La produzione siciliana rappresenta il 26% di quella nazionale e il 46% delle regioni Obiettivo 1 ma la crisi si fa sentire. In nove anni persi 16.000 posti di lavoro. Sparma: “Invertire la tendenza puntando sui fondi Ue”
PALERMO – Coniugare ogni sforzo di sviluppo del settore con l’introduzione di tecnologie per la sicurezza degli operatori e misure di sostenibilità ambientale, delocalizzare parte della flotta in altre aree del Mediterraneo attraverso accordi di cooperazione con i paesi rivieraschi, rafforzare il concetto di filiera, di distretto produttivo e di “blue economy”. Questi, in sintesi, gli spunti di riflessione contenuti nel rapporto 2009 sulla pesca e sull’acquacoltura in Sicilia redatto dall’osservatorio della pesca del Mediterraneo.
Da un lato si ha l’incoraggiante conferma di detenere il primato in Italia: la flotta siciliana è la più importante del belpaese, con un numero di battelli superiore a 3.200 unità e una stazza lorda di oltre 51 mila tonnellate. Al secondo posto, a distanza, la Puglia con il 12,5% dei battelli attivi. La nostra punta di diamante è la flotta a strascico, in particolare quella operante nella Sicilia meridionale, che rappresenta una delle maggiori realtà produttive nel contesto della pesca italiana. Nonostante la riduzione del 10% registrata nell’ultimo anno sia nel numero di natanti che nel tonnellaggio, la stazza dei battelli a strascico siciliani (mediamente 74 tonnellate contro le 44 a livello nazionale), innalza la dimensione media dei nostri battelli a 16 tonnellate, ben più alta della media italiana. La produzione siciliana rappresenta il 26% di quella nazionale e il 46% di quella delle regioni in obiettivo 1.
Dall’altro lato – però – emerge impietosa la fotografia sulla crisi del settore, in primis sul versante dei ricavi dei pescatori. L’impennata del business del settore ittico siciliano registrata fino a quattro anni fa – con un aumento da 396 milioni a poco meno di 446 milioni di euro – dall’inizio del 2007 a oggi scivola su un piano inclinato. Secondo il direttore del dipartimento pesca della Regione Gianmaria Sparma “occorre invertire questa tendenza utilizzando, in maniera razionale le chances offerte dal Fep, lo strumento di programmazione comunitaria, e puntare a una politica integrata di filiera che parta dalla valorizzazione dell’individuo”.
Certamente la prima causa della crisi è da addebitarsi alla congiuntura economica internazionale. A livello mondiale il primo semestre 2009 ha fatto segnare una tendenza al ribasso dei prezzi dei prodotti ittici dovuto al crollo della domanda. Anche sul piano europeo si è riscontrato un calo di domanda che ha contribuito al miglioramento della bilancia commerciale comunitaria, fortemente deficitaria nel settore ittico.
Ad aggravare la situazione ci si è messa, come è noto, pure Bruxelles. La politica europea della pesca, basata sulla “riduzione dello sforzo di pesca” e attuata attraverso la demolizione della flotta, ha profondamente penalizzato il settore – sottolinea il rapporto 2009 sulla pesca in Sicilia – che non ha potuto dare risposte sul piano della sostenibilità del prelievo delle risorse ittiche, della valorizzazione del prodotto, della commercializzazione, del risparmio energetico, della internazionalizzazione e del coordinamento delle attività di filiera.
Allo studio nuove idee per il rilancio del settore
PALERMO – E se il rilancio del settore passasse per la creazione di un motopeschereccio ecocompatibile per la pesca nel Mediterraneo, a basso consumo energetico e con combustibile ecologico (biodiesel), dotato delle più moderne tecnologie per un basso impatto ambientale durante le operazioni di pesca, e delle apparecchiature più moderne per la sicurezza della navigazione e dei lavoratori? Ne sono convinti all’osservatorio della pesca del Mediterraneo che con il distretto produttivo di Mazzara del Vallo si propongono come “naturale committente” di questa sorta di modello siciliano per la pesca mediterranea, frutto della sinergia operativa tra dipartimenti universitari, centri di ricerca operanti in Sicilia e operatori del settore. Una proposta lungimirante, non c’è che dire. Nel rispetto della normativa Fep in materia “capacità di pesca”, si risponderebbe così all’esigenza di innovazione tecnologica e di recuperare, seppure parzialmente, l’emorragia di 16 mila posti di lavoro persi (tra diretto e indotto) in Sicilia negli ultimi 9 anni.