Terremoto, aspettando che ci scappino i morti - QdS

Terremoto, aspettando che ci scappino i morti

Terremoto, aspettando che ci scappino i morti

martedì 09 Ottobre 2018

Nell’Isola la metà dei comuni è senza piani di emergenza, un edificio su tre non rispetta le norme antisismiche e intanto la macchina della riqualificazione (che potrebbe muovere 14 mld) è ferma. Danni e crolli in provincia di Catania. Il sindaco di Adrano: “Qui non abbiamo vie di fuga”

PALERMO – Nell’ultimo mezzo secolo, secondo stime degli Uffici studi di Camera e Senato, i terremoti sono costati allo Stato circa 150 miliardi di euro e non hanno ancora esaurito il conto, dal momento che per molti di loro non è concluso l’impegno finanziario. Agire in direzione opposta, cioè non limitarsi ad attendere l’evento, ma mettere in moto gli interventi strutturali di miglioramento sismico nelle zone a rischio sismico di tutta Italia, avvierebbe circa 105 miliardi di euro (dati Ance).
 
Insomma, meglio mettere in sicurezza che ricostruire, un bilancio più vantaggioso che vale anche per l’Isola: solo il sisma del Belice è costato circa 8,5 miliardi di euro mentre agire sull’intero patrimonio edilizio siciliano nelle aree a rischio avrebbe un impatto da 14 miliardi di euro.
 
Numeri che dovrebbero convincere più dell’impatto emotivo del sisma registrato nei giorni scorsi a Santa Maria di Licodia che ha avuto conseguenze sulla popolazione – decine di persone medicate per contusioni negli ospedali del catanese – e anche sulle strutture. In una nota della sala operativa del Comando provinciale dei Vigili del fuoco di Catania, si legge che i danni “sono stati contenuti e limitati a vecchie abitazioni, cornicioni di chiese e muri di vecchie case in muratura”. Complessivamente ci sono state 50 richieste di intervento per crolli parziali, distacco di intonaci e cornicioni e verifiche di stabilità.
 
Ci sarebbero tutte le ragioni per preoccuparsi, perché all’alta sismicità del territorio isolano si lega la ben nota fragilità del patrimonio edilizio e anche un netto ritardo nelle forme di prevenzione, soprattutto se consideriamo che, in barba a una legge del 2012, soltanto un comune siciliano su 2, cioè 190 su 390, ha approvato e aggiornato il piano di emergenza da mettere in atto in caso di calamità. La Sicilia, come sempre, è impreparata su tutti i fronti.
 
L’allarme del sindaco Angelo D’Agate: “Ad Adrano manca una via di fuga in caso di calamità”
PALERMO – La scossa dei giorni scorsi come monito per ricordare a tutti la necessità di non farsi trovare impreparati in caso di calamità naturale. Un messaggio ribadito da Angelo D’Agate, sindaco di Adrano, uno dei comuni dove si è maggiormente avvertito il sisma, in una intervista al QdS.it nelle ore successive all’evento: il primo cittadino, proprio la scorsa settimana, aveva preso parte a Sant’Agata Li Battiati a una “riunione della Protezione civile nella nostra area parlando della necessità di creare ad Adrano delle vie di fuga in caso di calamità”.
E l’evento della settimana passata ha fornito a D’Agate la conferma della necessità di “dar vita al più presto a un piano organico che realizzi questo obiettivo”, con la convinzione che “la Protezione civile lo farà partire immediatamente”.
A Biancavilla, altro comune particolarmente interessato, procedono i rilievi strutturali, così come annunciato dal sindaco Bonanno, e proprio il Comune, tramite una delibera di Giunta, ha chiesto alla Regione siciliana il riconoscimento dello stato di calamità naturale.
Il documento è stato consegnato all’assessore regionale Marco Falcone, che ha voluto ribadire la ferma volontà del Governo Musumeci di “fare la sua parte”.
 
1. Il monitoraggio della Protezione civile: Nove comuni su dieci in zone ad alto pericolo
Dopo la scossa dei giorni scorsi nell’area etnea, il tema è tornato al centro del dibattito pubblico. L’Ingv ha ricordato che il “terremoto è avvenuto in una zona ad alta pericolosità sismica, interessata sia dalla sismicità legata all’attività del vulcano Etna sia da eventi di origine tettonica che possono raggiungere magnitudo elevata, come nel caso del 1818 quando si ebbe un evento di magnitudo pari a 6.3”. Un passaggio sottolineato anche da Fabio Tortorici, geologo Presidente della Fondazione Centro Studi CNG: “A grandi linee, la Sicilia è ubicata in corrispondenza dello scontro tra la placca africana e quella euroasiatica, ciò spiega l’elevata sismicità dell’area che in passato è stata causa di terremoti distruttivi: nel 1693 (54.000 vittime), nel 1908, nel 1968 e nel dicembre 1990”.
Nella mappa di classificazione sismica del dipartimento della Protezione civile, circa il 90% dei comuni isolani rientra nelle prime due fasce di rischio sismico, quelle più elevate. Nella prima ci sono 27 comuni, la zona dove “possono verificarsi fortissimi terremoti”, nella zona 2 ce ne sono altri 329, dove possono verificarsi forti terremoti.
 
