Anche il biometano è “vietato” in Sicilia, mentre il 70% dei rifiuti finisce in discarica - QdS

Anche il biometano è “vietato” in Sicilia, mentre il 70% dei rifiuti finisce in discarica

Anche il biometano è “vietato” in Sicilia, mentre il 70% dei rifiuti finisce in discarica

venerdì 13 Dicembre 2019

Barricate contro la realizzazione di strutture che esistono ovunque in Italia e producono dagli scarti biocarburante ed energia

PALERMO – A Trento sfruttano gli scarti agricoli e l’umido dei rifiuti urbani della provincia in un impianto di biometano che produce energia elettrica e alimenta una flotta di 42 bus. In Sicilia il primo impianto di biometano agricolo sarà operativo nel 2020. Sta in questi due semplici passaggi tutto il divario che separa un’economia arretrata da un’economia circolare, e mentre la sindrome da Nimby soffoca le velleità di chi vorrebbe attivare una vera filiera del biogas anche in Sicilia, il resto d’Italia e del mondo continua a correre. E lo dicono i numeri di una delle più note associazioni ambientaliste nazionali: entro il 2030 il biometano potrebbe coprire almeno il 10% del fabbisogno annuo di gas naturale in tutta Italia, chiudendo in questo modo il ciclo dei rifiuti urbani e agricoli. Pensieri e parole di Legambiente dello scorso ottobre, nell’ambito del “terzo convegno nazionale sul biometano: dalle norme all’applicazione reale”.

LA SITUAZIONE IN ITALIA
Ci sono oltre 1.600 impianti di biogas in tutta Italia – il biometano è un gas ottenuto tramite processi di upgrading del biogas proveniente dalla digestione anaerobica di matrici organiche –, si tratta di un patrimonio che colloca il nostro Paese al secondo posto in Europa e al quarto nel mondo. Lo ha detto Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, stimando inoltre un potenziale produttivo di “biometano alto, stimato al 2030 in 10 miliardi di metri cubi, di cui almeno otto da matrici agricole, pari a circa il 10% dell’attuale fabbisogno annuo di gas naturale e ai due terzi della potenzialità di stoccaggio della rete nazionale”.

I MODELLI VIRTUOSI
In Italia continuano a crescere gli impianti a biometano che sono connessi alla rete e alimentati dai rifiuti organici. Una vera e propria mappatura in dettaglio non esiste, ma Legambiente ha selezionato alcuni degli esempi più significativi: in provincia di Bergamo c’è l’impianto della Montello Spa dove si producono annualmente 32 milioni di metri cubi di biometano e si “cattura” la CO2, mentre al Centro-Sud l’impianto di riferimento, in quanto è stato il primo realizzato, è quello di Calabra Maceri a Rende, in provincia di Cosenza, che tratta annualmente 40 mila tonnellate di rifiuti che producono 4,5 milioni di metri cubi di biometano immesso in rete. Gli utilizzi, del resto, sono molteplici e tutti di matrice ambientale e circolare: il metano prodotto presso il Polo Ecologico Acea a Pinerolo, in provincia di Torino, viene impiegato per alimentare i veicoli aziendali per la raccolta dei rifiuti. In provincia di Trento, la BioEnergia Trentino ha creato un impianto in grado di trattare il 75% dei rifiuti organici della provincia, circa 40 mila tonnellate all’anno di frazione organica di rifiuti solidi urbani e 14.500 tonnellate all’anno di verde e ramaglie, “producendo – si legge nel comunicato dell’associazione del Cigno – energia elettrica e circa 450 metri cubi standard di biometano all’ora, immesso in rete e trasportato fino alla sottostazione di rifornimento di Trentino Trasporti, per l’alimentazione una flotta di 42 autobus”.

SICILIA, RITARDI E NIMBY
Nell’Isola – è una notizia data a inizio novembre da Adnkronos – il primo impianto di biometano agricolo arriverà soltanto nel 2020. “La Sicilia ha perso il treno del biogas – ha dichiarato all’agenzia Edoardo Bonaccorsi, amministratore delegato di Assoro Biometano (azienda socia del Consorzio Italiano Biogas e Gassificazione) – che è stata una grande rivoluzione in agricoltura negli scorsi 10 anni e ha interessato tutta Italia; la Sicilia è rimasta molto indietro sul tema ma speriamo di recuperare terreno con un impianto modello che verrà inaugurato nel primo trimestre del 2020”. Altri due impianti, sempre dello stesso gruppo, dovrebbero essere realizzati nei prossimi 48 mesi.

