L’anidride carbonica non emergenza ma risorsa: lotta allo smog con gli impianti mangia-CO2 - QdS

L’anidride carbonica non emergenza ma risorsa: lotta allo smog con gli impianti mangia-CO2

Rosario Battiato

L’anidride carbonica non emergenza ma risorsa: lotta allo smog con gli impianti mangia-CO2

giovedì 07 Novembre 2019

Da Nord a Sud le prime tecnologie sperimentali: una strada da seguire per combattere il riscaldamento globale. Anidride carbonica per l'energia circolare. Sicilia all'avangardia con l'impianto sperimentale Eni di Ragusa per produrre bio-olio. Il biometano "green" impantanato a Palermo

PALERMO – Alcuni dei massimi esperti mondiali di clima e sviluppo sostenibile, riuniti lo scorso ottobre nel corso del summit per il Cinquantennale del Club di Roma, hanno dichiarato che tagliare della metà le emissioni di CO2 nei prossimi 30 anni potrebbe non bastare, perché anche considerando il dimezzamento dell’uso dei fossili, da qui al 2050, il riscaldamento globale raggiungerebbe ancora due gradi in più rispetto all’epoca preindustriale già nel 2060. Bisogna fare di più, in altri termini, e per farlo servono idee e tecnologie di grande respiro, in grado di spingersi, nel nome dell’economia circolare, verso soluzioni inedite e rivoluzionarie. Gli esempi non mancano, anche in Sicilia.

ANIDRIDE CARBONICA PER L’ECONOMIA CIRCOLARE

La Regione Piemonte è all’avanguardia nel campo riciclo e potrebbe aprire la strada a un impianto che estrae anidride carbonica dall’aria e produce metano, ma anche biogas e idrogeno a costi contenuti. Il progetto è della Hysytech di Torino e l’impianto, un modello già consolidato, si chiama Bio-LNG e consente praticamente di lavorare contemporaneamente su due fronti, quello dell’inquinamento e quello energetico. Da una parte, infatti, mangerebbe l’anidride carbonica, la pericolosa CO2 che tanto preoccupa governi e cittadini, e dall’altra risolverebbe parte dei problemi energetici, producendo appunto metano tramite un sofisticato procedimento di riconversione della sostanza inquinante. Un’altra apparecchiatura della stessa azienda produrrà idrogeno verde dal biogas mentre con Acea, una multiutility del settore, è stato firmato un accordo per la realizzazione di un nuovo sito a Pinerolo per la produzione di biometano, in grado di trattare fino a 1.500 metri cubi per ora di biogas, che entrerà in servizio a marzo 2020.

In Puglia, invece, la svizzera Climeworks ha avviato, circa un anno fa, un impianto “Mangia Co2” vicino Foggia. Il sistema si basa su dei ventilatori che spingono l’aria attraverso un filtro in cellulosa impregnato di amine, composti organici che si legano con la CO2 dell’atmosfera. Quando il filtro è saturo, viene poi scaldato a circa 100° C, spezzando il legame fra amine e Co2. Il gas così liberato, viene liquefatto con la pressione e pompato in serbatoi da dove può essere riutilizzato o stoccato sottoterra in modo definitivo. “Nelle condizioni ottimali – si legge sul sito specialistico Qualenergia.it – ogni cilindro rimuove dall’aria 50 tonnellate di CO2 in un anno (l’impianto di Foggia ha tre cilindri)”. Naturalmente si tratta di un impianto sperimentale che attualmente richiede molta energia e che, dunque, per non vanificare l’obiettivo di ridurre l’anidride carbonica dell’atmosfera, dovrebbe necessariamente provenire da fonti rinnovabili. La strada, però, è tracciata ed è quella da seguire.

Anche la Sicilia è all’avanguardia. L’Eni ha avviato a Ragusa un “impianto sperimentale di nuova generazione di Biofissazione intensificata della CO2 – si legge sul sito dell’azienda – per la produzione di bio-olio algale”. L’impianto sperimentale, in fase di pieno regime, ha “capacità di cattura pari a circa 80 tonnellate/anno di CO2 e può produrre tra le 20 e le 40 tonnellate/anno di farina algale da cui viene prodotto il bio-olio”. In questo caso si tratta di CO2 separata dal gas proveniente dai pozzi del “Centro Oli Eni” (vedi l’approfondimento sotto).

