Consulta, permessi anche ai mafiosi all'ergastolo - QdS

Consulta, permessi anche ai mafiosi all’ergastolo

Consulta, permessi anche ai mafiosi all’ergastolo

mercoledì 23 Ottobre 2019

Dopo la Corte europea per i diritti umani anche la Corte costituzionale li concede, anche a chi non collabora con la Giustizia, purché recida i legami con Cosa nostra. Pareri contrastanti tra i magistrati. Bonafede, "Uffici al lavoro"

Anche i mafiosi all’ergastolo potranno accedere ai permessi premio, pure se non collaborano con la giustizia, ma a condizione che sia provato che abbiano reciso i loro legami con la criminalità organizzata e purché sia dimostrata la loro partecipazione al percorso rieducativo. La loro pericolosità non sarà più presunta dalla legge, ma andrà verificata, caso per caso, dai magistrati di sorveglianza, come avviene per tutti gli altri detenuti.

Dopo la Corte europea dei diritti dell’Uomo anche la Corte costituzionale dà una spallata all’ergastolo “ostativo”, quello che impedisce la concessione di benefici a mafiosi – ma anche ai terroristi e ai responsabili di altri gravi reati – se non fanno i nomi dei loro sodali, introdotto all’indomani della strage di Capaci, proprio per indurre boss e gregari a collaborare con lo Stato. Una pronuncia di grande impatto, perché non riguarda solo i 1.250 condannati all’ergastolo ostativo, ma anche chi sta scontando pene minori per mafia, terrorismo, violenza sessuale aggravata, corruzione e in generale i reati contro la pubblica amministrazione.

Tutti reati che sino ad oggi impedivano la concessione di qualunque beneficio penitenziario nel presupposto della pericolosità sociale del condannato.

A questo meccanismo preclusivo la Corte Costituzionale ha sottratto i soli permessi premio, il primo gradino dei benefici penitenziari. E lo ha fatto stabilendo la incostituzionalità dell’articolo 4 bis, comma 1, dell’Ordinamento penitenziario “nella parte – spiega il comunicato della Corte – in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Sempre che, ovviamente, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo”.

La sentenza si è limitata ai permessi premio e non agli altri benefici penitenziari, perché era stata investita su questo specifico aspetto dalla Cassazione e dal tribunale di sorveglianza di Perugia, cui si erano rivolti due detenuti , Sebastiano Cannizzaro e Pietro Pavone, che si erano visti negare il via libera a incontrare i loro familiari.

Ma potrebbe fare “scuola” per la concessione di altri benefici penitenziari.

Se lo augurano Antigone, Nessuno Tocchi Caino e l’Unione delle Camere penali.

Lo temono invece alcuni magistrati, come Sebastiano Ardita, presidente della Commissione penale del Csm, che teme una “riorganizzazione di Cosa Nostra”. E Nino Di Matteo, neo componente del Csm, ha detto: “Dobbiamo evitare che si concretizzi uno degli obiettivi principali che la mafia stragista intendeva raggiungere con gli attentati degli anni ’92-’94”.

“Nessun regalo alla mafia”, invece, secondo un altro importante magistrato, Armando Spataro, per il quale “nella sostanza cambierà pochissimo”.

Quella della Consulta, dice l’ex capo della procura di Torino e ex procuratore aggiunto a Milano, è una sentenza “assolutamente condivisibile, che non introduce alcun automatismo favorevole ai mafiosi condannati all’ergastolo, rimettendo alla magistratura di Sorveglianza l’accertamento della dissociazione da logiche mafiose di simili detenuti”.

Tra le posizioni intermedie c’è quella di Alfonso Sabella, in passato nel pool antimafia a Palermo, secondo il quale serve un intervento del Parlamento perché è necessaria una “norma salvamagistrati”.

In sostanza, se si dà a un solo magistrato la discrezionalità di valutare se è a favore o contro un permesso, lo si espone troppo. Dunque serve una “competenza collegiale” per non “personalizzare la decisione” e “diluire le responsabilità tra i magistrati e quindi proteggerli”.

Resta un dato di fatto, secondo Sabella: la decisione della Consulta sull’ergastolo ostativo, i magistrati “se la sono un po’ cercata: applicando una serie di limitazioni della libertà degli individui anche quando non erano necessarie. Per esempio il mantenimento del 41 bis per Provenzano nell’ultima fase della sua vita è stato un errore gravissimo. Non c’era ragione di farlo morire al 41 bis”.

Sulle conseguenze della sentenza sono intanto al lavoro gli uffici del ministero della Giustizia.

“La questione ha la massima priorità”, sottolinea Alfonso Bonafede.

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