L'attore racconta i momenti più emozionanti sul set e l'importante messaggio lanciato dal film basato sulla vita di Andrea Spezzacatena, spezzata dal bullismo in una società "patriarcale e machista".
“Il ragazzo dai pantaloni rosa”, film diretto da Margherita Ferri e prodotto da Eagle Pictures e Weekend Films, è arrivato nelle sale dei cinema italiani il 7 novembre. Il film si basa sulla storia di Andrea Spezzacatena che a 15 anni decise di togliersi la vita. Il suo gesto fu inaspettato perché Andrea era un ragazzo solare, aveva ottimi voti a scuola e uno splendido rapporto con i genitori. Dopo la sua morte, la madre Teresa è entrata nel suo profilo Facebook e ha scoperto che il figlio era stato vittima di bullismo e cyberbullismo a scuola.
Nel cast formato da Claudia Pandolfi, Samuele Carrino, Sara Ciocca e Andrea Arru c’è anche l’attore siciliano Corrado Fortuna che veste i panni di Tommaso, il padre di Andrea.
“Sto bene. Sono contento perché questo è un film che mi piace molto, nonostante tiri fuori delle tristezze – dice Corrado Fortuna, contattato dal QdS, in prima battuta – Il film mi rende parecchio orgoglioso da un punto di vista professionale e umano”.
“Il ragazzo dai pantaloni rosa”, intervista a Corrado Fortuna
Sono giorni di promozione per Corrado Fortuna che, prima di raccontarsi, propone di darci del tu.
“Il ragazzo dai pantaloni rosa” è arrivato in sala il 7 novembre, ma ha già fatto “rumore”. La società non è ancora pronta a parlare di bullismo e a trovare delle soluzioni?
“Certo che la società è pronta. Non è pronta la politica e un certo giornalismo. La società già vive in una direzione diversa rispetto a quella che è la polemica politica. Se ci stiamo riferendo a quanto successo a Treviso, la strumentazione politica e anche mediatica è niente rispetto a sessantamila studenti che hanno visto il film contemporaneamente, tra i quali anche quelli della scuola di Treviso. Quello è un vociare al quale in Italia siamo molto abituati perché la polemica politica è il pepe della notizia giornalistica. La società mi sembra assolutamente pronta e vogliosa a ricevere film e storie come queste: capaci di far riflettere, oltre ad intrattenere”.
Per chi è questo film?
“Questo film è per tutti nella misura in cui la prevaricazione sugli altri è una cosa che non riguarda solo l’adolescenza. Nella fattispecie, è soprattutto per i ragazzi, per i loro genitori, per i professori e per chi ha a che fare con i ragazzi. È per cercare di far capire che ci sono poche altre soluzioni oltre alle parole quando si vive una dramma adolescenziale, e quindi nell’età più complicata della vita quando non si ha piena consapevolezza di sé. È difficile sia per i ragazzi trovare il coraggio per parlare con gli adulti e, certe volte, da adulto e da padre immagino possa essere difficile parlare con i propri figli e gli adolescenti, capirli e sfondare quel muro di imbarazzo e incomprensione”.
Nel film “Il ragazzo dai pantaloni rosa” sei Tommaso, il padre di Andrea. Quale tipo di lavoro hai fatto per interpretarlo?
“Non ho conosciuto il vero padre di Andrea che, dopo la morte del figlio, ha deciso di restare in ombra e di vivere il suo lutto e il suo dolore in maniera privata. Abbiamo scelto di chiamare il mio personaggio diversamente per gentilezza nei suoi confronti. Non l’ho disturbato. Abbiamo cercato di portare nel personaggio anche questo aspetto che mi ha trasmesso senza apparire, ossia il desiderio di rimanere indietro. Me lo sono immaginato malinconico. Ho amato moltissimo fare questo personaggio, nonostante sia stato emotivamente e psicologicamente faticosissimo e intenso”.
