Pil, in Sicilia nel 2018 solo un misero +0,5%, frutto del vergognoso disimpegno della politica - QdS

Pil, in Sicilia nel 2018 solo un misero +0,5%, frutto del vergognoso disimpegno della politica

Patrizia Penna

Pil, in Sicilia nel 2018 solo un misero +0,5%, frutto del vergognoso disimpegno della politica

martedì 05 Novembre 2019

Crollano gli investimenti al Sud: nel 2018 scesi da 10,4 a 10,3 miliardi; al Centro-Nord saliti da 22,2 a 24,3 miliardi

A.A.A. riequilibrio territoriale cercasi: il Rapporto Svimez, con i suoi dati a dir poco sconfortanti, impone una doverosa riflessione, l’ennesima, sulla questione meridionale. Mai risolta.

“Nuovi temi di un’antica questione”, recita il documento dell’Associazione per lo sviluppo e l’industria nel Mezzogiorno. Ed in effetti la questione meridionale necessita di un cambio di prospettiva e va analizzata nell’ottica di un doppio divario, non solo quello Nord-Sud ma anche quello Italia-Europa. “Nell’ultimo ventennio – si legge nel Rapporto – la politica economica nazionale ha disinvestito dal Mezzogiorno, ha svilito anziché valorizzare le sue interdipendenze con il Centro-Nord. Il progressivo disimpegno della leva nazionale delle politiche di riequilibrio territoriale ha prodotto conseguenze negative per l’intero Paese”.

Le previsioni macroeconomiche della Svimez stimano il Pil italiano a +0,9% nel 2018, + 0,2% nel 2019 e +0,6% nel 2020. In particolare, il Centro-Nord sarebbe al +0,9% nel 2018, al +0,3% nel 2019, al +0,7% nel 2020. Una crescita, come si può vedere, molto modesta anche nelle aree più sviluppate del Paese. Al Sud nel 2018 l’aumento sarebbe del +0,6%, calerebbe a -0,2% nel 2019 e risalirebbe leggermente a +0,2% nel 2020. Più nello specifico, nel 2018 Abruzzo, Puglia e Sardegna sono state le regioni che hanno registrato il più alto tasso di crescita, rispettivamente +1,7%, +1,3% e +1,2%. Nel Molise e in Basilicata il Pil è cresciuto del +1%. In Sicilia ha segnato +0,5%. Campania a crescita zero nel 2018. Calabria unica regione meridionale che ha visto una flessione del Pil di -0,3%.

“Il Nord Italia – dice la Svimez – non è più tra le locomotive d’Europa, alcune regioni dei nuovi Stati membri dell’Est superano per Pil molte regioni ricche italiane, avvantaggiate dalle asimmetrie nei regimi fiscali, nel costo del lavoro, e in altri fattori che determinano ampi differenziali regionali di competitività. La stagnazione è aggravata da dinamiche demografiche avverse che riguardano tutto il Paese e segnatamente il Mezzogiorno. Per effetto della rottura dell’equilibrio demografico (bassa natalità, emigrazione di giovani, invecchiamento della popolazione), il Sud perderà 5 milioni di persone e, a condizioni date, quasi il 40% del Pil. Solo un incremento del tasso d’occupazione, soprattutto femminile, può spezzare questo circolo vizioso”.

Il Rapporto Svimez non si concentra solo sulla “fotografia” della situazione italiana ma si sforza anche di offrire soluzioni alle criticità individuate.

“Bisogna tornare a una visione unitaria della stagnazione italiana – si legge nel Rapporto – smarcandosi dalla lettura dell’aumento delle disuguaglianze esclusivamente legata al confine immutabile tra Nord e Sud. Per questo motivo vanno valorizzate le complementarietà che legano il sistema produttivo e sociale delle due parti del Paese”.

“Le richieste di regionalismo differenziato – si legge ancora – vanno valutate nel contesto di un’attuazione organica, completa, equilibrata, del nuovo Titolo V. In quest’ottica il confronto sulla valorizzazione delle autonomie e la riduzione delle disuguaglianze va depurato dalle scorie rivendicazioniste provenienti da Nord e da Sud e riportato sui temi nazionali della qualità delle politiche di offerta dei servizi pubblici e su quelle necessarie per la ripresa della crescita”.

Secondo la Svimez la vera sfida è un’attuazione ordinata del federalismo fiscale “per privare anche le classi dirigenti meridionali degli alibi dell’attuale centralismo avaro, utile per rivendicare più risorse e per nascondere le inefficienze”.

Una sfida che si basi sulla definizione dei costi standard e dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni), al fine di assicurare pari diritti di cittadinanza e un Fondo perequativo per colmare il deficit infrastrutturale.

Servizi pubblici
Sanità e scuola, divario territoriale

Al Sud sono scarsi i servizi a cittadini e imprese. La spesa pro capite delle Amministrazioni pubbliche è pari nel 2017 a 11.309 nel Mezzogiorno e a 14.168 nel Centro-Nord.
Lo svantaggio meridionale è molto marcato per la spesa relativa a formazione e ricerca e sviluppo e cultura.
Continua l’emigrazione ospedaliera verso le regioni del Centro-Nord: circa il 10% dei ricoverati per interventi chirurgici acuti si sposta dal Sud verso altre regioni.
Grave il ritardo nei servizi per l’infanzia. La spesa in istruzione in Italia si riduce con una flessione del 15% a livello nazionale, di cui il 19% nel Mezzogiorno e il 13% nel Centro-Nord.
Prosegue infine l’abbandono scolastico, nel 2018 gli early leavers meridionali erano il 18,8% a fronte dell’11,7% delle regioni del Centro-Nord.

