palermo. Tra la Regione e l’impresa era così sorto un contenzioso, con la seconda convinta di avere le carte in regola per difendere l’aggiudicazione.
“È apparso evidente che lo stato del contenzioso amministrativo abbia creato l’occasione affinché la Polygon potesse pensare di proporre una transazione all’amministrazione regionale, in modo da riottenere l’aggiudicazione del lotto, evitando alla Cuc di dover nuovamente bandire una gara”, scrive la giudice.
I facilitatori
È in questa cornice che Sciacchitano e soci si sarebbero mossi per cercare di agevolare le aspettative della società. Un impegno che non sarebbe stato frutto di mera generosità. “Giustamente non è che possiamo fare travaglio (lavoro, ndr) gratis”, diceva il commercialista palermitano ad agosto del 2022.
Per gli inquirenti, Sciacchitano e Cino confidavano nella possibilità di ottenere, una volta portato a casa il risultato, fino a 200mila euro a testa dalla Polygon. I soldi, però, si sarebbero dovuti sborsare anche per ringraziare chi aveva in qualche modo dato un contributo per concludere l’accordo. Ed è qui che viene fuori il cognome più pesante tra quelli che compaiono nell’inchiesta: Cuffaro.
Il nome di Cuffaro
Gli inquirenti ritengono che Sciacchitano, tramite l’autista personale di Totò Cuffaro, sia riuscito a parlare con Silvio, fratello dell’ex presidente e dirigente dell’assessorato all’Economia.
Silvio Cuffaro, che come il fratello non è indagato, sarebbe stato funzionale a entrare in contatto con l’allora dirigente della Cuc, Giovanni Di Leo. “Sciacchitano e Cino – si legge – in un incontro presso la stazione di servizio di Buonfornello, hanno ricostruito l’iter che stava attraversando la proposta di transazione, chiarendo che Silvio Cuffaro aveva svolto il ruolo di tramite al fine di far pervenire a Di Leo la documentazione portata da Sciacchitano”.
Il Quotidiano di Sicilia ha contattato Silvio Cuffaro per una replica, senza ottenerla.
Questione di avvocati
Il dirigente della Cuc, dal canto proprio, avrebbe fatto presente di essere disponibile ad andare avanti con la transazione soltanto se dall’Avvocatura dello Stato fosse arrivato il via libera. Un parere era stato già richiesto.
“Ho rintracciato Di Leo, gli ho parlato più volte, gli ho fatto avere la documentazione che mi avete fornito voi”, racconta Sciacchitano il 5 settembre nel corso di una call con Cino e il legale che segue gli interessi della Polygon.
Il commercialista palermitano spiega che Di Leo aveva fatto presente di non voler sollecitare la risposta dell’Avvocatura dello Stato, per evitare che, secondo la ricostruzione di Sciacchitano, qualcuno pensasse che il dirigente della Cuc fosse direttamente interessato a quel tipo di soluzione.
Per superare l’impasse, Cino e Sciacchitano propongono al legale di Polygon di contattare il collega dell’Avvocatura. Fatto questo, i due faccendieri sarebbero tornati in gioco. “Quando l’avvocato (dell’Avvocatura) intende chiamare l’ufficio, quindi la Cuc, se magari ce ne può dare notizie. A me l’unica cosa che interessa è che lui (l’Avvocatura, ndr) trasferisca, una volta che l’ha accettata, questa proposta all”ufficio. Che per l’ufficio ci penso io”, chiariva Sciacchitano.
Fare prima delle Regionali
Se stando a quanto ricostruito dalla gip, Sciacchitano e Cino avevano immaginato una somma tra 10mila e 20mila euro da dare a Silvio Cuffaro “come forma di ringraziamento”, il commercialista palermitano suggeriva anche di risolvere la questione della transazione di Polygon nel giro di poche settimane. E sicuramente prima delle imminenti elezioni regionali, in programma il 25 settembre.
“Perdoni, avvocato. L’unica cosa che chiedo a voi – dice Sciacchitano il 5 settembre 2022 – è la massima celerità perché diciamo che l’assenza della politica ci aiuta. È a nostro favore, perché si risolve tra avvocati e uffici. Evitiamo diciamo che questa cosa vada dopo il 24 settembre, quando arriverà qualcuno e comincerà a chiedere probabilmente…”
Quel qualcuno, secondo la giudice, sarebbe stato senz’altro uno o più politici, tra quelli che avrebbero trovato posto nei palazzi del potere regionale. Cosa avrebbero potuto chiedere – trattandosi di una disputa di natura strettamente amministrativa – non è chiaro, ma lascia margini di riflessione.