A determinare i ritardi nella realizzazione di questi impianti c’è spesso una difficoltà comunicativa nei confronti dei cittadini e anche l’assenza di una pianificazione adeguata. Legambiente spiega che “nonostante i vantaggi che la filiera del biogas e del biometano comportano in termini di decarbonizzazione del settore dei trasporti, di lotta all’inquinamento atmosferico, nel ciclo dei rifiuti e nella valorizzazione del settore agricolo e dei suoli, serve sia un lavoro di corretta informazione, sia una migliore pianificazione degli impianti e delle loro caratteristiche: sono infatti diverse le situazioni in cui enti, cittadini e organizzazioni del territorio manifestano paure e denunciano criticità rispetto ai progetti presentati”.

Queste criticità nascono, innanzitutto, “dall’assenza di linee guida per uno sviluppo di impianti non solo sostenibili ma anche integrati nei territori, che troppo spesso non vengono presi in considerazione nell’iter autorizzativo”. In Sicilia i casi sono stati molteplici, l’ultimo in ordine di tempo nel ragusano col sindaco di Pozzallo, Roberto Ammatuna, che, nelle scorse settimane, ha invitato il sindaco di Modica, Ignazio Abbate, a trovare una soluzione alternativa per l’impianto di biogas che dovrebbe sorgere nella contrada Bellamagna-Zimmardo, a poche centinaia di metri dal territorio pozzallese, chiedendo inoltre all’azienda di non presentare una richiesta di inizio lavori e prevedendo di scendere addirittura in piazza il prossimo 16 dicembre.

Solo un esempio di una serrata volontà di non cedere alle necessità dell’economia circolare nei dintorni di casa propria, cioè “not in my back yard” (Non nel mio cortile), da cui deriva l’acronimo Nimby che appunto qualifica quella sindrome del rifiuto di accettare l’innovazione che spesso è stato cavalcato, nel bene e nel male, dai politici. Alla fine di novembre, proprio per citare un altro caso, la deputata regionale Palmeri ha messo le mani avanti, parlando di “uno studio di impatto ambientale (sia) pubblicato sul sito dell’assessorato regionale Territorio e ambiente” secondo il quale sarebbe in corso “un’iniziativa per realizzare nel trapanese (Calatafimi-Segesta, ndr) un impianto di trattamento dei rifiuti e produzione di energia da biometano”. Poi aggiunge: “Il documento in questione non contempla l’ipotesi dell’incenerimento, ma restano diversi gli aspetti da approfondire” e “diverse quindi le ambiguità da chiarire” che le fanno precisare: “staremo in guardia e approfondiremo il progetto per evitare nuove aggressioni ai danni dell’ambiente, del territorio e della popolazione trapanese”.

Abbiamo letto le carte e l’impianto si configura come possibile piattaforma polifunzionale per il trattamento combinato di rifiuto organico derivante da raccolta differenziata e di rifiuto urbano indifferenziato e/o residuale, risultando quindi molto flessibile anche in vista degli obiettivi di raccolta differenziata cha la Regione si pone nel medio e lungo periodo, e con una potenzialità di trattamento pari a 50 mila tonnellate l’anno. La Regione si è detta pronta a finanziare il progetto e, in una nota, ha comunicato di aver già stanziata all’uopo 15 milioni di euro.


Continuano a regnare le discariche, ma la Regione festeggia i dati Ispra

PALERMO – C’è probabilmente un grande equivoco – voluto o inconsapevole – nell’analisi degli ultimi dati siciliani del rapporto Ispra sui rifiuti. La differenziata in Sicilia continua a crescere ed è indubitabile (+7,9%), passata dal 12,5% al 29,5% tra il 2014 e il 2018, peccato che al contempo resti stabile la quota dello smaltimento in discarica (passata da 1,67 milioni di tonnellate del 2017 a 1,5 del 2018) con una percentuale che vale il 69% e che resta l’unico immenso e insormontabile problema del sistema isolano, perché sono le discariche a inquinare e a far costare di più la gestione del rifiuto, come testimoniato da numerosi studi. E poi, come se non bastasse, la Sicilia è lontana di 59 punti percentuali dall’obiettivo Ue per il 2035 (10% di smaltimento in discarica) e che, ad oggi, più che un target qui sembra soltanto un sogno lontano.