Hai sentito maggiormente il peso del ruolo visto che il film si basa su una storia vera e c’è la responsabilità di dare una dignità a quella persona prima ancora che al personaggio?
“Non è la prima volta che interpreto un personaggio che si basa su una storia vera. Ho sempre cercato di lavorare allo stesso modo ossia trovare nel personaggio qualcosa che corrispondesse a me. Per quanto riguarda il padre di Andrea, non ho potuto fare questo tipo di lavoro perché non so neppure che faccia abbia. Eppure, lo sento vicino come uomo e come padre”.
“Sento la responsabilità di interpretare un personaggio di una storia vera, specie se è uno di questo calibro. Ma, in generale, quando ti appropri della vita di qualcun altro, lo fai con una delicatezza e un senso di responsabilità che è maggiore rispetto a quando si tratta di un personaggio di fantasia”.
Hai detto che sei stato molto contento di fare questo film a livello umano e professionale. È arrivato in un momento della carriera in cui sentivi il bisogno di sfidarti con un film del genere?
“Il mio mestiere cambia con la tua età. Ho avuto la fortuna di cominciare a fare questo lavoro da molto giovane. La cosa bella di fare l’attore alla mia età è finalmente poter fare ruoli di padre, di marito, di uomo, di qualcuno che si porta appresso un bagaglio più ricco, più grosso, più importante rispetto a quello del ventenne che ero. Adesso sento di avere fatto pace con il mio lavoro, di affrontarlo con più gioia e con più strumenti tecnici. Mi sento molto più a mio agio sul set. Sento, in qualche modo, di saperlo fare, di sapermici muovere. Questa cosa dà una dipendenza bestiale. Ci sono stati altri ruoli ultimamente che mi hanno dato la stessa sensazione ed è dovuta al fatto che, andando avanti e avendo più esperienza, si migliora e hai una cassetta degli attrezzi che puoi mettere a disposizione delle storie e dei personaggi. È molto divertente adesso fare l’attore”.
Qual è stato il momento più difficile sul set de “Il ragazzo dai pantaloni rosa”?
“Non ci sono stati momenti particolarmente difficili sul set. Dal punto di vista del quotidiano, andare a lavorare era sempre una gioia. Questo è un film pieno di gioia perché racconta la vita di Andrea e non la morte”.
“Una scena intensa è stata quella del parto, soprattutto tecnicamente per Claudia (nda. Pandolfi). Bisogna fare uno sforzo tremendo. Tra l’altro Claudia ha partorito quindi sa di cosa si tratta. Quella è stata una giornata complicata anche perché, mentre stai facendo nascere questo bambino, ti ricordi che avrà una vita di 15 anni e finirà in quel modo là. Quello è un momento particolarmente emozionante e intenso che ricordo del film, tutti erano commossi. Quella è stata una giornata intensa anche perché è stata una di quelle giornate in cui il tuo lavoro diventa un po’ magico”.
Il tema del bullismo
Secondo te, perché si fa fatica ad accettare la diversità altrui?
“Perché si fa fatica ad accettare l’identità di sé stessi. Viviamo in un momento in cui ci conosciamo poco. Parlo per la mia piccola bolla. Non voglio dare consigli di vita a nessuno. Credo però che oltre quello che vediamo sullo schermo dell’IPhone mentre scrolliamo Instagram, in realtà non sappiamo veramente cosa vogliamo, desideriamo o proviamo. E questo ci rende più difficile accettare l’identità degli altri. In più viviamo in un momento in cui il modello è quello prevaricatore. Un modello di guerre, di patriarcato, di maschi alfa. Nonostante le grandi conquiste degli ultimi trent’anni, continua a esserci un modello di maschio alfa bianco etero che comanda e decide. E questo, forse, diventa il modello a cui si ispirano i ragazzi che dovrebbero tenere conto, invece, di quanto potrebbero essere loro un modello per gli adulti per un mondo migliore”.
Quindi non solo un’attenzione sul bullizzato, ma anche sui bulli.
