Intervista a Ernesto Abate, segretario regionale del Sifus Confali, sulle problematiche dei Consorzi di bonifica in Sicilia.
Ernesto Abate, segretario regionale del Sifus Confali, ha parlato ai microfoni del QdS delle difficoltà degli agricoltori e dei Consorzi di bonifica. In questo contesto, infatti, risultano essere molteplici le carenze degli Enti, legate sia al numero di lavoratori del settore manutenzione, sia a un’inefficace programmazione strutturale.
“Negli anni sono stati prodotti soltanto debiti – spiega Abate – perché, attraverso delle gestioni amministrative a maglia larga, non sono state assunte responsabilità e non sono state avviate programmazioni tali da rendere questi enti, che nascono senza scopo di lucro, capaci di sviluppare un servizio agli utenti: fornire l’acqua, rendere il territorio sicuro e quindi permettere agli agricoltori di ottimizzare l’utilizzo delle colture e diversificarle. Gli ultimi investimenti sulle infrastrutture risalgono ai primi anni ‘90, quando si è arrivati a una distribuzione dell’acqua anche per 10 mesi l’anno”.
E poi cos’è successo?
“Col tempo gli impianti sono invecchiati e così oggi ci ritroviamo le cosiddette condutture colabrodo: il 50% dell’acqua che viene erogata dalla sorgente finisce tra i terreni in maniera irregolare. Gli utenti danneggiati promuovono delle cause contro il Consorzio di bonifica per farsi risarcire dai danni subiti. Purtroppo questo criterio è l’equivalente del cane che si morde la coda. Viene sollevato un contenzioso contro il Consorzio di bonifica e questo è costretto al risarcimento. Il maggiore costo ricade sui bilanci e i canoni irrigui escono fuori dal costo del bilancio. Quindi più sono i costi sostenuti come spesa dal Consorzio di bonifica, più aumentano i costi dei canoni irrigui. L’agricoltura si ritrova a pagare un prezzo più caro per un servizio meno efficiente. E ora ci ritroviamo a vedere ridotto anche il periodo di erogazione idrica”.
C’è anche un problema di scarse risorse in termini di forza lavoro…
“La Regione ha ridotto la partecipazione in questi enti partecipati e così sono stati costretti a ridurre il periodo di lavoro degli operai. Oggi in quiescenza vi è quasi il 50% dei dipendenti, ma oltre il 60% delle persone che vanno in quiescenza sono operai. Nel corso di questi 30 anni gli operai che sono diventati capisquadra non sono stati sostituiti da nuova forza lavoro. E così oggi l’80% dei lavori di manutenzione viene svolto dal personale operaio che ad oggi lavora da tre a sei mesi l’anno senza una programmazione preventiva, poiché l’assunzione del personale deriva dall’approvazione della legge di stabilità finanziaria di anno in anno. L’ultima del 2022 è stata approvata a metà maggio. Quindi ulteriore danno perché quando il personale viene assunto alla metà di maggio, la manutenzione, che deve essere preventiva, non può essere svolta per tempo. Gli agricoltori, scoraggiati per l’aumento di costi e per un servizio che non è affidabile, in parte si sono organizzati (chi poteva) con dei laghetti artificiali. Ma i piccoli agricoltori soffrono”.
Qual è la situazione finanziaria degli Enti?
“Ad oggi gli 11 Consorzi di Bonifica si ritrovano con 150 milioni di euro di debiti. Catania dovrebbe recuperare circa 5/6 milioni di euro da parte degli agricoltori, ma a mala pena ne riesce a recuperare 3 milioni. Con il Pnrr avremmo potuto avere delle opere più consistenti e ragionare su ritorni maggiori, ma purtroppo diversi progetti presentati sono stati bocciati. La politica è responsabile di ciò che sta accadendo. Noi elettori votiamo una politica che si assume le responsabilità di fare il bene della nostra società. E non possono essere i giochi biechi della politica a far pagare lo scotto all’utente finale”.
Come si può superare questa impasse?
“Abbiamo già avuto l’ok da parte del ministero dell’Economia per lo sblocco del turnover: dopo 30 anni si sono sbloccate le assunzioni per avvicendamento. Oggi mancano circa 500 unità. Io sfido chiunque a far funzionare un Consorzio di Bonifica senza operai. È normale che poi le disfunzioni consortili portano all’ira degli agricoltori perché sono costretti ad andare a rivolgersi ai pozzi privati e pagare l’acqua da 30 a 70 euro l’ora quando noi attraverso la nostra figura lavorativa professionale messa in campo tutto l’anno potremmo abbassare anche i costi di gestione”.