FED al 2,50%, BCE al seguito
Jerome Powell, presidente della Federal Reserve statunitense, ha aumentato il tasso primario al 2,50 per cento, il che significa che il costo del danaro negli Stati Uniti viaggerà intorno al cinque per cento.
Si tratta di una brusca inversione di tendenza cui Powell è stato costretto perché l’inflazione gli ha preso la mano, superando l’otto per cento.
Va aggiunto che tale inflazione, però, non è cattiva come quella europea, perché ha aumentato l’occupazione, mentre il Paese è entrato in recessione.
Ma la storia non finisce qua perché se l’effetto di questa frenata sull’inflazione non sarà rapido, i tassi continueranno ad aumentare fino a raggiungere l’obiettivo di far tornare la “maledetta” sulla soglia fisiologica del due per cento.
Il rapido aumento dei tassi e la relativa prospettiva hanno fatto rivalutare il dollaro rispetto all’euro e a altre monete, come quella europea, con cui ha raggiunto quasi la parità.
Cosa significa un dollaro forte per le economie deboli, quale quella italiana? Significa pagare l’energia molto di più non solo agli Stati Uniti, ma a tutti gli altri fornitori, come quelli del Medio Oriente, che esigono il pagamento in dollari.
Indirettamente, l’apprezzamento del dollaro favorisce la Russia perché riceve una moneta rivalutata, più forte, con la conseguenza che è gradita, anche se ufficialmente non lo è perché la Russia pretenderebbe il pagamento in rubli (anch’essi rivalutati).
Come è noto in macroeconomia, l’inflazione è la tassa dei poveri: più si alza e più danneggia chi ha di meno. Non solo, ma danneggia anche, seppur in misura minore, gli stipendiati, i pensionati, i professionisti e gli imprenditori che non riescono ad aumentare parcelle e prezzi delle prestazioni e delle forniture.
L’otto per cento di inflazione è pari quasi a una mensilità all’anno. Non significa che ai percettori di stipendi e pensioni arrivano meno soldi, ma quegli stessi soldi diminuiscono la loro capacità di acquistare beni e servizi per un importo pari al tasso di inflazione. Se ne accorgono quando vanno a fare la spesa e comprano anche beni durevoli.
L’inflazione alta è sempre cattiva. Inoltre, quella europea non deriva da crescita, ricchezza e occupazione, bensì dalla debolezza economica e dei sistemi produttivi. Quindi è un danno che si aggiunge alla situazione generale, con l’effetto di diminuire fortemente la crescita e di prevedere per il primo trimestre del prossimo anno l’ingresso in una pericolosa fase di recessione. Ricordiamo ancora una volta che essa viene così definita quando si presenta per tre trimestri consecutivi una crescita pari a zero. Auguriamoci che questo non accada nel prossimo anno.
Intanto il Governo Draghi, dalle “mani libere”, continua ad approvare spese che aumentano il debito pubblico che, va tenuto presente, supera i 2.750 miliardi, con un aumento nei dodici mesi di oltre settanta miliardi. Un aumento insostenibile nel tempo, frutto di dissennate politiche dispensatrici dei governi di questi ultimi trent’anni, cioé di quelli della Seconda Repubblica, che avrebbero dovuto risanare l’Italia.
La crisi finanziaria che colpisce l’Europa, dopo aver colpito gli Stati Uniti e altre parti deboli del mondo, non viene affrontata con senso di responsabilità da tutti i partiti italiani che si sono trovati di colpo nell’agone di una campagna elettorale breve, perché terminerà il 25 settembre, ma calda perché per la prima volta si svolge in piena estate.
Se tutti i soloni, che vengono a pontificare sui mezzi di comunicazione, avessero un minimo di buonsenso e seguissero una linea morale di giusto profilo, dovrebbero dire cosa intendono fare, come farlo e soprattutto con quali mezzi finanziari, perché non è più possibile continuare ad allargare i cordoni della borsa per la spesa corrente. Anzi, secondo quanto suggeriva l’ex commissario della spending review, Carlo Cottarelli, è possibile tagliarla di trentacinque/quaranta miliardi.
Ma da questo orecchio i politicastri non ci sentono perché pensano di acquisire consensi dividendo ricchi premi e cotillons fra tutti gli elettori che ragionano con la testa degli altri e non con la propria.