Altro che Black Friday: novembre e dicembre rischiano di essere dei mesi `neri` per il commercio. La seconda ondata ha infatti `chiuso` del tutto oltre 190mila negozi nelle regioni rosse, a cui si aggiungono altre 68 mila attività in Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna cui è stato imposto lo stop di domenica e almeno altri 50mila negozi nelle gallerie commerciali per cui il divieto di apertura, invece, si estende a tutto il weekend. Una chiusura di massa che di fatto rende impossibile ai negozi partecipare ai vari Black Friday e Black Weekend, con grande vantaggio dell`online:in occasione della promozione circa 700 milioni di euro verranno travasati dai negozi reali a quelli sul web. Inoltre, se le restrizioni dovessero continuare fino alla fine dell`anno, il web potrebbe strappare ai negozi reali fino ad ulteriori 3,5 miliardi di euro di spesa dei consumatori per i regali e per l`acquisto di beni per la casa e la famiglia. A lanciare l`allarme è Confesercenti. A soffrire sono in particolare i negozi di abbigliamento, calzature e accessori: le restrizioni hanno chiuso quasi 58mila imprese su 135mila, imponendo restrizioni ad altre 40mila. Uno stop che non permette alle imprese di competere, nonostante i prodotti di moda siano tra quelli tradizionalmente più richiesti in occasione del Black Friday e del Natale.
“Gli ultimi Dpcm hanno portato restrizioni per centinaia di migliaia di negozi, e anche chi può rimanere aperto soffre il crollo dei consumi. Una situazione di difficoltà ulteriormente aggravata dalla sperequazione di condizioni tra negozi reali e online: mentre i primi sono chiusi d`ufficio da governo e regioni, il canale delle vendite web di fatto agisce ed opera in condizioni di monopolio, trasferendo inoltre all`estero una parte importante della ricchezza generata dagli acquisti online”. “Sia chiaro: l`ecommerce è un canale di vendita importante anche per le imprese di `vicinato`. Ma che sono ancora lontane dall`avere quote di mercato paragonabili a quelle delle grandi piattaforme online: i primi venti siti web del commercio elettronico italiano totalizzano il 71% del totale delle vendite, e i primi 200 il 95%”. “Il rischio è che il commercio, un settore già in crisi da circa un decennio, venga definitivamente condannato a morte, portando al collasso le attività che hanno reso famose e invidiate le vie dello shopping delle città italiane. Il problema non è impedire le vendite online, ma la necessità non più differibile di garantire un mercato realmente concorrenziale, nel rispetto del pluralismo distributivo. Governo e Garante della Concorrenza devono intervenire: siamo di fronte ad una distorsione gravissima della concorrenza, che dobbiamo correggere al più presto”.