“È esattamente quello che intendo. Penso che chi prova piacere nella prevaricazione sugli altri sia qualcuno che sta male e che ha bisogno d’amore, di attenzione e di cure. Quindi, è qualcuno di cui preoccuparsi perché si appiglia a un istinto animale e non lo è. È difficile empatizzare col bullo, mi rendo conto, però non c’è una soluzione diversa a cercare di guardare le cose e fare tifo da stadio polarizzante. Non è tutto bianco o nero. La vita è ricca di sfumature. Cercare di capire gli altri mi sembra una chiave per risolvere tante cose nel privato e nel pubblico”.
Hai raccontato di essere stato bullizzato da piccolo. Quel periodo della tua vita quanto ha inciso sull’uomo e sull’artista che sei?
“Tantissimo, come tutto quello che avviene nell’adolescenza. La mia storia non è un dramma. È una cosa che fa parte della vita. Oggi sono l’uomo che sono anche per il mio passato, per la mia storia. E non cerco più di essere un altro. Finalmente è pacifica questa cosa e mi dà pace. Non è sempre così: le aspettative a volte sono diverse dalla realtà. Ma provarci è il minimo”.
Nel film “Il ragazzo dai pantaloni rosa” si evidenziano alcuni elementi: la “doppia vita” di Andrea, solare in famiglia ma con la tempesta dentro, l’uso dei social che influenzano il suo quotidiano, le parole di disprezzo che riceve e a cui reagisce con il silenzio. Secondo te, cosa non si sta facendo per fermare il fenomeno?
“Sarebbe bello saperlo. Credo di averti già risposto parzialmente perché penso che chiedere aiuto non sia un problema. In questa società patriarcale e machista, invece, piangere o chiedere aiuto sono visti come sinonimi di debolezza quando sono segnali di forza. Il mio invito ai ragazzini è di sentirsi forti quando si chiede aiuto, non quando ci si vergogna. Ultimamente parlo tanto di depressione. Non è una colpa essere depressi. È una cosa che esiste e ci si può convivere e se ne può parlare. Parlarne non è un problema. È quando il problema lo si guarda in faccia che si riesce a risolvere”.
Da padre quanto ti spaventa questo mondo?
“Parecchio. Tra l’altro ho un figlio maschio per cui questa questione di cui stiamo parlando è centrale. Vorrei che mio figlio sia il più sano e felice possibile e, per esserlo, deve essere il più lontano possibile da questa mascolinità tossica che sta inquinando questo tempo. Sono preoccupato, ma essendo la cosa centrale della mia vita credo di star facendo un buon lavoro”.
In questa intervista sull’esperienza del film “Il ragazzo dai pantaloni rosa” ti sei aperto tanto, ma oggi chi è Corrado Fortuna e a cosa tende?
“Io tendo a evolvermi e non so rispondere a una domanda che mi definisce perché spero di poter continuare a migliorarmi e a vedere questa vita come un percorso di arricchimento. Oggi sono in questa fase di continuo studio di me stesso e di cosa ho intorno e sono più sereno di quanto lo sono stato da ragazzo. Sono più curioso di vedere cosa mi riserva la vita”.
Parlando di futuro, ci sono altri progetti lavorativi in ballo o mi sbaglio?
“Non ti sbagli. Ci sono belle cose che ho già fatto come il film di Martoglio con Valeria Golino in cui interpreto Angelo Pellegrino, il marito di Goliarda Sapienza. È stato un viaggio bellissimo, girato quest’estate. Ho fatto una partecipazione in Maschi Veri, serie Netflix diretta da Matteo Oleotto che non so quando uscirà. Devo cominciare la nuova stagione di Vanina all’inizio della primavera. Sto lavorando al mio nuovo libro. Da un punto di vista lavorativo è un buon momento”.
Manca qualcosa?
“(nda. Silenzio) …Direi che non mi manca niente”.
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Crediti foto: Valentina Glorioso