Non è vero che in Cina non c’è il capitalismo - QdS

Non è vero che in Cina non c’è il capitalismo

Carlo Alberto Tregua

Non è vero che in Cina non c’è il capitalismo

venerdì 22 Marzo 2024

Ben 42 donne cinesi miliardarie

La Cina è un Paese ben più antico di quelli europei, mentre non prendiamo in considerazione le Americhe, ove gli Stati Uniti sono diventati una nazione solo nel 1776 con la Dichiarazione d’indipendenza.
Detto ciò, la cultura occidentale tende a non prendere in considerazione quella orientale, di cui sembra che gli albori si ricolleghino a circa cinquemila anni fa; mentre nel 400 a. C. vi fu il fulgore della cultura e della filosofia greca, che ancora oggi si studia e si ricorda per la sua profondità di pensiero.

Ignorare che vi siano stati popoli più antichi di quelli occidentali fa emergere una sorta di presunzione e di primogenitura che sono inesistenti. Vi è un ottimo libro storico scritto da Gennaro Sangiuliano, attuale ministro della Cultura (venuto al nostro Forum pubblicato il 25 luglio del 2020), intitolato “Il nuovo Mao”, che fa emergere l’antica storia di quel grande Paese asiatico, il quale ha attraversato mille peripezie e mille trasformazioni, anche etniche, fino ai nostri giorni.

Perché ritorniamo sulla Cina? Perché la stampa occidentale continua a dare informazioni parziali ed errate che fuorviano l’opinione pubblica di questa parte del mondo.

La Repubblica popolare cinese è stata fondata nel 1949, il Partito comunista è sempre egemone e ha avuto capi gretti e capi illuminati. Non la facciamo lunga e arriviamo all’attuale presidente assoluto, Xi Jinping, eletto nel 2013, il quale probabilmente resterà a vita presidente in seguito alla modifica della Costituzione cinese.

In quel Paese di 1,4 miliardi di abitanti, sotto il profilo politico non esiste democrazia perché vi è un solo partito, che è appunto quello Comunista, il quale stabilisce le regole di convivenza, piacciano o non piacciano. Ricordiamo la rivolta di piazza Tienanmen, quando un uomo, tale Wang, si dette fuoco, per protestare appunto contro il regime.
Noi democratici occidentali, condanniamo senza dubbio un regime che non consente le libertà politiche e di espressione. Ma ciò non ci impedisce di guardare l’altra mezza mela: la libertà delle attività economiche.

In altre parole, il regime comunista dice ai/alle suoi/sue cittadini/e: fate quello che volete purché non mettiate in discussione l’esclusiva direzione dello Stato, di pertinenza del Partito comunista.
Dal che è derivato che tutti/e i/le cinesi capaci hanno cominciato a mettere in moto attività economiche di ogni genere, soprattutto quelle imprenditoriali, che hanno fatto emergere centinaia e forse migliaia di miliardari.
Fra essi, per esempio, Jack Ma, che con la sua impresa Alibaba è diventato uno dei punti di riferimento dell’economia mondiale. Quando però si è messo in testa di toccare i fili politici, è stato messo in naftalina.

Dunque, chi fa attività economiche può prosperare in modo notevole, seguendo la direzione intelligente di Xi Jinping, il quale ha capito che l’arma più potente che esista oggi è quella economica. Cosicché, passo dopo passo, sta conquistando grandi territori dell’Africa, costruendovi infrastrutture quali strade, porti, aeroporti, ospedali, scuole, università con cultura cinese e via enumerando.
Si dice – ma il fatto non è confermato – che nel mondo vi siano altri trecento milioni di cinesi che lavorano silenziosamente.

La notizia più importante in materia è che fra i tantissimi miliardari cinesi vi sono ben quarantadue donne a capo di imperi economici, che macinano utili, pagano le relative tasse; anche se – non dobbiamo dimenticarlo – sono sempre soggette rigorosamente alle regole politiche del regime.
I giovani e le giovani cinesi sono stati/e inviati/e in questo dopoguerra nelle migliori università statunitensi ed europee, e dopo avere conseguito lauree e master, sono ritornati/e nel loro Paese per utilizzare le competenze acquisite.

Non solo, ma il mercato cinese è fortemente attrattivo per i gruppi imprenditoriali occidentali, fra i quali quelli italiani, in particolare nel settore del lusso, che colà hanno fatto numerosissime joint venture e riescono a ottenere fatturati enormi, come hanno fatto anche durante il periodo del Covid.
La Cina quest’anno tende a un Pil del sei per cento, contro il tre degli Stati Uniti e l’uno per cento dell’Europa. Vi lasciamo interpretare tale dato.

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