IN ITALIA CALANO LE EMISSIONI

L’impegno deve tuttavia essere garantito anche da consumi più sostenibili e l’indirizzo sembra essere quello giusto. Nel corso del 2018, secondo i dati rilasciati da Eurostat, le emissioni di CO2 da utilizzo di combustibili fossili in Italia e in Europa si sono contratte rispettivamente del 3,5% e del 2,5% rispetto al 2017. È una buona notizia anche quella fornita dal Rapporto Foreste del ministero delle Politiche agricole che certifica come gli alberi nazionali accumulino circa 1,24 miliardi di tonnellate, cioè in media 141,7 tonnellata per ettaro che corrispondono a 4,5 miliardi di anidride carbonica assorbita dall’atmosfera.

Le foreste continuano a crescere – in Sicilia, dove circa il 50% è sottoposta a vincoli ambientali (in Europa solo il 21%,), come nel resto d’Italia – e contribuiscono in maniera determinante a far crescere la sostenibilità del sistema, anche sul fronte del dissesto. Notizie che comunque non estinguono il problema e che semmai indirizzano ulteriormente verso l’utilizzo in maniera sostenibile anche gli scarti agricoli e forestali.

BIOCARBURANTI: UN OBIETTIVO EUROPEO

Uno dei mantra comunitari è quello di ridurre le emissioni tramite l’utilizzo di carburanti ecologici. Rispetto al 2020, infatti, non ci sono soltanto obiettivi legati al consumo di energia rinnovabile sul totale dell’energia – target già raggiunti dall’Italia e distribuiti a livello nazionale tarando le necessità su base regionale come previsto dal decreto burden sharing – ma anche una porzione relativa ai trasporti. In questo l’Italia non ha ancora raggiunto la quota necessaria: gli ultimi dati, aggiornati al 2017, dicono che sono stati immessi in consumo circa “1,2 milioni di tonnellate di biocarburanti, in larghissima parte costituiti da biodiesel” e che la quota dei consumi totali coperta dalle rinnovabili risulta pari al 6,5%, a fronte di un obiettivo nazionale al 2020 pari al 10%.

E per l’Italia si tratta di un traguardo fondamentale al punto che il decreto 2 marzo del 2018 aveva appunto al centro la promozione dell’uso del biometano e degli altri biocarburanti avanzati nel settore dei trasporti al 2020, avviando al contempo un inserimento nel percorso di decarbonizzazione previsto dalla strategia Clima Energia. Per il biometano, in particolare, si stima al 2030 un produzione di 8 miliardi di metri cubi, garantendo un ruolo fondamentale per il raggiungimento dell’obiettivo all’8% per i biocarburanti avanzati.

La Sicilia, in questo processo, potrebbe avere un ruolo essenziale: uno studio di qualche anno fa, condotto dal professore Biagio Pecorino del dipartimento di Agricoltura dell’Unict, analizza il peso potenziale rivestito dalla Sicilia all’interno del quadro nazionale di produzione della filiera del biogas-biometano: l’Isola potrebbe valere circa l’8% del potenziale nazionale, permettendo, al contempo, un’occupazione da circa 3 mila unità.

Sicilia all’avanguardia grazie alla svolta di Eni
Dalla Bioraffineria all’impianto che usa CO2 per produrre bio-olio

PALERMO – Da Gela a Ragusa, c’è un’azienda che, ormai da diversi anni, ha deciso di lasciarsi definitivamente alle spalle il passato “fossile” per puntare con decisione all’economia circolare e allo sviluppo sostenibile.

