Si vuole conoscere la sorte effettiva del Centro di Cardiochirurgia pediatrica. Non si è fatto attendere il Comitato del CCPM Taormina.
Vogliono chiarezza dall’Assessorato alla Salute della Regione Sicilia e dal presidente Schifani. E vogliono conoscere la sorte effettiva del Centro di Cardiochirurgia pediatrica di Taormina, il cui futuro si deciderà entro i prossimi mesi dopo la proroga formalizzata fino al prossimo 31 luglio. A non far dormire sonni tranquilli ai genitori dei piccoli pazienti sono le notizie provenienti dall’analogo reparto dell’Ospedale Civico di Palermo.
Per gli ispettori inviati dalla Regione, la Cardiochirurgia palermitana presenterebbe spazi inadeguati, ma soprattutto un numero di posti letto attivi minore rispetto a quelli previsti. Tra le evidenze, anche l’assenza di un sistema di tracciabilità come previsto dal piano sanitario. In più, segnalate carenze di personale sanitario, di attrezzature e anche dei materiali necessari alle cure dei pazienti. Dalla relazione consegnata all’assessore Volo emergerebbe dunque un quadro allarmante e non in linea con gli standard d’eccellenza presenti all’Ospedale Sirina.
La nota sul tema del Comitato del CCPM di Taormina
Per questo non si è fatto attendere il Comitato del CCPM di Taormina, che in una nota ha chiesto a gran voce il mantenimento del centro di Taormina. “Apprendiamo da fonti “ufficiose” e non “ufficiali” la possibilità di un trasferimento del CCPM di Taormina in altra sede. Alla luce però degli investimenti economici e professionali, realizzati in questi anni sul Centro non riusciamo a comprendere come non si possa trovare una soluzione per ovviare a tale possibile ipotesi”, spiegano.
Ai microfoni del Quotidiano di Sicilia è lo stesso Comitato a rincarare la dose: “Sappiamo che in questo momento ci sono incontri interlocutori in atto. Prima per il Papardo di Messina. Ora per il Policlinico di Catania. Ma l’Asp di Messina (di cui fa parte CCPM di Taormina, ndr) potrebbe voler mantenere il centro nella sua provincia di competenza. Per questo chiediamo un incontro con il Presidente della Regione Renato Schifani”.
Per il Comitato è “necessario mantenere il CCPM nella sua sede attuale non per una mera questione logistica, ma per continuare a garantire gli standard qualitativi raggiunti. Sulla situazione del Civico di Palermo preferiamo non entrare nel merito: non vogliamo passi il messaggio che vi sia una preclusione di fondo. Importante è mantenere degli standard di eccellenza, che a Taormina esistono, e superare il decreto Balduzzi, come avviene peraltro anche in Veneto”.
Il riferimento del Comitato è al decreto-legge numero 158 del 2012. Questo prescrive la possibilità di un’unica Cardiochirurgia pediatrica ogni cinque milioni di abitanti. Il numero della popolazione siciliana non sarebbe dunque sufficiente a mantenere in vita i due importanti centri che servono la Sicilia orientale e quella occidentale.
La situazione
Minacce di chiusura, per il CCPM d’eccellenza di Taormina che affondano le proprie radici negli anni ma che hanno subito un’accelerata con l’apertura del 4 luglio 2023 di un’altra Cardiochirurgia pediatrica, quella dell’Arnas Civico di Palermo, avviata in collaborazione con il Gruppo San Donato di Milano. La stessa struttura finita adesso sotto la luce dei riflettori per le carenze evidenziate dagli ispettori.
Un ruolo centrale potrebbe rivestirlo l’Azienda sanitaria provinciale di Messina. Contattata dal QdS, ancora una volta, l’Asp ha preferito non rilasciare dichiarazioni né si è espressa nel merito. A denti strettissimi, alcuni tra i più vicini collaboratori del neo direttore generale Giuseppe Cuccì, fanno sapere che “il direttore si è più volte espresso in favore del mantenimento del reparto di Cardiochirurgia pediatrica a Taormina. Ma non è una scelta che dipende dall’Asp di Messina o dalla sua volontà”.
