Il capo della Protezione civile sottolinea l’importanza di alcune battaglie portate avanti dal QdS negli ultimi mesi. “Blocco per dieci anni delle costruzioni, messa in sicurezza e assicurazione contro gli eventi”
ROMA – Il QdS lo predica da mesi: non è più tempo di costruire, ma di mettere in sicurezza il costruito e avviare l’assicurazione obbligatoria contro le calamità naturali. Sulla stessa linea anche il capo della protezione civile nazionale Franco Gabrielli che ribadisce l’unica reale possibilità per mettere assieme sviluppo e sicurezza, cioè bloccare le nuove abitazioni e avviare un serio programma di investimento nel patrimonio edilizio nazionale. E siciliano in particolare, aggiungiamo noi.
Il crollo dei giorni scorsi della palazzina a Piazza Garraffello, nella zona della Vucciria a Palermo, non è casuale. Ogni anno assistiamo ciclicamente a notizie del genere, perché il patrimonio edilizio siciliano è allo stremo. E non sempre si è così fortunati da non stare a contare i morti. Nel dicembre del 2012, sempre nel capoluogo regionale, morirono quattro persone per il crollo di due palazzine in via Bagolino. Segnali di una realtà che viene giù a pezzi senza neanche bisogno che ci sia un terremoto, o una frana, a spingerle giù. Merito dell’abusivismo edilizio, certamente, ma anche di costruzioni vecchie ed edificate quando ancora non c’erano norme edilizie moderne. Consideriamo che secondo gli ultimi dati Istat ci sono 400 mila edifici in uno stato di conservazione “mediocre” e 60 mila in uno stato “pessimo”. Inoltre il 70% delle costruzioni non sarebbe conferme alle attuali norme tecniche per le costruzioni. Senza considerare che se da noi gli edifici crollano senza scosse, ci sono pure 2,5 milioni di abitazioni che comunque risiedono nelle aree a rischio più elevato.
Un ragionamento simile continua a farlo da tempo anche Franco Gabrielli. La proposta del prefetto, illustrata l’altro ieri all’Ansa, è una vecchia conoscenza di queste pagine: uno stop alle nuove costruzioni per 10 anni, in modo da "investire tutto quello che c’è sulla messa in sicurezza del territorio”. In buona sostanza “se il paese scegliesse di non fare nuove cose, – ha spiegato – ma di mettere in sicurezza quelle che ci sono, salvaguarderebbe quel patrimonio unico al mondo che sono il nostro territorio, le nostre comunità, i nostri abitanti e che, invece, in questa condizione di generale abbandono è messo in pericolo”.
Agire in questo modo è l’unica via possibile per riprendersi un paese che ha fatto “in passato un uso smisurato del suolo e ora ne paghiamo le conseguenze”, perché “si è costruito laddove non si doveva costruire e lo Stato, in molte occasioni, per far cassa ha condonato”. Consideriamo che in Sicilia soltanto gli ultimi tre condoni (47/85, 724/94 e 326/03) hanno prodotto circa 700 mila pratiche, circa 30 mila all’anno a partire dal primo. E senza considerare l’abusivismo non censito e quello che anno dopo anno il territorio deve sopportare.
Sono decenni che si parla di messa in sicurezza, ma poi al dunque si fa poco e nulla. D’altronde, sottolinea Gabrielli, “il professor Casagli del centro funzionale di Firenze, ricordava che lo studio dell’Ispra secondo il quale occorrerebbero 40 miliardi in 15 anni per la messa in sicurezza, rivaluta il ‘piano Marchi’, fatto 40 anni fa. È evidente che non è cambiato nulla, con l’aggravante che si tratta di cifre in difetto". Senza considerare che l’Ordine degli ingegneri ha stimato in 93 miliardi la sola messa in sicurezza dei comuni nelle zone 1 e 2, le più a rischio. Significa 3.500 comuni su oltre ottomila”. Di questi ce ne sono 346 in Sicilia. Non farlo sarebbe anche uno spreco economico, oltre che un rischio per i cittadini, perché in Italia si spendono ogni anno 2,6 miliardi per riparare i danni provocati dalle catastrofi.
L’altro tema è quello dell’assicurazione obbligatoria contro le calamità naturali, una grande battaglia condotta da questo giornale. “Le calamità aumentano, la frequenza dei danni aumenta e la possibilità d’intervento dello Stato diminuisce. Questi sono dati di fatto. Se non vogliamo continuare a trovarci di fronte ad alluvioni o terremoti di serie A, B e C, che è quel che accade oggi, l’unica soluzione è quella, magari prevedendo delle forme di defiscalizzazione per i cittadini. Meccanismi che non facciano arricchire le assicurazioni e garantiscano i cittadini”.