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A più di un anno dal terremoto di Santo Stefano la prevenzione antisismica in Sicilia è all’anno zero

A più di un anno dal terremoto di Santo Stefano la prevenzione antisismica in Sicilia è all’anno zero

venerdì 03 Gennaio 2020

Nell’Isola sei edifici su dieci sono a rischio crollo, ma si pensa solo a ricostruire (lentamente e con costi altissimi)

PALERMO – A un anno di distanza dal sisma di Santo Stefano, il bilancio dei danni e della ricostruzione riproduce, in maniera abbastanza lineare, le criticità e le difficoltà di una terra terribilmente esposta al rischio naturale, eppure naturalmente dormiente sul fronte della prevenzione e della messa in sicurezza. Nei fatti i terremoti non si possono prevedere, eppure ci sono degli strumenti e delle opportunità, tra tutti il sismabonus, che potrebbero ridurre le conseguenze di un terremoto che nell’Isola è comunque di casa, considerando che circa il 90% dei comuni rientra nelle prime due fasce di rischio sismico, secondo la mappatura del Dipartimento della Protezione civile.

SISMA DI SANTO STEFANO, UN ANNO DOPO
Nei giorni scorsi, a Zafferana Etnea, uno dei dieci comuni colpiti dal sisma di Santo Stefano (gli altri sono Acireale, Santa Venerina, Aci S. Antonio, Acicatena, Aci Bonaccorsi, Trecastagni, Sant’Alfio, Milo e Viagrande), si è fatto il punto della situazione nel corso di un incontro organizzato dal Movimento Cinque Stelle, in particolare dalla senatrice Tiziana Drago. Da una parte ci sono stati i 138 milioni di euro della contabilità speciale, e gli altri finanziamenti arrivati dal decreto sblocca cantieri e dal decreto sisma, nonché l’impegno del commissario per la ricostruzione che avrà a disposizione circa 240 milioni fino al 2023 per interventi di immediata necessità.

La ricostruzione, seppur a fatica, ha dato qualche segnale, tuttavia, nel concreto, le criticità sono ancora tantissime anche e soprattutto per i numeri di un terremoto che non ha, per fortuna, registrato vittime, ma che ha avuto più di un migliaio di sfollati – considerando Fleri, nella parte alta di Zafferana e le aree dell’acese maggiormente colpite – centinaia di edifici dichiarati inagibili, tra cui moltissimi luoghi di culto. Un rientro alla normalità che, a distanza di un anno, non c’è stato ed è sufficiente un giro tra i luoghi del sisma per rendersene conto. Nel corso dell’incontro etneo è infatti emerso lo stato di disagio di molti cittadini, ancora bloccati in alloggi di fortuna, e anche i ritardi della ricostruzione con la nomina del commissario delegato per la ricostruzione, Salvatore Scalia, già procuratore generale di Catania, che è stata ratificata soltanto lo scorso agosto.

Criticità evidenziate proprio da due esponenti, Foti e Marano, della pattuglia stellata all’Ars: “Nonostante la struttura commissariale per la ricostruzione sia alla linea di partenza e nonostante le risorse finanziate e il grande impegno profuso dalle forze messe in campo, permangono infatti situazioni di forte criticità nei territori: problemi alla viabilità pubblica e numerosissimi i cittadini la cui abitazione principale è stata resa inutilizzabile dal sisma e che beneficiano di contributi per l’autonoma sistemazione, proprio in forza dello stato di emergenza in corso nell’ultimo anno, o ancora la provvisoria allocazione della scuola primaria ‘Mario Alosi’”. Il problema, come ha sottolineato lo stesso commissario Scalia, è che “per spendere i soldi a disposizione della struttura commissariale e farla funzionare al meglio manca il personale”.

RICOSTRUIRE È UN RISCHIO, PREVENIRE PRODUCE LAVORO E SICUREZZA
Il terremoto non si può prevedere, tuttavia è possibile lavorare sulla messa in sicurezza del costruito per limitare danni e salvare vita umane. Anche perché ricostruire costa tantissimo, soprattutto in un territorio particolarmente esposto al rischio sismico come quello nazionale. Un lavoro degli Uffici studi di Camera e Senato ha calcolato, nel corso degli ultimi cinquant’anni, un costo pari a 150 miliardi di euro per la ricostruzione in seguito ai vari terremoti che hanno funestato la storia nazionale e per molti di loro la ricostruzione non risulta finita.

