Morto il boss Totò Riina: decise le stragi di Falcone e Borsellino - QdS

Morto il boss Totò Riina: decise le stragi di Falcone e Borsellino

redazione

Morto il boss Totò Riina: decise le stragi di Falcone e Borsellino

venerdì 17 Novembre 2017

 Il "capo dei capi" in terapia intensiva da 10 giorni. Pietro Grasso: "Si accenderanno nuovi problemi all'interno di Cosa nostra"

PALERMO – Totò Riina, il "capo dei capi" della mafia siciliana, responsabile delle stragi del 1992 in cui perserò la vita anche i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è morto questa notte mentre era da dieci giorni in terapia intensiva all’Ospedale Maggiore di Parma. Le sue condizioni di salute si erano aggravate negli ultimi giorni dopo due interventi chirurgici e ieri erano improvvisamente diventate disperate. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, aveva autorizzato i parenti ad assistere Riina mentre era in fin di vita.
 
La morte del boss Toto’ Riina, come quella di Provenzano, "accenderà nuovi problemi all’interno di Cosa nostra per la successione. Perché finché un capo è vivo, anche se in carcere, non viene sostituito". Così il presidente del Senato, Pietro Grasso, a Carru’, nel cuneese, dove celebra la figura di Luigi Einaudi. "La guardia non si è abbassata – aggiunge la seconda carica dello Stato a proposito delle ricerche del super latitante Matteo Messina Denaro. "E’ sempre ricercato e speriamo presto di arrivare a un risultato positivo".
 
La storia di Totò "u curtu", boss misterioso e inafferabile
 
Il soprannome più gentile era riferito alla statura: "Toto’ ‘u curtu". Poi è venuto Tommaso Buscetta e di Totò Riina ha dato la descrizione di un uomo feroce, il ritratto di una belva. La versione giornalistica ha colto invece il suo ruolo di personaggio potente e prepotente: il capo dei capi, che ha ispirato anche una serie televisiva. Riina interpretava in effetti sia la parte della ferocia che quella del dominio e le componeva per dare una strategia alla sua carriera criminale. Per raggiungere il vertice mafioso, lui che era stato a lungo un gregario, si era fatto largo scatenando conflitti, ordinando esecuzioni, sfidando lo Stato, eliminando uomini e simboli del potere democratico. Per più di vent’anni il suo mito è stato quello di un boss misterioso e inafferrabile che ha diviso l’infanzia e il destino criminale con un altro boss leggendario come Bernardo Provenzano.
Riina e Provenzano
 
Stessa piazza d’origine, Corleone, stessa cosca. Riina e Provenzano, cresciuti all’ombra di Luciano Liggio, la loro ascesa nell’empireo mafioso era cominciata negli anni Sessanta. Si era consolidata dopo la cattura di Liggio nel 1974 ed era esplosa nel 1978 quando Riina, con un colpo di mano, aveva deposto Gaetano Badalamenti come capo della "commissione" di Cosa nostra. Erano i primi atti di un rivolgimento che di lì a poco avrebbe imposto la "dittatura" corleonese prima con manovre sotto traccia poi con la sistematica eliminazione degli uomini della vecchia guardia. L’assalto al comando di Cosa nostra è stato accompagnato da una grande "mattanza": tra il 1981 e il 1983 oltre mille morti di cui 300 lupare bianche.
Le stragi di Falcone e Borsellino
 
Riina ricattava il potere politico per incassare l’impunità. Per questo aveva lanciato un segnale ordinando l’eliminazione del procuratore generale Antonino Scopelliti: avrebbe dovuto sostenere in Cassazione l’accusa per il maxiprocesso. Il boss dei boss cercava in questo modo una strada per pilotare la sentenza. E quando le condanne furono confermate in blocco, decretò l’uccisione di Salvo Lima, l’uomo di Giulio Andreotti, dal quale si aspettava un intervento sui giudici.
 
Poi organizzò il grande "botto" con le stragi di Capaci (Giovanni Falcone) e via d’Amelio (Paolo Borsellino). Toto’ ‘u curtu alzava il livello dello scontro per spaventare lo Stato e per aprire la strada a una "trattativa". Se abbia trovato interlocutori disposti a concedere benefici per fermare le stragi resta ancora da dimostrare.
 
Il fatto certo è che nel momento più drammatico della sfida ogni protezione, cercata oppure incassata, è finita. La strategia di Riina, costata lacrime e sangue, ha consumato il suo fallimento con l’immagine del padrino in posa dimessa in caserma sotto la foto del generale Dalla Chiesa. Dopo di lui nulla è stato più come prima. La mafia ha smesso di sparare per dedicarsi, senza più un’organizzazione unitaria, agli affari, agli appalti, alla droga, ai nuovi scenari dell’economia globale, agli scambi con la politica. Ma senza quella ferocia criminale che la morte di Riina ha ormai consegnato alla storia. 

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