“Non siamo sorpresi che le Aziende sanitarie provinciali, in questo particolare momento, non vogliano commentare – affondano ancora i genitori dei piccoli ricoverati a Taormina – soprattutto perché è adesso che si stanno decidendo le sorti del reparto”.
L’opzione etnea
Il Policlinico di Catania, dove sono stati eseguiti dei sopralluoghi, avrebbe tutte le carte in regola per accogliere il reparto d’eccellenza di Taormina nel caso in cui il centro dovesse essere chiuso. Ma il peso della politica potrebbe risultare determinante anche in questo caso, con una scelta che resta sub iudice. E l’ipotesi di un accorpamento con Palermo – la preferita dalla Regione – non tramonta.
“Sappiamo che la proroga di un anno è stata data proprio in funzione della stabilizzazione del reparto e di chi ci lavora – aggiungono i genitori – quindi bisogna trovare una soluzione che non sia più temporanea. In 13 anni è stato investito tanto a Taormina e smantellare tutto per un cavillo burocratico sembra assurdo”.
L’opinione della CGIL
Sul tema non si è fatta attendere neppure la presa di posizione della CGIL, che ai nostri microfoni è intervenuta attraverso le parole del dirigente messinese della segreteria regionale, Francesco Lucchesi.
“In Sicilia è imprescindibile la presenza di centri medici d’eccellenza. Anche per attenuare il più possibile il costo dell’immigrazione sanitaria fuori regione. Ma anche per divenire punto di riferimento per altre regioni così come, già adesso, è il CCPM di Taormina per la vicina Calabria”, spiega il dirigente della CGIL.
Per Lucchesi “è assurdo che in Regione si voglia accorpare il polo di Taormina al Civico di Palermo, soprattutto perché quest’ultimo è ancora in una fase di assoluto rodaggio ed è una struttura malfunzionante, come si apprende anche dalle ultime ispezioni dell’Assessorato alla Salute. Bisogna pensare non solo al mantenimento di Taormina, ma anche al miglioramento di Palermo”.
Rimane lecito domandarsi come una regione tanto estesa come la Sicilia possa far riferimento a un unico centro in grado di servire migliaia di giovani pazienti nel corso di questi anni. “Non è possibile rischiare di pagare milioni di euro e ritrovarsi poi reparti non all’altezza – spiega ancora Lucchesi facendo riferimento al Civico – al di là degli investimenti realizzati a Palermo. Se dovesse porsi la scelta su quale reparto chiudere, di certo sarebbe follia pensare di chiuderne uno d’eccellenza come quello del San Vincenzo appannaggio di uno che forse lo diventerà in futuro”.
Le conseguenze dei tagli alla sanità
In questo contesto, a pesare come una mannaia ci saranno gli effetti dei tagli alla sanità siciliana – circa 200 milioni di euro quelli stabiliti dal Governo Meloni – e le risultanze dell’Autonomia differenziata, che rischia di mettere ancor più in ginocchio una sanità che, a proposito di crisi idrica, in Sicilia fa davvero acqua da tutte le parti.
Secondo i dati diffusi lo scorso luglio proprio dal ministero della Salute, la regione continua a faticare per liste d’attesa, test screening, vaccinazioni e assistenza a disposizione della popolazione. A essere tagliati con la spending review del Governo Meloni saranno ben 808 posti di terapia intensiva (-23%) e 995 di terapia sub intensiva ( -24% – fonte fondazione Gimbe).
Un piano politico chiaro e spinto a gonfie vele verso la privatizzazione delle principali prestazioni erogate dal servizio sanitario nazionale, con una anticipazione che proprio nell’Isola è stata evidente con la partnership in atto per l’abbattimento delle liste d’attesa.
Una situazione di perenne precarietà cristallizzata nel quadro di una regione, la Sicilia, nella quale sono presenti meno posti letto rispetto al resto d’Italia, meno infermieri, meno medici e con il tasso di emigrazione sanitaria in altre regioni al quale ha fatto riferimenti Lucchesi del 6,2%. Una spesa, quest’ultima, che costa alle tasche dei siciliani oltre 177 milioni di euro ogni anno.