Per restare in ambito regionale, il solo sisma del Belice ha avuto un impatto di circa 8,5 miliardi di euro. Agire sul patrimonio edilizio isolano, vecchio e malandato nella maggior parte dei casi, considerando inoltre che circa il 90% dei comuni isolani rientra nelle prime due fasce di rischio sismico (27 nella prima, la zona dove “possono verificarsi fortissimi terremoti”, e 329 nella seconda, dove possono verificarsi forti terremoti), potrebbe essere una necessità economica e di sicurezza. Secondo l’Ance, che ha stimato il costo medio per mq in collaborazione con gli uffici dell’Oice, l’Associazione delle organizzazioni italiane di ingegneria, architettura e consulenza tecnico-economica, il costo complessivo per interventi strutturali di miglioramento sismico nelle zone a rischio di tutta Italia consentirebbe di mettere in moto circa 105 miliardi di euro. Di questa quota così importante, almeno il 13% sarebbe destinato alla Sicilia, per un importo complessivo pari a 14 miliardi di euro. Non bisogna, inoltre, dimenticare che il patrimonio isolano, oltre a essere in aree a rischio, è stato anche costruito, in molti casi, prima dell’avvio della normativa antisismica: circa il 30% è stato messo in piedi tra il 1919 e il 1970.

CASE DISASTROSE E DISASTRATE
Il territorio a rischio sismico coinvolge, nella sola Sicilia, secondo una stima basa sulla mappa della protezione civile, circa 4,5 milioni di siciliani (355mila solo nella prima fascia di rischio) e circa 1,7 milioni di abitazioni occupate in edifici residenziali (144mila nella prima fascia).

Numeri catastrofici inquadrati anche nel corso di una campagna di sensibilizzazione sul rischio sismico organizzata dall’Ordine degli Ingegneri della provincia di Palermo: “Non esiste una banca dati specifica – ha spiegato il presidente Vincenzo Di Dio – ma sulla base di diversi elementi, tra cui l’età media dei fabbricati e l’evoluzione dei criteri tecnici per l’adeguamento sismico da fine anni Settanta a oggi, si considera che oltre 6 edifici su 10 potrebbero aver bisogno di interventi in grado di migliorarne la risposta alle sollecitazioni sismiche, sia nel territorio provinciale di Palermo che, verosimilmente, anche nel resto della Sicilia”.

Secondo il tecnico, la prevenzione è la chiave per rendere meno vulnerabile ai terremoti un patrimonio edilizio “che per oltre il 60%, secondo stime tratte dall’esperienza comune, a noi professionisti potrebbe richiedere interventi migliorativi o comunque verifiche tecniche”.

COMUNI SENZA PIANO
In Sicilia solo il 49% dei comuni si è dotato del piano di emergenza comunale, si tratta di 190 comuni su 390. Statisticamente è la percentuale più bassa tra le regioni italiane, a fronte di una media italiana che vale l’88% del totale. Secondo la legge n.100 del 2012, i piani comunali di protezione civile devono essere redatti entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, e periodicamente aggiornati. Il Piano prevede l’insieme delle “procedure operative di intervento per fronteggiare una qualsiasi calamità attesa in un determinato territorio”. Questo strumento recepisce il “programma di previsione e prevenzione ed è lo strumento che consente alle autorità di predisporre e coordinare gli interventi di soccorso a tutela della popolazione e dei beni in un’area a rischio”.


Sismabonus, fino a 96 mila € per immobile ma l’agevolazione ancora stenta a decollare

PALERMO – Gabriele Lo Cacciato, consigliere dell’Ordine degli ingegneri di Palermo, ha spiegato che il “cosiddetta sismabonus può arrivare fino a 96mila euro per unità immobiliare e, se accorpato all’eco-bonus, fino a 136mila”. Si tratta di una misura attiva dal primo gennaio del 2017, confermata anche per il 2020 (vedi servizio a pagina 8) e valida per lavori realizzati su tutti gli immobili di tipo abitativo e su quelli utilizzati per attività produttive. Nell’agevolazione rientrano le opere eseguite su edifici situati sia nelle zone sismiche ad alta pericolosità (zone 1 e 2), sia in quelle soggette a minor rischio (zona sismica 3), quindi riguarderebbe oltre il 90% dei comuni isolani.