Un disastro anche la politica industriale, Svimez: “Serve una forte discontinuità”

Infrastrutture, investimenti al Sud ridotti a un sesto di quelli nazionali
Negli anni Settanta, invece, erano circa la metà di quelli complessivi
Uno dei parametri più significativi attraverso il quale “leggere” in maniera più chiara e netta la discrepanza tra Centro-Nord e Sud è certamente quello riguardante gli investimenti nell’industria.

“Per gli investimenti industriali – si legge nel Rapporto Svimez -, mentre nel Sud la crescita del periodo 2015-2018 è arrivata a malapena a recuperare poco più del 20% della caduta sofferta durante la lunga crisi, le regioni centro-settentrionali hanno messo a segno un recupero pari all’85%”.
Altro dato significativo, sempre legato all’industria, è il numero di imprese “zombie”, cioè in vita da oltre dieci anni che per tre anni consecutivi, vivendo gravi difficoltà finanziarie, non sono state in grado di pagare neppure gli interessi sui prestiti: al Sud sono il 5,83%, il doppio che nel Centro-Nord, 2,98%.

Secondo la Svimez, ciò che serve è una forte discontinuità nella politica industriale, attraverso strumenti meno orientati, come in passato, a mantenere in vita ciò che non regge alla prova della competitività e più focalizzati sulla capacità di attrarre e attivare nuove energie in settori innovativi.

Altra nota dolens è rappresentata certamente dalle infrastrutture.
La sintesi del declino della spesa infrastrutturale in Italia sta nel tasso medio annuo di variazione nel periodo 1970-2018, pari a -2% a livello nazionale, di cui -4,6% nel Sud e -0,9% nel Centro-Nord. Gli investimenti infrastrutturali nel Mezzogiorno che negli anni ’70 erano circa la metà di quelli complessivi, negli anni più recenti sono calati a un sesto di quelli nazionali.

“In questo quadro – suggerisce la Svimez – vanno rafforzate le Politiche di Coesione, che dopo il 2020 potranno disporre di 60 miliardi di cui il 70% al Sud e saranno chiamate a operare i 7 e non più 5 regioni meno sviluppate, con l’aggiunta di Molise e Sardegna. Sono stati accumulati troppi ritardi nell’attuazione del ciclo in corso 2014-2020: la maggior parte delle risorse europee da certificare sono concentrate in Campania, Puglia e soprattutto Sicilia. I pagamenti al Sud sono stati finora pari ad appena il 19,78% del totale. La spesa monitorata del Fondo Sviluppo Coesione, dove confluiscono le risorse finanziarie aggiuntive nazionali destinate al riequilibrio economico e sociale, è pari al 30 giugno 2019 a soli 37,6 miliardi, di cui realmente pagato soltanto un miliardo. Ciò dimostra un’evidente incapacità delle Amministrazioni centrali, regionali e locali, a utilizzare pienamente le risorse”.

Reddito di Cittadinanza, impatto nullo su occupazione. La povertà non si combatte con un contributo

Le regioni meridionali sono agli ultimi posti in Europa per tasso di attività e occupazione femminile: nel 2018 il Sud ha perduto ulteriore terreno, superata perfino da Ceuta e Melilla, dalla Guyane francese e dalla Macedonia”: il Rapporto Svimez offre un quadro eloquente del mondo del lavoro nel Mezzogiorno.

“La bassa occupazione delle donne meridionali – si legge nel documento – riflette anche la carenza di domanda di lavoro e ciò spiega perché il tasso di disoccupazione femminile al Sud sia intorno al 20% su valori più che doppi rispetto al Centro-Nord. La gravissima emergenza riguarda soprattutto le giovani tra 15 e 34 anni, che si sono ridotte di oltre 769 mila unità”.

Nel 2018 è aumentato al Sud in maniera significativa per le donne il part time (+22,8%) mentre è calato il lavoro a tempo pieno (-1,3%). In particolare, quelle occupate con part time involontario aumentano nel decennio di quasi 1 milione, pari a +97,2%.

Il Rapporto analizza anche la situazione dei cosiddetti “lavoratori poveri” (working poor), soprattutto al Sud: l’incidenza della povertà assoluta nel 2018 è cresciuta al Sud all’8%: nel caso in cui il capofamiglia occupato ha un contratto di operaio la quota di nuclei in povertà assoluta è salita nel Mezzogiorno al 14,7%.

Un piccolo bilancio, viene poi tracciato del “Reddito di Cittadinanza”: impatto nullo sul mercato del lavoro, secondo la Svimez.

“La Svimez – si legge – giudica utile il Reddito di cittadinanza ma la povertà non si combatte solo con un contributo monetario, occorre ridefinire le politiche di welfare ed estendere a tutti in egual misura i diritti di cittadinanza. Peraltro l’impatto del Reddito di Cittadinanza sul mercato del lavoro è nullo, in quanto la misura, invece di richiamare persone in cerca di occupazione, le sta allontanando dal mercato del lavoro”.

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