Ministero dell’Interno: le interdittive antimafia dei prefetti sono aumentate del 34,2% nel Paese e addirittura dell’84% in Sicilia. A Palermo il più alto numero di provvedimenti, nella provincia di Trapani il maggiore incremento
Il rapporto intercorrente fra organizzazioni di stampo mafioso e Pubblica Amministrazione rappresenta senza dubbio uno dei temi più caldi e delicati. Le organizzazioni criminali di stampo mafioso, proprio infiltrandosi nell’economia, riescono a raggiungere la pubblica amministrazione attraverso meccanismi capillari che la inquinano e la allontanano dai sui principi fondamentali. Le infiltrazioni mafiose, difatti, si insinuano silenziosamente, non soltanto nei rapporti intercorrenti fra soggetti privati ma, in particolar modo, tra operatori economici e Pubblica Amministrazione.
Il fenomeno mafioso è tradizionalmente ricondotto a due principali orientamenti: per il primo la mafia è un fenomeno culturale e valoriale ed è ricondotta alla cultura radicata nell’ambito territoriale in cui si è sviluppata mentre, nel secondo è ritenuto un fenomeno organizzativo avendo origine nella delinquenza organizzata in svariate forme. Di fatto accresce il proprio potere instaurando rapporti di prepotenza o di scambio in diversi ambiti, sovente invadendo principali settori economico-sociali.
Il provvedimento interdittiva antimafia esprime il potere unilaterale della Pubblica Amministrazione, riproducendo un modello di “incisione sul privato” contrario alle logiche volte all’equiparazione del rapporto tra il soggetto singolo e le istituzioni perché l’interdittiva antimafia è uno strumento giuridico che consente alle autorità competenti di adottare misure preventive nei confronti di soggetti ritenuti affiliati o contigui alla criminalità organizzata. Queste misure includono l’interdizione dalla partecipazione a gare d’appalto pubbliche ovvero la revoca di contratti già stipulati con la PA.
Secondo i dati rilasciati dal Ministero degli Interni nei giorni scorsi e relativi al 2023, dopo la flessione registrata nel 2022 crescono i provvedimenti emanati dai prefetti per bloccare i rapporti con la Pa delle imprese sospettate di essere infiltrate dalla criminalità organizzata e sono state emesse 2.007 interdittive antimafia contro i 1.495 dell’anno precedente, con un aumento del 34,2%.
Aumentate le interdittive antimafia e le informazioni interdittive
Sono aumentate del 32,5% le comunicazioni interdittive antimafia e del 36,3% le informazioni interdittive, ossia quelle che sono il frutto di una valutazione discrezionale del rischio di infiltrazione effettuata dalla prefettura che riguarda l’impresa in sé ritenuta in pericolo di condizionamento, al di là del rapporto con la PA. L’Italia del Sud si conferma la macroarea più interessata dallo stop alle imprese con, al primo posto della classifica la Campania, con 490 interdittive (279 comunicazioni e 211 informazioni) e una crescita pari al 47% rispetto alle 333 del 2022 con Napoli che detiene il record con 351 provvedimenti, quadruplicati rispetto agli 87 dell’anno precedente. Al secondo posto c’è la Sicilia, con un totale di 390 interdittive (187 comunicazioni e 203 informazioni) e una crescita dell’84% rispetto al 2022. Nello specifico il valore massimo è detenuto da Palermo, con 112 interdittive, salite del 69,7% ma un forte segnale di allarme arriva da Agrigento, provincia in cui le interdittive sono decuplicate, da 6 a 70, e a Trapani, provincia nella quale si registra un aumento del 261,5% (da 13 a 47). Terzo posto per la Calabria, regione in cui il numero assoluto resta alto ma in calo del 2,9% rispetto a quello del 2022 e la provincia con più provvedimenti resta Reggio Calabria. Sempre in Calabria si registra una forte a Catanzaro, in cui registra un dato del -83,8%. Nella regione Puglia le interdittive sono più che raddoppiate rispetto a quelle del 2022 passando da 80 a 180 mentre la provincia di Foggia guida l’incremento con 142 provvedimenti dei prefetti contro i 52 dell’anno prima e quella di Bari è passata da 5 interdittive a 14.
