Mal Comune, ma senza alcun gaudio, sempre più Enti locali sono in crisi finanziaria profonda - QdS

Mal Comune, ma senza alcun gaudio, sempre più Enti locali sono in crisi finanziaria profonda

Paola Giordano

Mal Comune, ma senza alcun gaudio, sempre più Enti locali sono in crisi finanziaria profonda

martedì 03 Marzo 2020

Conti degli Enti locali siciliani sempre più in rosso: un centinaio quelli a rischio default. Una crisi che si acuisce sempre più, tanto che i Piani di riequilibrio potrebbero non bastare. Pesa l’incapacità di incrementare gli incassi a fronte di un netto taglio dei trasferimenti

PALERMO – Che i conti dei Comuni siciliani siano sempre più traballanti non è una novità. I numeri sono tristemente noti: un quarto degli Enti locali dell’Isola vive condizioni finanziarie critiche.

Ma è un quadro che è destinato a peggiorare alla luce della sentenza n. 4/2020 della Corte costituzionale, depositata lo scorso 28 gennaio e pubblicata nella Guri del giorno successivo, che ha sancito l’illegittimità dell’art. 2, comma 6, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 125, e dell’art. 1, comma 814, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020). La decisione ha di fatto invalidato la disposizione adottata dalla Legge di Bilancio del governo Renzi che consentiva di spalmare in trent’anni il piano di riequilibrio dei Comuni. Con la conseguenza che la Corte dei Conti, tenuta ad approvare quei piani, ha iniziato a bocciare i programmi di riequilibrio.

Il Governo è corso subito ai ripari con un decreto legge, il n.162/2019, convertito nella legge n. 8/2020 che ha introdotto all’art. 39 quater disposizioni per il ripiano del disavanzo finanziario degli Enti locali eventualmente emergente in sede di approvazione del rendiconto 2019, dovuto alla diversa modalità di calcolo dell’accantonamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità in sede di rendiconto negli esercizi finanziari 2018 e 2019, al fine di prevenire l’incremento del numero di Enti locali in situazioni di precarietà finanziaria.

Il ripiano del suddetto disavanzo è consentito in un periodo massimo di 15 annualità, a decorrere dall’esercizio 2021. Ed è consentito solo con riferimento a quella parte dell’eventuale disavanzo determinato dalla differenza tra l’importo del Fondo crediti di dubbia esigibilità accantonato nel risultato di amministrazione in sede di approvazione del rendiconto 2018 e l’importo del Fondo crediti di dubbia esigibilità accantonato in sede di approvazione del rendiconto 2019.

Per capire quali ripercussioni tutto ciò avrà sui nostri Comuni abbiamo interpellato il segretario generale di Anci Sicilia, Mario Emanuele Alvano, il quale sottolinea come la sentenza abbia “creato un problema enorme per molti Enti locali, perché l’ipotesi di spalmare in trent’anni il disavanzo consentiva di produrre un minor impatto sul bilancio, anche se le motivazioni della Corte costituzionale, consentendo di affrontare il problema in tempi più ridotti, sono proprio legate al fatto di evitare che quest’operazione si ripercuota sulle future generazioni. Il Governo e il Parlamento sono intervenuti in tal senso, previo confronto con l’Anci, adeguandosi al nuovo criterio di calcolo, con l’art. 39 quater della legge di conversione del Decreto proroghe, che stabilisce che il periodo per spalmare il disavanzo sia di quindici anni”.

“Vale la pena osservare – aggiunge – che l’esito di tali questioni prettamente tecniche nasce dalla riforma dell’armonizzazione contabile: l’adeguamento normativo che vi è stato è profondamente diverso rispetto al passato, ma non è coinciso con alcune scelte di carattere sostanziale che invece non sono state prese per supportare i principi di quella riforma. Anche prima di essa era cambiata la base su cui poggia la finanza locale, che da un sistema incentrato sui trasferimenti statali e regionali è passata a un sistema basato sui tributi locali. Il vero tema è la riscossione dei tributi locali, perché laddove vi è una difficoltà nel riscuotere i tributi essa si riversa sul meccanismo di calcolo sul Fondo crediti di dubbia esigibilità e tutti gli accorgimenti di carattere normativo in alcuni casi rischiano di essere solo delle pezze che si appongono rispetto a un problema che è di carattere sostanziale”.

“La stessa dichiarazione di dissesto – evidenzia Alvano – un tempo era risolutiva, oggi se non si mette mano a questo problema rischia di non essere più definitiva e di riproporsi da lì a qualche anno. Se non si pone mano alla questione di fondo, e cioè a come si tiene il bilancio degli Enti locali, quindi sui tributi locali, o modificando il meccanismo normativo sulla riscossione attualmente vigente, cito l’ipotesi che è circolata e che noi abbiamo avallato della Tari in bolletta, ci troveremo in continuazione a dover far fronte a emergenze di carattere finanziario”.

Focus normativo

Cos’è il Piano di riequilibrio
Nel caso in cui non si rispettino, durante la gestione e nelle variazioni di bilancio, il pareggio finanziario e tutti gli equilibri stabiliti in bilancio per la copertura delle spese correnti e per il finanziamento degli investimenti, secondo le norme contabili recate dal Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti locali (Dlgs. 18 agosto 2000 n.267 e successive modifiche), i Comuni possono ricorrere, con deliberazione consiliare, alla procedura di un Piano di riequilibrio finanziario pluriennale (art. 243 bis del Tuel) di durata compresa tra quattro e venti anni, in base al rapporto tra le passività da ripianare e l’ammontare degli impegni di spesa del rendiconto dell’anno precedente a quello di deliberazione del ricorso alla procedura di riequilibrio o dell’ultimo rendiconto approvato.

Tale Piano deve tenere conto:

a) delle eventuali misure correttive adottate dall’Ente locale in considerazione dei comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria e del mancato rispetto degli obiettivi posti con il Patto di stabilità interno accertati dalla competente sezione regionale della Corte dei Conti;

b) della puntuale ricognizione, con relativa quantificazione, dei fattori di squilibrio rilevati, dell’eventuale disavanzo di amministrazione risultante dall’ultimo rendiconto approvato e di eventuali debiti fuori bilancio;

c) dell’individuazione, con relative quantificazione e previsione dell’anno di effettivo realizzo, di tutte le misure necessarie per ripristinare l’equilibrio strutturale del bilancio, per l’integrale ripiano del disavanzo di amministrazione accertato e per il finanziamento dei debiti fuori bilancio entro il periodo massimo di dieci anni, a partire da quello in corso alla data di accettazione del piano;

d) dell’indicazione, per ciascuno degli anni del piano di riequilibrio, della percentuale di ripiano del disavanzo di amministrazione da assicurare e degli importi previsti o da prevedere nei bilanci annuali e pluriennali per il finanziamento dei debiti fuori bilancio.

Ai fini della predisposizione del Piano, l’Ente è tenuto a effettuare una ricognizione di tutti i debiti fuori bilancio al finanziamento dei quali può provvedere anche mediante un piano di rateizzazione, della durata massima pari agli anni del piano di riequilibrio, compreso quello in corso, convenuto con i creditori.

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