La sanità siciliana è malata di provincialismo, a livelli cronico-degenerativi. Il commento.
Se chiediamo a qualunque siciliano se sia soddisfatto della Sanità regionale avremo risposte in larga parte negativa. In altre regioni, soprattutto al centro e al nord, questo non succede: lì la politica viene giudicata dai servizi che eroga al cittadino, da noi no. Anche se poi si chiede al cittadino isolano di chi sia la colpa di disservizi, inefficienze, corruzioni o carenze enormi, come il caso dei referti istologici di Trapani, la risposta è univoca: la politica. Eppure la politica è stata eletta da quegli stessi cittadini, sempre meno in effetti, che lamentano gravi ritardi, disservizi, colpe se non dolo in alcuni casi.
Ovviamente non ci riferiamo ai recenti fatti di cronaca, che riguardano situazioni parziali, che possiamo ritrovare da altre parti che non siano la famigerata Sicilia. La corruzione può essere ovunque, anche a Bologna o Verona, ma il problema non è quello, ma la carenza esagerata, in alcuni casi atroce, di servizi, nonostante il costo. La vera malattia endemica, come la Thalassemia, è l’inefficacia e l’inefficienza dei servizi sanitari regionali.
La Sanità da anni è stata aziendalizzata, e al vertice di queste aziende ci sono dei manager. Ma in Sicilia sono veri manager? Hanno alti studi superiori, esperienze nazionali o internazionali, hanno frequentato la SDA Bocconi o hanno Master internazionali di altissimo profilo? Alcuni di loro vengono da aziende private qualificate, magari quotate in borsa? Assolutamente no, molti non hanno nemmeno una preparazione di studi aziendali, hanno quasi tutti curriculum fatti in casa, nelle stesse aziende pubbliche siciliane, dove hanno imparato a lavorare, campare, adeguarsi alle non certamente best practice isolane, in termini di performance e trasparenza. Di fatto a volte i manager delle aziende siciliane, pur gestendo bilanci importanti, in alcuni casi miliardari, sono dirigenti fatti in casa, come se alla direzione di un Hilton o di un ristorante di alta fascia mettessimo, con tutto il rispetto, lo zio Pino, buon cuoco della trattoria dietro l’angolo. Perché allora sono stati scelti loro? Perché sono “canosciuti”, e reputati temporaneamente affidabili al politico di turno che vuole, pretende, per far parte di una maggioranza politica, il suo direttore. Costoro non vengono pescati da una graduatoria o albo nazionale, ma da un albo fatto in casa, per amici, parenti in alcuni casi, conoscenti, più o meno. Un laghetto siciliano da cui pescare qualcuno che non tradisca il mandato. Di dare ottimi servizi ai cittadini? No. Di soddisfare le continue e pressanti esigenze dei danti causa, dei referenti politici che li scelgono.
Ed ovviamente devono essere tutti siciliani, e spesso della provincia di riferimento del deputato. Puoi mai parlare chiaro a uno che viene da Bergamo o Treviso, dove magari ha realizzato ottimi risultati, che non capisce quello che il politico vuole da lui, e magari si concentra, ovviamente inconsciamente, su liste d’attesa, performance, servizi migliori?
Per questo noi continuiamo a pestare nello stesso mortaio, dove l’acqua è sempre la stessa, a volte anche putrida. Ovviamente nessuno è uguale, ci sono persone che – pur non avendo girato il mondo, come fanno normalmente i veri manager – ci mettono l’anima, ma il sistema di valutazioni e di obbedienza politica rimane immutabile. In secula, seculorum amen. La sanità siciliana è malata di provincialismo, a livelli cronico-degenerativi. La soluzione? Affidarsi all’albo nazionale, valutare i migliori curriculum, ai sensi delle loro performance e risultati, e scegliere persone che possano portare altre pratiche, rispetto a quelle a cui noi ci siamo adattati. Una volta, 25 anni fa, andai a Ragusa per parlare con un direttore generale. Era un manager dell’americana Bull, ed era stato incredibilmente nominato lì. Invece di andare avanti, siamo andati indietro.