La strada tracciata da Eni dimostra che fare impresa in modo sostenibile e riconvertire i processi produttivi non solo è possibile, ma apre anche un’autostrada di opportunità. A Gela, poco più di un mese fa, l’Azienda del cane a sei zampe ha inaugurato una bioraffineria che, per farla breve, trasforma gli oli vegetali usati e quelli di frittura (provenienti per esempio dalla ristorazione), ma anche grassi animali e alghe, in biocarburanti di alta qualità. Si tratta del più innovativo impianto d’Europa con una capacità di lavorazione pari a 750 mila tonnellate di biocarburante l’anno e con il 70% di emissioni in meno rispetto al ciclo tradizionale. Per la riconversione della raffineria, Eni ha speso quasi 300 milioni di euro, completando i lavori, partiti nell’aprile 2016, in circa tre anni. A questi si aggiungono 73 milioni di investimento previsti per ulteriori attività propedeutiche e per la realizzazione del futuro impianto per il pre-trattamento delle biomasse, che verrà completato entro il terzo trimestre 2020 e consentirà di alimentare la bioraffineria interamente con materie prime di seconda generazione, composte da scarti, oli vegetali grezzi e materie advanced.

Anche nel recupero della CO2, come scritto nell’articolo sopra, l’Eni ha anticipato i tempi. Circa due anni fa ha avviato a Ragusa un impianto sperimentale di nuova generazione di Biofissazione Intensificata della CO2 per la produzione di bio-olio algale.

Ma come funziona questo processo? Lo spiega l’azienda sul suo sito: “I concentratori solari che si trovano sul tetto dell’impianto concentrano i raggi solari nelle fibre ottiche, poi l’energia luminosa così concentrata viene condotta dalle fibre ottiche all’interno di 14 fotobioreattori, serbatoi cilindrici alti 5 metri collocati sotto i concentratori solari. All’interno dei cilindri le microalghe ricevono, quindi, l’energia e crescono in acqua salata fissando la CO2 separata dal gas proveniente dai pozzi del Centro Oli Eni. Successivamente l’acqua viene recuperata e purificata mentre la componente algale viene raccolta ed essiccata dalla farina dell’alga si estrae un olio che potrà alimentare le bioraffinerie di Eni, al posto della carica attuale, costituita da olio di palma”.

Il biometano “green” di A2A impantanato a Palermo

PALERMO – Dagli scarti agricoli e forestali, nonché dai rifiuti urbani, ci sarebbe un potenziale enorme da sfruttare per la Sicilia che al momento, sul fronte delle bioenergie, risulta essere all’anno zero o quasi. Secondo quanto riferito dal Gse, nel rapporto aggiornato al 2017, nell’Isola si registra la presenza di 43 impianti da bioenergie per una potenza installata di 75,1 MW con una produzione di 160 GWh.

Dati che di fatto posizionano la Sicilia nella parte finale della graduatoria nazionale, distante anni luce da realtà come la Lombardia che ha una produzione di 4.300 GWh, circa 26 volte in più, ma anche dalla Puglia che ne mette assieme circa 1.800. Eppure tutti i tentativi in materia sembrano trovare le porte sbarrate. Se la Regione pare aver parzialmente aperto agli impianti di valorizzazione energetica dei rifiuti, anche se ci vorrà del tempo per capire quanto sia effettivamente concreta questa apertura, un’azienda che da anni prova ad avviare il primo impianto in materia è la A2A che, tramite la sua controllata A2A Energiefuture, ha presentato istanza autorizzativa alla Regione Sicilia per un impianto dotato di tecnologie innovative a soluzioni automatizzate in grado di trasformare la frazione organica dai rifiuti (Forsu) derivante dalla raccolta differenziata in biometano, un gas naturale che appunto servirebbe per alimentare i veicoli o per gli usi domestici, nonché per un compost utile all’agricoltura.

A regime potrebbe trattare 75 mila tonnellate all’anno di frazione organica proveniente da Messina e produrre circa 6 milioni di metri cubi di biometano “green” perfettamente rinnovabile e che, se immesso in rete, potrà coprire il fabbisogno di 5 mila famiglie per riscaldamento, acqua o utilizzi in cucina, riducendo in questo modo le emissioni. Sulla prospettiva dell’impianto si era espresso in maniera decisamente negativa il governatore Musumeci nelle scorse settimane.

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