L’Agenzia delle Entrante, che alla misura ha dedicato una guida disponibile sul proprio sito, sottolinea che si applica alle spese sostenute dal primo gennaio 2017 al 31 dicembre 2021 per una detrazione del 50%, che va calcolata su un ammontare massimo di 96.000 euro per unità immobiliare (per ciascun anno) e che deve essere ripartita in cinque quote annuali di pari importo.

“La detrazione è più elevata (70 o 80%) – si legge nella guida – quando dalla realizzazione degli interventi si ottiene una riduzione del rischio sismico di 1 o 2 classi e quando i lavori sono stati realizzati sulle parti comuni di edifici condominiali (80 o 85%)”. Opportunità anche per l’acquisto di una casa: “Chi compra un immobile in un edificio demolito e ricostruito nei Comuni in zone classificate a ‘rischio sismico 1’, può detrarre dalle imposte una parte consistente del prezzo di acquisto (75 o 85%, fino a un massimo di 96.000 euro)”.

Così come già successo per l’eco-bonus, la spesa degli isolani per il sisma bonus, secondo i pareri espressi dai tecnici in diverse occasioni pubbliche, però non sembra aver registrato grandi numeri. E la tendenza sembra nazionale: secondo Lorenzo Benedetto, membro del Consiglio nazionale dei geologi, il sismabonus “stenta a decollare”. Per delineare la freddezza con cui la misura era stata accolta, è sufficiente ricorrere a una comunicazione della sezione catanese dell’Associazione nazionale dei costruttori (Ance), aggiornata all’ottobre del 2018, che aveva messo in evidenza come, sulla base di una piattaforma per facilitare questo scambio, realizzata da Ance e Deloitte, non risultavano operazioni realizzate nella provincia etnea.

Parallelamente si segnala la protesta delle associazioni di settore e dei sindacati, tra cui la stessa Ance e anche i segretari generali di Uil e Feneal-Uil Catania, che contestano per il centro etneo il mancato collocamento nella fascia 1 del rischio. La necessità di investire è evidente, considerando che proprio a Catania, secondo una stima dell’Ance etnea su dati Istat 2011, “l’86% degli alloggi non è antisismico in quanto costruito ante 1981”.


In Sicilia assicurata solo una casa ogni 300

PALERMO – Sul futuro si spende pochissimo. Sebbene ogni anno l’Italia sia funestata dalle calamità naturali (alluvioni, terremoti e frane), con danni ingenti sia in termini di vite spezzate che economici (4 miliardi solo in Sicilia tra 2000 e 2015), la messa in sicurezza delle abitazioni resta un argomento da salotto, al massimo da talk show. Ma non è solo la ristrutturazione degli edifici a stentare, anche gli immobili coperti da assicurazione contro i disastri naturali sono ancora pochissimi.
In tutta Italia, secondo dati diffusi lo scorso anno da Facile.it, sarebbero circa 800 mila le abitazioni assicurate, sulla base di un campione di oltre 180 mila ricerche effettuato nel 2018, mentre in Sicilia, secondo una ricerca dell’Ania (associazione nazionale fra le imprese assicuratrici), diffusa nel 2017, soltanto una casa su 300 avrebbe la polizza contro il terremoto, a fronte di un territorio che rientra nelle prime due classi di rischio sismico in quasi il 90% dei comuni. Un destino condiviso col resto del Meridione, dove appena il 10% del totale delle abitazioni è dotato di una tipologia di copertura contro le calamità naturali.

Potrebbe esserci, tuttavia, una controtendenza. Gli ultimi dati di Facile.it, dicono che la richiesta delle coperture per la casa è aumentata dell’11% in un anno, con un picco di +39% nell’ottobre del 2018. In Sicilia, in particolare, c’è stata una crescita del 77%, dato record per crescita e superiore alla media nazionale.

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