Trentuno anni fa la strage di Capaci. Intervista ad Antonio Balsamo, sostituto procuratore generale della Cassazione
“Quel fattaccio, di quei ragazzi morti ammazzati, gettati in aria come uno straccio, caduti a terra come persone che han fatto a pezzi con l’esplosivo, che se non serve per cose buone, può diventare così cattivo che dopo quasi non resta niente”. Così nel 1994, dal prestigioso palco del Teatro Ariston di Sanremo, Giorgio Faletti presentava quella canzone che sarebbe diventata un fotogramma indelebile della strage di Capaci.
Erano le 17:56 di sabato 23 maggio. 500 chilogrammi di tritolo, nitrato d’ammonio e T4 (ciclotrimetilentrinitroammina), devastarono un tratto dell’autostrada A29 all’altezza del cartello dello svincolo per Capaci-Isola delle Femmine, a pochi chilometri da Palermo. La prima auto, una Croma marrone, fu investita in pieno dall’esplosione e sbalzata in un campo di ulivi lontano decine di metri. Morirono i tre agenti della scorta che erano su quell’auto: Antonio Montinaro e Rocco Dicillo, entrambi trentenni, e Vito Schifani, di 27 anni.
La seconda auto, la Croma bianca su cui viaggiava Falcone con Morvillo e l’autista Giuseppe Costanza, si schiantò violentemente contro l’asfalto che si era alzato a causa dell’esplosione. Falcone, che stava guidando, e Morvillo, seduta al suo fianco, furono scaraventati contro il parabrezza e morirono poche ore dopo in ospedale. Costanza sopravvisse, così come Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corbo, gli uomini della scorta che viaggiavano sulla terza auto, una Croma azzurra. Un attentato pianificato da settimane, ordinato da mesi, deciso da anni.
Le prime indagini sulla strage di Capaci furono inizialmente coordinate dal Procuratore capo uscente di Caltanissetta Salvatore Celesti e il 15 luglio 1992, al suo insediamento, passarono al suo successore Giovanni Tinebra. Il processo inizio nell’aprile del 1995 e si chiuse, in Cassazione, nell’aprile 2000 quando furono condannati all’ergastolo, in via definitiva, i massimi esponenti di Cosa nostra.
“Si rese però necessaria l’apertura del processo “Capaci bis” – racconta a QdS Antonio Balsamo oggi sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione che presiedette la Corte del processo – a seguito della collaborazione di Gaspare Spatuzza, che fece luce sulla fase preparatoria dell’attentato. Raccontò della raccolta dell’esplosivo utilizzato per la strage. Si trattava di un segmento fondamentale rimasto fuori dagli accertamenti dei precedenti processi poiché nessuno era stato in grado di riferirne. Fu possibile anche, in maniera più completa, individuare chi deliberò la strage di Capaci, cosa che avvenne nel corso di una riunione di Cosa nostra che si svolse nel periodo novembre-dicembre 1991. Da questo insieme di dichiarazioni, di Spatuzza e altri collaboratori, nacque quindi il “Capaci bis”. La sentenza che fu emessa in primo grado è stata confermata dalla Suprema Corte di Cassazione nel giugno del 2022”.
Antonio Balsamo, nel maggio 1992, era uditore giudiziario e racconta “Indossai la toga per la prima volta il 24 maggio 1992, nella notte in cui fu allestita la camera ardente all’interno del tribunale di Palermo. Quella notte i magistrati in tirocinio, gli uditori, furono chiamati a fare il picchetto di fianco ai corpi di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Io ero tra questi. Palermo si strinse in un abbraccio davanti alla morte di Giovanni Falcone. Tutte le polemiche che avevano segnato in maniera pesante l’ultima parte della sua vita, furono percepite nella loro assoluta inconsistenza. Si videro alcune delle persone che le avevano sviluppate andare a raccogliersi, commossi, in preghiera di fianco alla bara che conteneva il corpo di Giovanni Falcone. In quel momento tutta la città capì la grandezza straordinaria di quest’uomo e di quanto ognuno di noi gli fosse debitore. Per tutti noi fu un momento particolarmente intenso in cui diversi sentimenti si accavallavano: un grande dolore, tanta rabbia ma, soprattutto, una grande voglia di impegnarsi, di costruire il futuro basato sulle idee che aveva cercato di portare avanti, nella sua vita, Giovanni Falcone. Non è un caso che molti di quanti erano con me quella notte, si sono occupati di mafia. Giovanni Falcone è stato considerato, anche all’estero, un grandissimo esempio perché riuscì a impegnarsi con il massimo coraggio alla lotta nei confronti della criminalità organizzata ma con un rispetto molto forte e convinto delle garanzie dello Stato di diritto, per questo è importante la sua esperienza”.