SICILIA: RECORD SOLO PER LE DISCARICHE. Tra il 2016 e il 2018, la Sicilia delle discariche ha perso, ma non troppo. Passata da 1,8 milioni di tonnellate, del primo anno del triennio, è poi passata a 1,6, fino a chiudere a 1,5. Si è anche decisamente contratta la percentuale statistica, passata dall’80% al 73% e quindi al 69%. Per capire quanto siamo indietro, al di là delle dichiarazioni esultanti della Regione, è sufficiente confrontare questo dato siciliano con quello nazionale che vale il 22%: questo vuole dire che in Italia un quinto dei rifiuti finisce in discarica, in Sicilia ci finisce una porzione che vale praticamente poco meno di quattro quinti (69%).

Il confronto è impietoso, ma diventa clamoroso se rapportato con la Lombardia (4% di smaltimento in discarica), col Trentino Alto Adige (9%), col Friuli Venezia Giulia (7%). Il dato relativo alla quota pro capite di rifiuti urbani smaltiti in discarica, in relazione al 2018, che è quindi un dato ponderato sugli abitanti, vede in cima alla lista il Molise che sfiora i 400 kg/abitante all’anno, seguita subito dopo dalla Sicilia con più di 300 kg a testa. Bisogna ricordare che, secondo quanto prevede la direttiva 850/2018/Ue che modifica la direttiva 1999/31/CE, bisogna arrivare al 10% in discarica entro il 2035.

PER LA REGIONE CONTA SOLO LA DIFFERENZIATA. Alla fine alla Regione pare andare bene così. I dati della differenziata, anche quelli relativi al 2019 che sono puntualmente diffusi dal dipartimento regionale, registrano percentuali ormai anche superiori al 40%. Alberto Pierobon, l’assessore regionale all’Energia e servizi di pubblica utilità, ha spiegato che “i dati forniti da Ispra premiano il lavoro del governo Musumeci sul fronte dei rifiuti”, poi aggiunge che “tanto c’è ancora da fare, ma il balzo in avanti della Sicilia indica che siamo sulla strada giusta”.

Il balzo è appunto quello della differenziata, peccato che senza gli impianti per attivare la filiera del riciclo sia perfettamente inutile. Tuttavia per Pierobon “più che guardare ai numeri e alle classifiche, che scontano anni di ritardi, stiamo concentrando gli sforzi sulla pianificazione e sulla programmazione in questo modo stiamo ponendo le basi per consentire all’Isola di raggiungere finalmente l’obiettivo di una gestione ordinaria e virtuosa nel settore dei rifiuti”.


Due studi dell’Unict confermano le potenzialità siciliane
L’Isola potrebbe produrre l’11% di biogas nazionale

PALERMO – La Sicilia ha i numeri giusti: uno studio condotto dal professore Biagio Pecorino del dipartimento di Agricoltura dell’Università di Catania ha analizzato il peso specifico rivestito dalla Sicilia all’interno del quadro nazionale di produzione della filiera del biogas-biometano. Secondo questo studio, l’Isola potrebbe valere circa l’8% del potenziale nazionale, permettendo, al contempo, un’occupazione da circa 3 mila unità.
Un altro studio, sempre in arrivo dall’Unict, in particolare dal dipartimento di Scienze agrarie, – ne ha scritto anche il geologo Andrea Di Piazza su balarm.it – ha stimato un potenziale pari a 4 milioni di tonnellate di biomassa da poter convertire in biogas e biometano, che di fatto permetterebbe una produzione da 255 milioni di normal metri cubi (Nm3, unità di misura dei gas), cioè circa l’11% della produzione nazionale, garantendo la produzione di 408.072 MWh all’anno di energia elettrica e 305.672 MWh di energia termica.

La Regione, finalmente, sembra voler fare sul serio, tanto che alla fine di novembre Nello Musumeci ha detto di “fare in fretta” riferendosi agli impianti di trattamento dei rifiuti che hanno i progetti ancora bloccati in Regione. Nelle maglie della burocrazia ci sono diversi impianti, ma altri hanno già ricevuto l’autorizzazione. Nel dettaglio sono stati individuati degli impianti che potrebbero consentire al pubblico di accedere alle gestione del biogas: Bellolampo, Altofonte, Partinico, Bagheria, nella Sicilia occidentale, e poi quelli della zona industriale di Catania e dell’Irsap di Ragusa per la Sicilia orientale. Altri due terreni individuati a Messina e Siracusa, mentre sono già stati autorizzati gli impianti di Sciacca, Vittoria, Casteltermini e Calatafimi-Segesta. Poi ci sono anche gli impianti a gestione privata che hanno già richiesto l’autorizzazione, tra questi quello della A2A nel messinese.

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