Nel 1943 gli ebrei siciliani furono costretti a lasciare l'Isola
Presso gli antichi romani gennaio, il primo mese dell’anno veniva rappresentato con la divinità di Giano Bifronte. L’unica divinità del panteon degli dei di Roma che aveva due volti uno opposto all’altro, uno per guardare l’anno che inizia e l’altro rivolto al passato. Simbolo di continuità ed allo stesso tempo dell’insegnamento, da sempre disatteso dall’umanità, che per affrontare il futuro, con le sue incertezze, bisogna conoscere il passato. Per quanto riguarda l’ebraismo moderno il mese di gennaio si distingue dagli altri giacché è stata fissata nel giorno 27 la data di celebrazione della “Giornata della Memoria”. Istituita il primo novembre 2005 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per ricordare la Shoah e per contrastare ogni futuro tentativo di negazionismo storico.
Parimenti meriterebbe di essere ricordato in questo mese capofila tra i mesi dell’anno, un evento ben più antico dalle conseguenze gravi, per molti popoli tra cui quello siciliano, fatto a cui peraltro nei libri di scuola non è dedicato un solo rigo. Correva l’anno 1491 ed i sovrani di Spagna Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, con la battaglia di Granada, conclusa il 25 novembre, ponevano fine ad una sanguinosa lotta che si trascinava da secoli per liberare, completamente, dai mori la Spagna ed i loro domini esteri, compresa l’Italia meridionale.
Al fine di dare omogeneità al loro regno, i due sovrani, con l’editto promulgato il 31 marzo 1492, disposero, che venissero scacciati da tutti i loro possedimenti, entro la data del 20 giugno successivo, insieme agli ultimi mori rimasti, anche tutti gli ebrei che non si fossero immediatamente convertiti al cristianesimo. In Sicilia la nobiltà locale si adoperò ad intervenire presso la corte di Spagna per far sì che l’espulsione venisse evitata, stante che avevano ben intuito le conseguenze economiche disastrose che sarebbero derivate dalla scomparsa degli ebrei dall’Isola. Erano consapevoli che, in conseguenza, sarebbero cessati mestieri, commerci e professioni svolti proficuamente da coloro che incautamente si stavano espellendo, con gravi ripercussioni in negativo per l’economia locale e quindi con gravi perdite finanziarie, per nobiltà e clero, giacché sarebbe venuta meno una genia di contribuenti tartassati, abituatati a pagare in silenzio e sopportare, con pazienza, ogni balzello che all’occasione veniva imposto.
Dopo un differimento ottenuto grazie all’interessamento della nobiltà isolana, il giorno 12 gennaio del 1493 un popolo silenzioso, incolpevole ed affranto, cominciava a lasciare in massa quella che ormai considerava la sua terra, dopo essere stato costretto a svendere tutto quello che possedeva con esclusione delle poche cose che era consentito portare con loro. Dai principali porti della Sicilia, questo intero popolo affranto, partì all’avventura, per fortunosi viaggi verso mete spesso ignote, affidandosi anche a marittimi, senza scrupoli, che li imbarcavano solo per derubarli. Migliore sorte non ebbe chi rimase nell’Isola, dopo essere stato costretto a convertirsi, giacche furono sospettati, a torto o a ragione, di non aver del tutto abbandonato la religione dei loro padri, divenendo vittime dell’inquisizione che dopo sommari processi li consegnava al carnefice. Aveva così origine il fenomeno del marranesimo, cioè dell’ebraismo vissuto e praticato in clandestinità. Secondo alcune credibili fonti il numero dei marrani, nella sola Sicilia, che l’Inquisizione mandò al rogo, dopo la grande espulsione attuata dai sovrani cattolici di Spagna, è di poco inferiore ai cinquecento.
Di contro, chi giunse in terre lontane dovette affrontare difficoltà notevoli, giacché ricevuti sempre con grande diffidenza e con ostilità sobillata, all’occorrenza, dal clero locale e dalla nobiltà. Malgrado questo clima ostile l’ebraismo riuscì ad attecchire a fortificarsi e subire nuove persecuzioni, ed anche se decimato a sopravviverle tutte. In queste condizioni di avversità oltre a quanto la storia ha messo sotto gli occhi di tutti, con edifici dedicati al culto ed una cultura granitica a cui i moderni guardano con attenzione sempre crescente, facendo scoperte a dir poco inimmaginabili. Secondo degli studi in ultimo effettuati, la danza spagnola nota con il nome di Flamenco, sarebbe sorta in Andalusia tra gruppi di perseguitati ebrei, islamici e di altre religioni avversate, che raccogliendo movenze e passi di danze, delle più disparate origini davano uno sfogo anche a sentimenti di nostalgia e dolore per la loro condizione di esuli. Pare proprio che il passo di danza ricorrente e fondamentale di battere i piedi, stia proprio a significare la inespressa rabbia per l’identità e l’autonomia di cui queste genti erano state private a causa della loro diversità.
Sarebbe veramente opportuno che in Scilia il dodici gennaio non continuasse a restare nell’obblio.