Nessun anticorpo portatore d’immunità è stato registrato nel Nord della penisola, territorio in cui l’infiltrazione delle mafie è ormai da tempo nel mirino degli investigatori e dell’autorità giudiziaria. La regione nella quale sono state emesse il maggior numero di interdittive è l’Emilia-Romagna, grazie anche la sorveglianza legata agli appalti per la ricostruzione dopo le catastrofi naturali che l’hanno devastata e nella quale, lo scorso anno, sono state emesse 215 interdittive con un calo del 19,2% rispetto al 2022. Tra le province emiliano-romagnole quella di Reggio Emilia, nella quale la presenza della ‘ndrangheta è stata rivelata da vari processi contro i clan mafiosi, è stata oggetto di 144 interdittive pari al 67% del totale regionale. Un leggero calo è stato riscontrato in Lombardia. Maglia nera anche per la provincia di Roma nella quale sono state emesse 57 interdittive contro le 6 dell’anno precedente. Anche a Latina l’incremento è evidente: da 6 a 25. Numeri che spiegano il balzo verso l’alto di oltre sei volte del Lazio, da 13 a 82, dato che risulta essere il maggiore tra le regioni registrato nel 2023. Significativo anche l’aumento dei provvedimenti in Toscana, che passano da 24 a 76, con le province di Firenze che passa da 5 a 25 e quella di Pisa che perde la sua “verginità” con 19 interdittive emesse mentre nel 2022 il dato era pari a zero. Anche nel Veneto, si riscontra un raddoppio con 53 interdittive emesse contro le 25 del 2022. Capolista la provincia di Padova con 22 no ai nulla osta rilasciati.
In generale, però, le interdittive che bloccano l’attività delle imprese sono una minoranza al confronto delle 502.765 liberatorie emesse nel 2023, in crescita rispetto alle 495.182 del 2022 in risposta alle richieste inoltrate, in base al Codice antimafia, da PA ed enti pubblici prima di autorizzare lavori, erogare contributi o stipulare contratti. Una stringente e più efficace capacità di controllo sembra portare ai primi risultati di contrasto allo strapotere del sistema mafioso e alle sue inflitrazzioni nell’economia sana.
R.G.
– Leggi l’intervista al presidente Anac, Giuseppe Busia
– Leggi l’intervista al prefetto di Palermo, Massimo Mariani
Interviene il segretario regionale di Fillea Cgil, Giovanni Pistorio
“Sottovalutata la liberalizzazione della catena del subappalto”
Il pretesto è stato fornito da un numero – 84 – che in percentuale fotografa l’impennata dei provvedimenti interdittivi emessi dalle nove prefetture siciliane nel corso del 2023, rispetto a quelli esitati nei dodici mesi precedenti. Il tema, però, era attuale già da prima delle anticipazioni pubblicate dal Sole24Ore. Parliamo del rischio di infiltrazioni di Cosa nostra nel tessuto imprenditoriale isolano e di come la stessa possa approfittare della cornice normativa introdotta con l’entrata in vigore del nuovo codice degli appalti. Una riforma che, in nome dell’esigenza di velocizzare le procedure di affidamento dei lavori e servizi per stare dietro alle pressanti scadenze imposte dal Pnrr, per molti ha finito per sacrificare parte degli anticorpi garantiti precedentemente.