2. Centro studi del Consiglio nazionale geologi: “A Catania 60% edifici senza norme antisismiche”
È stato Fabio Tortorici, presidente Fondazione Centro studi del Consiglio nazionale dei geologi, a spiegare in una nota come “il patrimonio edilizio nel comprensorio etneo è abbastanza vetusto, con oltre il 60 per cento di costruzioni realizzate prima dell’entrata in vigore delle norme antisismiche, pertanto presenta un elevato grado di vulnerabilità”. Inoltre, “non tutti i comuni alle falde del vulcano sono dotati di evoluti e aggiornati piani di emergenza, di evacuazione e di protezione civile”. Due passaggi ad alto rischio che si aggiungono alle parole di Antonio Alba, consigliere agrigentino del Consiglio Nazionale dei Geologi, che ha evidenziato come “la scossa (quella dei giorni scorsi, ndr), sebbene di entità contenuta, ha provocato danni al patrimonio architettonico dell’isola, con il crollo dei cornicioni della chiesa di Santa Maria di Licodia e del Palazzo Ardizzone, ex sede del municipio”, evidenziando “la grande vulnerabilità del nostro patrimonio artistico e culturale”.
 
3. La stima Ance sul costo medio per mq: "La riqualificazione vale 14 mld solo in Sicilia"
Considerando il coinvolgimento del territorio nella mappa del rischio sismico, sono chiamati in causa 4,5 milioni di siciliani (355mila solo nella prima fascia di rischio) e circa 1,7 milioni di abitazioni occupate in edifici residenziali (144mila nella prima fascia). Intervenire si può e sarebbe molto conveniente per rilanciare l’edilizia isolana.
Secondo l’Ance, che ha stimato il costo medio per mq in collaborazione con gli uffici dell’Oice, l’Associazione delle organizzazioni italiane di ingegneria, architettura e consulenza tecnico-economica, il costo complessivo per interventi strutturali di miglioramento sismico nelle zone a rischio sismico di tutta Italia consentirebbe di mettere in moto circa 105 miliardi di euro. Di questa quota così importante, almeno il 13% sarebbe destinato alla Sicilia, per un importo complessivo pari a 14 miliardi di euro.
Non bisogna, inoltre, dimenticare che il patrimonio isolano, oltre a essere in aree a rischio, è stato anche costruito, in molti casi, prima dell’avvio della normativa antisismica: circa il 30% è stato messo in piedi tra il 1919 e il 1970.
 
4. I chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate: "Detrazioni fino all’85% delle spese sostenute">
A chiarire tutti i passaggi ci pensa l’Agenzia delle Entrate che specifica come i contribuenti che eseguono interventi per l’adozione di misure antisismiche sugli edifici “possono detrarre una parte delle spese sostenute dalle imposte sui redditi”. La percentuale di detrazione è variabile: per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2021 “spetta una detrazione del 50%, che va calcolata su un ammontare massimo di 96.000 euro per unità immobiliare (per ciascun anno) e che deve essere ripartita in 5 quote annuali di pari importo” anche se la detrazione può spingersi fino al 70/80% “quando dalla realizzazione degli interventi si ottiene una riduzione del rischio sismico di 1 o 2 classi e quando i lavori sono stati realizzati sulle parti comuni di edifici condominiali (80 o 85%)”. Opportunità anche per chi compra in un edificio demolito e ricostruito nei Comuni in zone classificate a ‘rischio sismico 1’, visto che “può detrarre dalle imposte una parte consistente del prezzo di acquisto (75 o 85%, fino a un massimo di 96.000 €)”. L’agevolazione è valida per i contribuenti soggetti all’Irpef e ai soggetti passivi dell’Ires. L’area di intervento, che riguarda tutti gli immobili (anche quelli per uso produttivo) si applica nelle zone sismiche 1, 2 e 3. Tutti i dettagli sul sito dell’Agenzia delle Entrate.
 
5. I costi della mancata prevenzione in Italia: solo otto terremoti costati oltre 125 mld
Il sisma non perdona e le sue conseguenze di riflettono nell’immediato e nelle prospettive future di sviluppo di un’area. E alcune di queste sono quantificabili. Il sismologo Carlo Meletti, utilizzando due dossier degli Uffici studi di Camera e Senato, ha messo in fila, in un pezzo per il giornale della Protezione civile, gli atti legislativi in seguito agli otto terremoti più devastanti accaduti in Italia negli ultimi 50 anni (dal 1969 al 2018), con costi attualizzati, certificando un impatto da oltre 125 miliardi di euro, cioè circa 350 milioni di euro all’anno. Soltanto quello del Belice del 1968 è costato 8,3 miliardi di euro. Bisogna inoltre considerare, come scrive Meletti, che il periodo di impegno finanziario, ad eccezione del terremoto del Friuli, è ancora operativo.
Il costo si allarga ancora di più se si prendono in considerazione tutti i terremoti degli ultimi 50 in Italia e si arriva a una cifra compresa tra 150 e 160 miliardi di euro.
 
6. Nel resto del Paese la media è del 90%. Solo metà degli enti isolani ha un Piano di emergenza
Un ritardo lungo sei anni. In Sicilia, stando all’aggiornamento del 28 marzo scorso, soltanto il 49% dei comuni si è dotato del piano di emergenza comunale, si tratta di 190 comuni su 390. Statisticamente è la percentuale più bassa tra le regioni italiane, a fronte di una media italiana che vale l’88% del totale.
Secondo la legge n.100 del 2012, i piani comunali di protezione civile devono essere redatti entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, e periodicamente aggiornati. È un passaggio delicatissimo e fondamentale per la sicurezza dei cittadini, perché il piano di protezione civile, si legge sul sito del Dipartimento nazionale, è l’insieme delle “procedure operative di intervento per fronteggiare una qualsiasi calamità attesa in un determinato territorio”. Questo strumento recepisce il “programma di previsione e prevenzione ed è lo strumento che consente alle autorità di predisporre e coordinare gli interventi di soccorso a tutela della popolazione e dei beni in un’area a rischio” e “ha l’obiettivo di garantire con ogni mezzo il mantenimento del livello di vita ‘civile’ messo in crisi da una situazione che comporta gravi disagi fisici e psicologici”.

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