A seguire con attenzione lo scenario che inizia a delinearsi non sono soltanto le procure e, nel caso delle interdittive, gli organi territoriali del ministero degli Interni, ma anche il mondo sindacale. Nella consapevolezza che ogni passo indietro in tema di controlli rischia di trasformarsi in un boomerang contro i lavoratori. “’L’aumento di interdittive antimafia in Sicilia sta facendo discutere per la portata delle cifre, c’è chi si chiede se in qualche modo non sia collegato a uno smaltimento di arretrati accumulati nella fase post-Covid e chi se invece non racconti la crescita delle ingerenze della criminalità organizzata nel settore dei lavori pubblici. Ciò che è certo è che l’attenzione delle istituzioni è alta, e questo è senz’altro un bene”. A parlare al Quotidiano di Sicilia è Giovanni Pistorio, segretario regionale di Fillea Cgil, che già in passato ha messo in guardia dai pericoli che sarebbero potuti scaturire da un allentamento nella maglia delle regole che stanno a monte dell’affidamento delle commesse pubbliche. A maggior ragione a fronte dei flussi di denaro che le stazioni appaltanti di tutta Italia hanno iniziato a gestire nell’ambito del Pnrr. “La mafia da sempre ha dato prova di avere una capacità di reazione e adattamento alle variazioni che si registrano nel mercato spesso superiore a qualsiasi altra organizzazione – prosegue Pistorio – Non dobbiamo farci trarre in inganno dal fatto che Cosa nostra è stata di certo indebolita dal punto di vista della forza militare. Sul fronte della capacità di riciclare capitali illeciti e inquinare l’economia è infatti migliorata”.
Tra le modifiche più significative volute dal governo Meloni e varate dal parlamento a maggioranza di centrodestra con il nuovo codice degli appalti, ci sono senz’altro quelle riguardanti l’innalzamento delle soglie al di sotto delle quali si potrà affidare direttamente i lavori senza indire alcuna gara e quelle per le quali si potrà optare per procedure a inviti. Percorsi che, in cambio della promessa di velocizzare gli iter, hanno comportato una riduzione sia in termini di restringimento delle possibilità di partecipazione per le singole imprese che di trasparenza degli atti.
“Un aspetto che finora è stato particolarmente sottovalutato sta nella liberalizzazione della catena del subappalto. Oggi è possibile cedere a cascata parte dei lavori senza un limite che non sia la cessione dell’intero contratto originario – va avanti Pistorio –. Ciò rappresenta un’opportunità per le mafie, sempre più spinte ad acquisire il controllo di imprese già esistenti o a costituirne di nuove che possano inserirsi a valle della gestione dei lavori pubblici”. I dati dicono che i settori collegati all’esecuzione delle opere assorbono più dell’85% del valore dell’intera opera, come nel caso del settore delle forniture. Ed è proprio qui che, secondo Pistorio, si starebbe registrando un cambiamento rispetto al passato: “Le grandi imprese storicamente hanno avuto fornitori di fiducia a cui ci si rivolgeva indipendentemente dal luogo in cui il cantiere veniva aperto, adesso non sono pochi i casi in cui le stesse ditte scelgono di variare i fornitori in base al territorio in cui si va a operare”.
Per quanto si tratti di impressioni, è lecito chiedersi se ciò possa essere determinato dalla maggiore descrizionalità concessa alle stazioni appaltanti al momento di individuare le imprese da invitare alle gare: “È una riflessione che va fatta e che mi auguro venga condivisa anche dagli ambienti investigativi – ccntinua -. Se un imprenditore sa che la possibilità di essere invitato passa dalle mani del funzionario, è verosimile che possa cercare di attivare contatti con lo stesso o con i politici che ruotano attorno a quell’ente. Mostrare una disponibilità a rivolgersi agli operatori economici del territorio può essere un tornaconto per ambedue le parti, perché significa lavoro e, in prospettiva, anche un ritorno elettorale per i politici”. A rischiare di rimetterci, in prospettiva, potrebbero essere ancora una volta il mondo operaio: “Non è un mistero che passando di subappalto in subappalto ogni impresa cerchi di trattenere per sé un margine di guadagno e per riuscirci – conclude Pistorio – tagliare sulla sicurezza è il modo più semplice”.
S.O.